Il riarmo europeo e la perpetuazione del conflitto: tra illusioni, business della guerra e rischio apocalisse
- Postato il 18 giugno 2025
- Esteri
- Di Paese Italia Press
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Massimo Reina
Nel secondo dopoguerra, l’Europa aveva fatto del “mai più la guerra” il pilastro della propria identità. Ma negli ultimi dieci anni – e in particolare dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino nel 2022 – gli Stati europei hanno progressivamente abbandonato questa postura, alimentando una corsa al riarmo su larga scala. Francia, Germania, Polonia, Svezia e ora persino la Germania post-bellica, hanno aumentato drasticamente i bilanci per la difesa.
Si parla di centinaia di miliardi. Solo la Germania ha lanciato un fondo straordinario da 100 miliardi di euro, la Francia ha approvato la più grande legge di programmazione militare della sua storia. Ma questa corsa ha poco a che fare con la reale difesa del territorio europeo e molto con il desiderio (illusorio) di contare qualcosa nella scacchiera mondiale, sempre più dominata dal duopolio USA-Cina.
Chi si oppone alla guerra viene tacciato di essere “filoPutin”. Ma chi vuole la pace viene spesso semplicemente ignorato. Non c’è spazio per una via diplomatica perché la narrazione dominante – dettata da Washington – ha già scelto: la Russia va sfiancata, non ascoltata. Il risultato? Una guerra d’attrito dove a morire sono ucraini, a guadagnarci sono i colossi della difesa, e a perdere è l’Europa intera, sotto forma di inflazione, recessione e instabilità interna.
Israele e Palestina: il genocidio come strategia
In parallelo, mentre l’Occidente si mobilita per “salvare l’Ucraina democratica”, chiude occhi, bocca e coscienza davanti a ciò che accade in Palestina. Da ottobre 2023, Israele ha intensificato una delle più brutali operazioni militari della storia recente contro Gaza. A questo si sommano gli insediamenti illegali e la continua repressione in Cisgiordania.
La giustificazione ufficiale? La lotta contro Hamas.
La realtà? Una strategia deliberata di annientamento e pulizia etnica in nome dell’espansione territoriale.
Perché Israele può farlo? Perché gode della totale protezione americana e del silenzio (o peggio, del consenso) europeo. Il secondo fine è chiaro: eliminare la questione palestinese una volta per tutte, ridefinendo i confini sulla base della forza. Il tutto con la retorica della “sicurezza” e del “diritto a difendersi”.
Il mercato delle armi: una macchina da soldi che non vuole spegnersi
La difesa è diventata la nuova droga dell’Occidente industrializzato. Dopo decenni di outsourcing produttivo e crisi del manifatturiero tradizionale, l’industria bellica rappresenta uno degli ultimi settori in grado di assorbire risorse pubbliche, creare lavoro (militarizzato) e generare esportazioni.
Dietro lo storytelling della “difesa europea” e della “deterrenza” si nasconde una cruda verità: guerre e tensioni sono oggi funzionali alla crescita economica di interi comparti industriali.
I governi, pressati da lobby potenti come Rheinmetall, Dassault, Leonardo, Lockheed Martin, Raytheon e BAE Systems, investono miliardi in sistemi d’arma che spesso non servono a nulla se non a mostrare i muscoli.
Nel frattempo, scuole crollano, ospedali soffocano, ricerca pubblica langue, pensioni vengono tagliate. Eppure per un drone armato o per un carro armato Leopard si trova sempre il budget.
Il rischio: un’apocalisse nucleare per difendere l’apparenza
L’Occidente si sta muovendo su un terreno sempre più pericoloso. L’idea che si possa sconfiggere militarmente la Russia senza rischiare un’escalation nucleare è un’illusione suicida. La dottrina russa non esclude l’uso di testate tattiche in caso di minaccia esistenziale. E nessuno può garantire che Mosca non decida, un giorno, di fare sul serio.
Più cresce il coinvolgimento occidentale (armi, mercenari, intelligence, satelliti, addestratori), più ci avviciniamo a una soglia irreversibile. E tutto questo per cosa? Perché leader sfiduciati come Macron o Scholz vogliono mostrarsi “duri”? Perché devono recuperare consensi interni cavalcando l’onda del militarismo? O perché, più prosaicamente, la NATO non può permettere che l’Ucraina si arrenda senza “salvare la faccia”?
Dove vogliono arrivare?
L’impressione è che alcune nazioni europee abbiano perso la bussola strategica. Invece di investire su un’Europa autonoma, pacificatrice, diplomatica e forte del suo soft power, stanno scimmiottando gli Stati Uniti, riproducendo le stesse logiche imperiali, ma senza la forza economica e militare di sostegno.
La crisi dell’economia industriale tradizionale, la paura del collasso del welfare, e l’incapacità di ridare un senso politico ai popoli europei, vengono mascherate dietro il ritorno a logiche belliche. È la guerra come distrazione. È il conflitto come collante nazionale. È il militarismo come stampella politica.
Siamo su un treno lanciato a tutta velocità verso un muro. La guerra non è più solo una tragedia umanitaria: è diventata un modello di sviluppo tossico, parassitario, manipolato da interessi industriali e politici.
Servirebbe oggi un’Europa del dialogo, della mediazione, della pace vera, non a parole ma nei fatti. Un’Europa che ascolta la propria gente – stanca di armamenti e di ipocrisie – e non si faccia dettare l’agenda da Washington o Tel Aviv.
Altrimenti, tra poco, non resterà più nulla da difendere. Solo macerie. E il ricordo di un’Europa che avrebbe potuto salvare sé stessa… ma ha scelto la guerra.
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