Il Premio Strega Poesia? Vorrei che lo vincessimo tutti. La parola al poeta Tiziano Rossi 

  • Postato il 8 luglio 2025
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Città malata in luce diagonale 
sopra lo sperpero, 
il tafferuglio. 
Al rullo di invisibile tamburo 
però in sembianza di antica furia 
i convenuti a perdifiato 
arrivano al corpo: 
s’alzano nel groppo i giustizieri 
terribili e ingiusti 
e nelle smanie ancora la lotta 
con rovesciamento della testa. 
Sono ovattate 
le voci dei superstiti. 

Per la serie di interviste dedicata allo Strega Poesia abbiamo dialogato con Tiziano Rossi, nato a Milano nel 1935. Rossi è un poeta tra i più rappresentativi della sua generazione e di una scuola poetica milanese che si è imposta a partire dagli Anni Sessanta, con l’esempio di un maestro come Vittorio Sereni e la presenza di figure dominanti come Giovanni Raboni, Giovanni Giudici, Giancarlo Majorino. Ha esordito nel 1963 pubblicando Il Cominciamondo con la casa editrice Argalìa. Le sue opere successive (tra cui Miele e no, Pare che il paradiso e Gente di corsa, Premio Viareggio) sono state in prevalenza pubblicate da Garzanti, editore con cui è uscita anche Tutte le poesie (1963-2000). Seguita poi da altre raccolte, tra cui Controvento (Il Faggio, 2005), Cronaca perduta (Mondadori, 2006), Qualcosa di strano. Raccontini (La Vita Felice, 2015) e Gli affaccendati (Moretti & Vitali, 2024). La sua ultima raccolta: Il brusìo (Einaudi, 2025) è tra i cinque libri finalisti del Premio Strega Poesia 2025 ed è un’opera densa, traditrice di un amore fortissimo e pluridecennale per la poesia e non priva di un certo, segreto umorismo. Nell’intervistarlo abbiamo ritrovato tutto questo, arricchito dalla grande gentilezza di un uomo rispettoso, anche nei confronti delle stesse parole, strumento di cui non abusa mai. Ecco, dunque, quelle scambiate a proposito di poesia, prosa, Premio Strega e altro ancora… 

Intervista al poeta Tiziano Rossi 

La sua raccolta “Il brusìo” giunge con venticinque anni di distacco dalla precedente,“Gente di corsa.” Questa lunga e quasi “bolañesca” tregua dal verso, con un passaggio alla prosa testimoniato – tra gli altri – da “Cronaca perduta” e “Bestie e affini”, da quali ragioni è stata dettata? 
Non credo ci sia un salto tra i miei due modi di scrivere: in realtà per me la prosa è poesia dilatata e la poesia è prosa concentrata (pur includendo qua e là accensioni liriche). 

Cos’è cambiato, da allora ad oggi, nel suo modo di concepire la poesia? 
Siccome non sono un critico, non ho una visione globale del “movimento”. Tuttavia, essendo tramontate da tempo le correnti come la Linea Lombarda, la Neoavanguardia, la Scuola Romana, – ammesso che siano esistite davvero – credo che si siano moltiplicati i punti di vista e le direzioni della scrittura, e ciò è bene. Circa la mia poesia, negli Anni ’60-’70 ha avuto punte di engagement e contestazione, poi ha inteso soprattutto illuminare e riscattare la realtà più umile, ora sto ripiegando (ahimè! Forse l’età conta) su temi domestico-familiari; l’andamento semi-prosastico, in ogni caso, permane. 

Le poesie de “Il brusìo” sono eleganti e impeccabili nella loro veste formale, le immagini evocate sono spesso scenari lievi di quotidianità; eppure, leggendo ho avuto la sensazione che quest’opera parli in larga misura di violenza, anche quella nascosta. È così? C’è spazio nella poesia, oggi, per la violenza? 
Le prime due parti di Brusìo riguardano la guerra, la violenza e la morte (temi sempre attuali), le due parti successive hanno toni rasserenanti. 

Parliamo del titolo, che nel testo dell’opera non compare se non all’inizio, in esergo. Cos’è per lei il brusìo? È un rumore rassicurante o angosciante, o entrambi, o nessuno dei due? 
Il brusìo è l’intreccio delle infinite voci che animano il mondo, dove coesistono toni alti e toni bassi, forti e deboli, dolci e striduli (ovviamente l’esito non è una melodia). 

“Il brusìo” è uno dei cinque libri finalisti al Premio Strega Poesia 2025, il cui vincitore o vincitrice sarà annunciato l’8 ottobre a Roma. Come ha accolto questa nomina e cosa si aspetta da essa? 
Mi piacerebbe che vincessimo tutti e cinque, sarebbe una festa molto più allegra. 

In breve, sí, c’è la campagna 
e questo prato con i suoi 
infiniti esserini in un frullío 
con gli invisibili e la terra: 
gli impegni, i conflitti, le pinze, 
le alucce, le zampine, un lavorío 
per il cibo – ah, già – l’accoppiamento, 
tutto è conteso – mamma mia! – uno scialo 
no, semplicemente lo richiede 
il cosiddetto tramandarsi. 
Io qui rimango 
nel movimento mi ingolfo 
da prigioniero di un incantamento 
e che ci faccio? – adesso mi domando – 
povero me! È troppa l’esistenza. 


Maria Oppo 

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Artribune

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