Ilva, l’idea: l’ambientalizzazione nel 5% per la difesa. Il governo non risponde sugli esuberi
- Postato il 14 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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L’acciaio green dell’Ilva finirà nel 5% del Pil in spese in armi e sicurezza che l’Italia si è impegnata a raggiungere. “Perché senza siderurgia non c’è industria della difesa”. L’ambientalizzazione di Taranto, insomma, finirà insieme a Ponte sullo Stretto e Diga di Genova nel novero degli investimenti chiesti dalla Nato. È l’escatomage che il governo – imbeccato da Federacciai nelle scorse settimane – sta pensando di portare avanti, sfruttando la parte di 1,5% destinato alla sicurezza, per supportare un passaggio epocale che i privati sono restii a finanziare e per il quale ballano circa 6 miliardi di euro.
Buio pesto sugli esuberi e il sindaco di Taranto è cauto sull’intesa
A illustrare l’idea di fronte a sindacati ed enti locali è stato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, nell’incontro convocato alla vigilia del faccia a faccia con Regione, Provincia e Comuni di Taranto e Statte chiamati a decidere sull’accordo di programma. Un’intesa ancora lontana – Michele Emiliano ha aperto, ma il sindaco Pietro Bitetti ipotizza di firmare un pre-accordo da portare in Consiglio comunale – mentre i rappresentanti dei metalmeccanici continuano a richiedere garanzie occupazionali nei due scenari ipotizzati con i forni elettrici, rispetto ai 10.500 dipendenti attuali perché le nuove tecnologie richiedono minor personale a parità di acciaio prodotto. Ma il governo non ha comunque chiarito nulla, lasciando solo intendere che tutto verrà gestito con esodi incentivati e “nessuno resterà indietro” ad ambientalizzazione completata tra 7-8 anni. Sempre che tutto fili per il verso giusto rispetto ai programmi illustrati al ministero.
Le previsioni
Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, che gestisce il siderurgico, ha spiegato che è necessaria una produzione di 8 milioni di tonnellate annue di acciaio attraverso 4 forni elettrici, tre a Taranto e uno a Genova. Ogni forno elettrico è in grado di sfornare 2 milioni di tonnellate nei dodici mesi, quindi sei verranno prodotte in Puglia e due in Liguria. “In linea con il piano di decarbonizzazione, i forni dovranno essere alimentati tramite 4 impianti di preriduzione“. Allo stato, hanno spiegato i commissari, si sta valutando la “fattibilità tecnica della realizzazione” dell’impianto di preriduzione a Genova: sul punto, si avrà un chiarimento la prossima settimana.
Le due opzioni
Con la realizzazione di 3 forni a Taranto e uno in Liguria alimentati da impianti di preriduzione, Acciaierie d’Italia prevede tuttavia gli stessi livelli produttivi ma differenti tempi per la completa decarbonizzazione. Se non viene realizzato l’impianto di preriduzione a Genova, l’Ilva “green” sarà in marcia tra 8 anni, nel 2033. La realizzazione di un impianto di preriduzione a Genova, invece, accorcerebbe di un anno i tempi, anticipando la decarbonizzazione al 2032. Con una dovuta “nota” sottostante i tempi illustrati: l’inizio della decarbonizzazione, a oggi prevista già nel primo trimestre del prossimo anno, dipende dall’ottenimento della conessione all’infrastruttura elettrica 380 kV a Taranto che è dettata da “fattori esterni“.
Come cambierà l’occupazione di Ilva?
In ogni caso, lo scenario dell’occupazione andrà gestito. Gli impianti elettrici hanno necessità di minore manodopera (si rischiano fino a 3-4mila dipendenti in meno). Il governo al momento ritiene che i livelli occupazionali dipendano anche dagli impianti per la produzione di ferro preridotto, ancora in bilico: certamente per gestire gli esuberi si ricorrerà a strumenti straordinari (come uscite incentivate e altro) nell’arco degli otto anni del piano. “Qualsiasi accordo di programma tra i livelli istituzionali deve tenere in conto che per noi non esistono esuberi”, avvisa il segretario generale della Uilm Rocco Palombella. “Abbiamo ribadito che serve continuità produttiva – ha ribadito Michele De Palma, leader della Fiom – e che servono garanzie occupazionali e che per noi la partecipazione pubblica è fondamentale”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Usb: “Senza garanzie per i lavoratori, non avalleremo alcun accordo. Possono promettere anche 20 milioni di tonnellate di acciaio e forni da cui esce profumo, ma se non c’è un piano credibile per chi oggi tiene in piedi la fabbrica, la transizione sarà solo un’altra operazione di macelleria sociale travestita da Green Deal. Prima si tutelano le persone, poi si discute degli impianti”, dicono Sasha Colautti e Francesco Rizzo dell’esecutivo nazionale.
L’incontro di martedì con gli enti locali
Il tutto al netto di quanto accadrà domani (martedì 15, ndr) quando gli enti locali di Taranto scioglieranno le riserve sull’accordo di programma. In ogni caso Urso ha confermato che il 1° agosto sarà riaperto il bando per la vendita degli impianti: se tutto andasse secondo i piani, l’iter si dovrebbe concludere all’inizio del 2026 con il definitivo passaggio al nuovo investitore. “Dovremo adeguare la gara in corso alle nuove condizioni, già a fine luglio. Per questo è assolutamente necessario che tutto sia chiaro nei prossimi giorni. È ovvio che avere a Taranto anche gli impianti per la produzione di ferro preridotto (Dri) sia un elemento di forte attrattività per gli investitori. Ma vorrei ricordare un aspetto: l’importante è che si capisca chiaramente che qualunque sia il capitale o la nazionalità dell’azienda, senza Aia lo stabilimento è destinato alla chiusura”, aveva già anticipato il ministro.
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