Il settore vitivinicolo attende i contraccolpi di eventuali dazi. Ma le produzioni di qualità sembrano immuni

  • Postato il 10 maggio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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In attesa di capire se, quando e come scatteranno i dazi statunitensi sui prodotti europei ed italiani, i settori produttivi sono alle prese con simulazioni di vari scenari e strategie per attenuare il colpo delle tariffe commerciali. Uno dei comparti in prima linea è quello agroalimentare, con il vino tra i prodotti più sensibili. Secondo i dati di Federvini, negli Usa finisce quasi una bottiglia italiana ogni tre di quelle esportate per un valore cumulativo di circa 2 miliardi di dollari l’anno. New Jersey, New York e California gli stati che consumano più bottiglie made in Italy. La qualità leader sulle tavole a stelle e strisce è di gran lunga il Prosecco, seguito dai rossi toscani, dai bianchi di Friuli e Trentino, dai rossi piemontesi. Poi i vini del Veneto e i rossi siciliani.

Unione italiana vini indica che per l’80% (350 milioni di bottiglie) si tratta di prodotti che rientrano nella fascia “popular”, ovvero con prezzi al dettaglio al di sotto dei 13 dollari a bottiglia. È in questo segmento, dove il prezzo è fattore importante nella scelta di acquisto, che le ricadute dei dazi sono potenzialmente più pesanti. Si possono fare al momento soltanto ipotesi. Con tariffe al 20% l’impatto complessivo sarebbe vicino ai 400 milioni di euro ma con ricadute molto differenziate in base alla qualità e al costo inziale del prodotto.

Diverso il discorso per i vini “luxury”, il 2% del totale come quantità ma l’8% in valore. Una clientela più attenta alla qualità che ai prezzi è naturalmente meno influenzata dai rincari nelle scelte di acquisto. Inoltre. quando la produzione è limitata e il prodotto di elevata qualità, è più facile rimpiazzare i clienti statunitensi puntando su altri mercati, alcuni dei quali risultano ancora quasi “vergini” per certe eccellenze italiane, presentando potenzialmente elevati margini di crescita. In Cina e Giappone arriva, ad esempio, appena il 6% di tutto il vino italiano venduto all’estero, in Australia l’1%, nell’America centrale e del Sud il 2%. Meno aggredibili, per ragioni culturali e religiose, i paesi mediorientali e africani, dove comunque qualche margine esiste, visto che insieme assorbono appena l’1,2% del export.

Per queste ragioni, le produzioni di nicchia appaiono quasi immuni dal pericolo barriere commerciali. È il caso, tra i molti, delle malvasie secche delle isole Eolie. Pochi giorni fa si è tenuta una due giorni istituzionale promossa dalla Camera di Commercio di Messina e da Mirabilia network per definire strategie in grado di soddisfare una crescente richiesta del mercato per questi vini, a fronte di capacità produttive necessariamente limitata. La Doc Malvasia delle Lipari è stata istituita nel 1973 per valorizzare una viticoltura eroica praticata su 80 ettari nelle 7 isole siciliane. Qui i dazi sono un “non tema”.

Come spiega Carlo Hauner, vicepresidente del Consorzio Malvasia delle Lipari, “Come tutti dobbiamo aspettare per capire. Tuttavia essendo il nostro un prodotto di qualità, e con quantità piccole, è un tema che ci preoccupa fino a un certo punto. Ci rivolgiamo a una clientela che cerca qualità, per cui un euro o due in più non fa un’eccessiva differenza. Qualora davvero i dazi dovessero entrare in vigore e provocare un qualche impatto cercheremo nuove forme di promozione”. Ivo Blandina, presidente della Camera di Commercio di Messina osserva che “I dazi sono un problema che riguarda potenzialmente tutto l’export siciliano ed italiano ed è assurdo che si mettano in discussione decenni di contrattazioni sul commercio internazionale. Tuttavia, ci spiega, credo che l’eccellenza e la qualità di prodotti con tradizione millenaria possa permetterci di superare la barriera del maggior prezzo tra consumatori attenti soprattutto alla qualità”.

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