Il significato dei titoli dei film che si è "lost in translation"
- Postato il 11 ottobre 2025
- Di Il Foglio
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Il significato dei titoli dei film che si è "lost in translation"
Robert Frost sosteneva che la poesia è quello che si perde nella traduzione: chissà come reagirebbe di fronte a Lost in Translation di Sofia Coppola, titolo ispirato proprio da quella sua affermazione, diventato in Italia L’amore tradotto. A volte è impossibile rendere le sfumature dell’originale, ma spesso la traduzione diviene un tradimento. L’espressione Les quatre cents coups intende “farne di tutti i colori”, come risulta evidente dalle vicende di Antoine Doinel, ma i distributori hanno replicato pedissequamente il titolo, ottenendo un risultato misterioso e vagamente gangsteristico. A Truffaut è capitato di peggio: Domicile conjugal è diventato: Non drammatizziamo… è solo questione di corna!
A volte il tradimento è nelle sfumature: Reality Bites / La realtà morde, diventa Giovani, carini e disoccupati, e l’energia del titolo americano viene sostituita dalla disillusione di quello italiano. Analogo il caso di My Own Private Idaho, dove il riferimento allo stato sottintende un modo di vivere la provincia in maniera personale e rabbiosa. In Italia tutto ciò viene trasformato in un giudizio che rimanda a Fitzgerald: Belli e dannati. Questo tipo di salto logico, e spesso ideologico, si esalta nei film sulla gioventù: Rebel without a Cause dimostra che anche i titoli americani esprimono giudizi, ma Gioventù bruciata è una condanna definitiva. Nel raccontare un ragazzo che rinuncia al talento di podista per ribellarsi a una società che disprezza, Tony Richardson lascia il titolo del racconto di Allan Sillitoe, ma La solitudine di un corridore di fondo lascia il posto a un titolo programmatico che sembra il manifesto di un film manifesto: Gioventù, amore e rabbia. Il tema generazionale spinge verso traduzioni forzate e moralistiche: il neutro The Secret History, di Donna Tartt, diventa una sentenza in Dio d’illusioni, mentre L’attimo fuggente perde l’evocazione dei poeti estinti di Dead Poets Society. Perde invece il potenziale esplosivo Arancia meccanica, eppure l’originale Clockwork suggerisce una bomba a orologeria.
Non mancano i titoli intraducibili: Catcher in the Rye diventa Il giovane Holden rispetto all’improponibile Difensore nella segale, e il gioco di parole di John Le Carrè in Tinker, Tailor, Soldier, Spy, dove il termine dissonante sostituisce sailor, diviene il generico e riassuntivo La talpa. Gioca su un’assonanza Sleepless in Seattle, ma da noi è risolto con il melenso Insonnia d’amore, mentre il riferimento alla clausola assicurativa su cui ruota l’intero plot di Double Indemnity è adattato nel goffo riferimento erotico della Fiamma del peccato.
Il riferimento al Monopoli di The King of Marvin Gardens, non è stato colto dal nostro distributore, che ha tradotto in maniera letterale: il luogo citato rappresenta la casella di maggior lusso del gioco, e la persona cui si fa riferimento è quindi un uomo che sa collocarsi sempre nel posto migliore. Lo spettatore si chiede cosa siano questi giardini, perché ci sia un re e infine chi sia Marvin. Mistero simile a L’uomo dai sette capestri di John Huston: un insensato titolo a effetto che nega la scelta epica di The Life and Times of Judge Roy Bean.
E’ causato dall’ignoranza quanto avviene in Driving Miss Daisy, che racconta il rapporto tra una signora del sud e il suo autista di colore. Sia il verbo drive che l’uso del termine “Miss” sottolineano la deferenza del protagonista, ma A spasso con Daisy annulla il rapporto di classe e suggerisce un’inesistente relazione nella quale è consentito l’uso del “tu”. Anche alcuni classici non sono riusciti a salvarsi: Paths of Glory è un emistichio dell’Elegia scritta in un cimitero di campagna nel quale Thomas Gray ammonisce che i Sentieri della gloria “lead but to the grave / non conducono che alla tomba”.
L’atteggiamento di Kubrick nei confronti della guerra è chiaro sin da quella prima scelta, tronca e dolente, ma Orizzonti di gloria annulla il riferimento al poeta inglese e rende generico il titolo del film. Perfino Quarto potere è il frutto di un tradimento: Citizen Kane è per Orson Welles la storia esemplare di un ambiguo eroe americano, ma l’adattamento italiano sposta l’attenzione sul tema della stampa, centrale, ma per nulla esaustivo. Quando Paddy Chayefsky e Sidney Lumet realizzano Network, il loro vibrante atto di accusa sul potere della televisione, gli adattatori aggiornano l’antica suggestione in Quinto potere, rifacendosi a una realtà coerente, ma del tutto virtuale.