Il rabbino capo di Genova: “A Gaza una tragedia, ma non un genocidio. L’antisionismo ci ferisce”
- Postato il 3 novembre 2025
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- Di Genova24
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Genova. A Gaza “non c’è stato un genocidio, poi nessuno mette in dubbio che sia stata una tragedia“. A destare allarme sono invece gli atti di “antisemitismo, sintomo di diffuso malessere sociale e culturale“, anche “nelle forme più recenti di antisionismo“. Sono le parole di Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova, alla cerimonia in sinagoga per commemorare la deportazione di 261 ebrei genovesi verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, iniziata il 3 novembre 1943.
L’iniziativa, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla comunità ebraica e al centro culturale Primo Levi, si è inserita in una giornata già segnata dalle polemiche innescate da Riccardo Pacifici, già presidente della comunità ebraica di Roma e oggi vicepresidente della European Jewish Association, contro i camalli del porto di Genova e il loro attivismo pro Palestina: “Credo siano sprovvisti di memoria storica”. E sui giovani che si mobilitano: “Li comprendo perché sono imbottiti di fake news, sono alimentati da gente che li strumentalizza”.
Concetti ripresi anche dal rabbino genovese: “Che ci siano state fake news è noto ed è anche verosimile che ci siano state. Stupisce il fatto che nei giudizi che vengono rappresentati sia sparito il giudizio su Hamas, non soltanto per quello che ha fatto il 7 ottobre, il pogrom, ma per come ha progettato il maggior numero dei morti di Gaza, lasciando la popolazione indifesa. La responsabilità di un governo è quella di provvedere alla difesa della popolazione. Hamas ha fatto esattamente il contrario, ha lasciato sguarnita la popolazione, accogliendo i terroristi nei tunnel sotterranei. Quanta popolazione di Gaza avrebbe potuto trovare rifugio in questi tunnel? Non è che lo dico soltanto io, ma queste notizie non vengono accolte”.
Quella di Gaza, continua Momigliano, è “una tragedia terribile, una sofferenza enorme di cui ovviamente condividiamo il dolore, però non credo che ci sia stato un genocidio“. E la mobilitazione dei camalli? “Fa parte di reazioni emotive di solidarietà che si possono comprendere, però nello stesso tempo vanno interpretate in una situazione complessa che comporterebbe tutto un ragionamento sulle cause di questo conflitto”.
Durante il suo intervento in sinagoga Momigliano ha citato un passo della Genesi, quello in cui Dio dice ad Abramo di andare “verso la terra che io ti indicherò”, la terra di Israele. Un legame, spiega il rabbino, “destinato a diventare elemento centrale dell’identità ebraica e anche alla base delle forme più laiche dell’espressione moderna dell’ebraismo, che conosciamo come sionismo. Questi accenni saranno sufficienti quando non c’è tempo per riassumere tremila anni di storia ebraica in terra di Israele? Basteranno queste parole a spiegare perché ci sentiamo coinvolti emotivamente, feriti quando sentiamo pronunciare contro Israele, contro l’idea del sionismo, giudizi che a nostro parere sono ingiusti o parziali?“.
Lo stesso passo sarebbe stato letto da Riccardo Pacifici (allora rabbino capo di Genova, il nonno dell’omonimo contemporaneo) il 6 novembre 1943 se non fosse stato catturato, deportato e ucciso ad Auschwitz. “L’antisionismo – conclude Momigliano – oscura le nostre menti, facendoci dimenticare e trascurare tra l’altro il fatto che il termine sionismo viene da Zion, che è uno dei nomi di Gerusalemme. Se ricordassimo chiaramente anche solo questo, che cosa significa questa città per il mondo, forse molti di noi ci riconoscerebbero nel sionismo“.
I commenti di Bucci, Salis e Tasca
“Non commento nessuna polemica perché non mi sembra il caso”, ha premesso il presidente ligure Marco Bucci prima di esprimersi sulla ricorrenza: “Ricordiamo il fatto che purtroppo, come ho già detto qualche anno fa, la città di Genova è rimasta silente, non ha difeso gli ebrei. Invece la curia genovese e tante altre buone persone, lavorando sotto traccia, hanno fatto tanto per aiutare le persone che dovevano essere deportate per aiutarli a emigrare o nascondersi. Sull’esempio di queste persone noi dovremmo parlare coi giovani, ma anche coi meno giovani, e far sì che tutti riescano veramente a capire che la libertà, i diritti civili e la convivenza con le altre persone sono elementi fondamentali della nostra società civile cui non possiamo assolutamente rinunciare”.
“Smettere di ricordare, di parlare di quello che è stato, è un pericolo immenso, soprattutto in un momento storico in cui vediamo riaffiorare sentimenti che pensavamo non esistessero più – l’intervento della sindaca Silvia Salis -. Non possiamo essere superficiali e derubricarli a esternazioni non consapevoli. Non bisogna smettere di ricordare e non bisogna smettere di stare all’erta. Bisogna cogliere tutti quei segnali che vanno contro la pace e la fratellanza dei popoli. Credo che chiudersi in comunità sia l’inizio di una distanza che può portare solo a cose negative. I sentimenti che stanno di nuovo emergendo vanno non solo stigmatizzati, ma vanno combattuti ricordando che cosa è successo il 3 novembre del 1943, ricordandoci cos’è l’orrore, ricordandoci cos’è il potere quando schiaccia la libertà delle persone. Il fascismo nel nostro Paese è nato dall’indifferenza delle persone verso il male: paura e indifferenza sono due sentimenti che dobbiamo combattere. In questo momento di ricordo siamo chiamati a riflettere”.
“L’antisemitismo è stato sempre combattuto dalla Chiesa, questo significa essere attenti a quello che ci unisce al servizio dell’umanità – aggiunge l’arcivescovo Marco Tasca -. Le religioni devono camminare insieme per seguire l’umanità che in questo momento ha bisogno di qualcosa e qualcuno in cui credere per andare avanti. Siamo chiamati a ridire, a insistere, che l’unico cammino possibile e immaginabile è un cammino di rispetto per le differenze e per metterle insieme”.