“Il Tg1? Quando non mi hanno rispettato, ho chiuso la porta e ho mandato il direttore a fare in c**o. Ho già pronti 3 epitaffi per la mia tomba”: Vincenzo Mollica si racconta

  • Postato il 17 agosto 2025
  • Televisione
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Una vita passata a raccontare i sogni degli altri – il cinema di Fellini, la musica di Conte, i fumetti di Pazienza – e ora, una vita raccontata attraverso i propri ricordi, che si fanno “più chiari e limpidi” proprio ora che la vista se n’è andata. Vincenzo Mollica, per quasi mezzo secolo l’uomo dello spettacolo del Tg1, si è concesso in una lunga e toccante intervista al Corriere della Sera, un viaggio tra aneddoti esilaranti, dolori privati e una filosofia di vita incrollabile.

Il cuore del suo racconto è il legame profondo con Andrea Camilleri. Un’amicizia nata a metà degli anni ’90 e diventata ancora più forte quando entrambi hanno iniziato a perdere la vista. “Affrontammo questa lunga discesa agli inferi oculistica praticamente assieme”, ricorda Mollica. “Una quindicina di anni fa, avendo capito che cominciavo ad aver problemi, mi fece: ‘Vincenzino, tu come vedi?’. E io: ‘A sinistra per niente, a destra mi arrangio’. Così, le volte successive che ci incontravamo, la domanda era sempre la stessa: ‘Vincenzino, com’è oggi? Penombra o luce piena?'”. Quando per entrambi la penombra è diventata buio, Mollica gli chiese se potesse esistere “una specie di arte del non vedere“. La risposta di Camilleri, racconta, “è la lezione che mi accompagna ancora oggi, tutti i giorni: ‘Sentirai i sapori e i profumi come non li hai mai sentiti. E, soprattutto, i sogni e i ricordi avranno un colore che così chiaro e limpido con la vista non lo puoi vedere‘. Aveva ragione”. Ricorda l’ultimo incontro, poco prima dello spettacolo su Tiresia, l’indovino cieco. “Avendo sentito che ero arrivato, Camilleri urlò verso di me: ‘Vincenzino, vieni che ti voglio abbracciare!’. E io, che stavo a pochi passi: ‘Sempre se ci incontriamo, Andrea…’. E se non risultasse troppo sarcastico, potrei dire che fu l’ultima volta che lo vidi”.

Assunto in Rai il 25 febbraio 1980, due giorni prima di Enrico Mentana, Mollica descrive quel Tg1 come un “luna park“, un luogo mitico popolato da giganti come Bruno Vespa e Tito Stagno. In quarant’anni ha lavorato sotto 27 direttori. Ed è andato d’accordo con tutti? “Non proprio”, ammette. “Quando non ho avuto indietro lo stesso rispetto che ho dimostrato, col massimo dell’educazione e dell’umiltà ho bussato alla porta del direttore, l’ho richiusa alle mie spalle e l’ho mandato a fare in culo“. A chi? “Non glielo faccio un nome, solo per un motivo: ho deciso che questa esperienza debba essere un ricordo esclusivo di chi ha avuto il privilegio di farla”. La sua cifra stilistica è sempre stata la passione. Rifiutò il passaggio al Tg5 di Mentana su consiglio di Fellini e Arbore, e convinse i suoi direttori a mandare in onda servizi “strampalati”, come quello su Pippo, l’amico di Topolino, “un grande esempio di filosofo contemporaneo”. E alle critiche di non fare mai stroncature, risponde: “O parlo e racconto le mie passioni; o non parlo e non racconto. Io so lavorare in un solo modo e con tre cose: passione, curiosità, fatica”.

Oggi, Vincenzo Mollica affronta la sua nuova condizione con l’ironia di sempre, tanto da aver già preparato tre possibili epitaffi per la sua tomba. Il primo, un omaggio al suo alter ego di Topolino: “Qui giace Vincenzo Paperica, che tra gli umani fu Mollica”. Il secondo, un gioco di parole sulla sua cecità: “Omero non fui per poesia. Ma per mancanza di diottria“. E l’ultimo, il più semplice e forse il più vero: “Mollica, fu uomo di fatica”.

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