Il piano di Netanyahu per la “migrazione volontaria dei palestinesi”. Media: “Israele pensa di deportarli in Sud Sudan”
- Postato il 13 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il governo di Israele sta discutendo con il Sud Sudan la possibilità di trasferire “su base volontaria” i palestinesi della Striscia di Gaza nel Paese dell’Africa orientale, già devastato dalla guerra. La viceministra degli Esteri di Tel Aviv, Sharren Haskel, terrà oggi una serie di incontri con i vertici di Juba. Si tratta della prima visita ufficiale nel paese africano da parte di un rappresentante del governo israeliano. Haskel incontrerà il presidente del Sudan del Sud, Salva Kiir Mayardit, nonché il ministro degli Esteri, il presidente del parlamento e altri alti funzionari governativi. Secondo Joe Szlavik, fondatore di una società di lobbying statunitense che collabora con il Sud Sudan, interpellato da Associated Press, al centro della discussione ci sarebbe la costruzione di campi profughi in cui reinsediare i palestinesi deportati. Accampamenti che verrebbero finanziati dallo stesso stato ebraico. Se venisse portato a termine, questo piano trasferirebbe una popolazione sfinita e affamata da mesi di bombardamenti da un territorio devastato e a rischio di carestia a un altro. Anch’esso afflitto da violenti conflitti e da una terribile crisi umanitaria.
Anche il Times of Israel ha confermato che il Sud Sudan è uno dei Paesi con cui Israele starebbe trattando per un possibile reinsediamento dei palestinesi sfollati dalla Striscia. Sono mesi che Tel Aviv sta cercando un paese terzo disposto ad accogliere i gazawi, nonostante la denuncia delle organizzazioni internazionali, che considerano il piano di Netanyahu una banale operazione di espulsione forzata, contraria al diritto internazionale. Dietro questa strategia, denunciano, non ci sarebbe altro che la volontà di svuotare la Striscia e permettere nuovi insediamenti israeliani a Gaza. Dopo il no dell’Egitto, lo Stato ebraico ha deciso di sondare il terreno altrove. A fine luglio, il sito statunitense Axios aveva raccontato di un incontro tra il direttore del Mossad, David Barnea, e l’inviato speciale Usa, Steve Witkoff. In questa occasione Barnea ha informato il collaboratore della Casa Bianca dei colloqui di Israele con Etiopia, Indonesia e Libia. Colloqui durante i quali i tre Paesi avrebbero espresso la loro disponibilità ad accogliere i profughi palestinesi, dopo il loro “trasferimento volontario”.
Dal canto suo, il Sud Sudan bolla come “infondate” le ipotesi per cui sarebbero disposti ad accogliere i gazawi. Si tratta, si legge in una nota diffusa su X, di notizie che “non rispecchiano la posizione ufficiale né la politica del governo” di Juba. L’obiettivo dichiarato dei colloqui con Haskel è “rafforzare la cooperazione nei settori di sanità, istruzione, tecnologia, agricoltura ed energia, promuovere iniziative congiunte nel campo dello sviluppo civile e della sicurezza, rafforzare la cooperazione regionale e valutare opzioni per aiuti umanitari israeliani alla luce delle sfide con cui fa i conti il Paese a causa della guerra con il vicino Sudan”.
Il Sud Sudan è uno dei Paesi più precari del mondo da un punto di vista politico. Indipendente dal 2011, è ancora profondamente segnato da una devastante guerra civile che ha causato oltre 400mila morti, oltreché milioni di profughi, senza cibo né acqua. A giugno Fao, Unicef e World food programme avvertivano che nei prossimi mesi la popolazione di due contee del Sud Sudan è a rischio carestia, a causa dell’intensificarsi del conflitto nello Stato dell’Alto Nilo. Una guerra che distrugge abitazioni, compromette i mezzi di sussistenza e ostacola la consegna degli aiuti umanitari. Nei giorni scorsi Medici senza frontiere rendeva noto di essere stata costretta a sospendere temporaneamente – per almeno sei settimane – tutte le attività nelle contee di Yei River e Morobo, nello stato dell’Equatoria Centrale, in Sud Sudan, a seguito di un incidente di sicurezza che ha visto il rapimento per alcune ore di un componente del suo staff. Le persone a rischio insicurezza alimentare sono stimate attorno agli otto milioni secondo il World food programme, di cui oltre due milioni di bambini.
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