Il romanzo in cui la trama non conta
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Il Foglio
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Il romanzo in cui la trama non conta
Nella prima settimana di dicembre si conclude l’anno dei grandi premi letterari col consueto appuntamento alla fiera PiuLibriPiùLiberi, che si tiene alla Nuvola di Roma dal 4 all’8. E si conclude proprio col più giovane, ma anche il più ricco dei grandi premi, il Magis, nato da un’idea dello scrittore Sebastiano Nata capace di trovare un convinto sponsor in Bancomat. La giuria è composta interamente da critici e scrittori, venti in tutto, un po’ come lo Strega agli inizi, e il presidente è Marco Lodoli. Due sezioni: scrittori affermati e esordienti. Ma a distinguerlo è soprattutto l’impegno umanitario. Devolve infatti 250 mila euro a cinque organizzazioni impegnate nel campo dell’istruzione primaria e dell’imprenditoria femminile in zone disagiate. Il vincitore ne ottiene diecimila e l’esordiente più votato quattromila. E hanno entrambi voce in capitolo, almeno in parte, sulla destinazione del denaro destinato in beneficenza.
Allo Strega – dove la Feltrinelli ha sbaragliato con “L’anniversario” di Andrea Bajani un’avversaria rizzoliana degnissima come Elisabetta Rasy – si sono viste le solite baruffe per il dichiarato rammarico di Wanda Marasco rimasta fuori col suo “Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza), non soltanto dalla cinquina finale, ma anche dalla dozzina. Poi però si è rifatta vincendo il Campiello. E non solo. E’ forse l’autore che quest’anno, finalista in almeno tredici competizioni, ne ha vinte di più: il premio Costa Smeralda, quello dei Lettori Lucca-Roma, il nuovissimo Girifalco (in Calabria), e ora è in gara al Manzoni, a Lecco, dedicato ai romanzi storici. Sì, “Di spalle a questo mondo” è un romanzo storico, ma per certi libri l’etichetta non serve, anzi è persino sminuente. Marasco s’innamora di personaggi maschili “incrinati”, turbati nella psiche fino alla pazzia. Nel precedente “Il genio dell’abbandono” (sempre Neri Pozza) si trattava dello scultore Vincenzo Gemito; qui il personaggio centrale è il medico Ferdinando Palasciano, strettamente legato alla figura della moglie zoppa Olga Vavilova. Si muovono in una verosimile Napoli ottocentesca che risuona nell’affacciarsi discreto e comprensibile del dialetto.
Le loro vite sono strettamente legate alle vicende risorgimentali della città, ma non è la trama che conta. Conta la sproporzione fra i desideri di risanamento del prossimo che abitano Palasciano (non sopportava l’idea che non si dovessero curare anche le ferite del nemico sul campo, per dire) e la miseria del fattibile. Conta l’impossibilità di realizzare i sogni. Contano il dolore del fallimento e i limiti della nostra mente. Insomma complimenti al Campiello che ha avuto l’originalità di scegliere quest’anno storie lontane dalla forma romanzo più usurata e autori inconsueti come Marco Belpoliti e Monica Pareschi, Alberto Prunetti e Fabio Stassi. Poi la giuria “popolare” si è orientata verso il libro che più degli altri ha le sembianze del romanzo-romanzo di ottocentesca memoria, ma comunque dentro una gabbia modernamente “filosofica”.
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