Ilva, l’ultimo scaricabarile di Urso: “Senza Aia, il Tribunale la chiuderà”. Ma si sa da un anno

  • Postato il 27 giugno 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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In principio fu il sequestro dell’altoforno 1, quindi il problema era diventato la necessità di un via libera degli enti locali all’accordo di programma per non far fallire la vendita, ora sulla chiusura di Ilva incombe la sentenza del Tribunale di Milano, chiamato a decidere su un ricorso presentato dagli attivisti legato all’Autorizzazione integrata ambientale. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso lancia un nuovo allarme, che nuovo in realtà non è perché la pronuncia dei giudici è attesa da un anno. Ma il governo pare essersene ricordato solo ora e quindi è tutta una corsa contro il tempo per mettere d’accordo Regione Puglia, la Provincia di Taranto e i Comuni di Taranto e Statte affinché firmino un’intesa che è propedeutica anche a soddisfare la volontà di qualche compratore, a iniziare dall’unico che oggi è formalmente in pista, Baku Steel.

“Entro luglio, se non ci sono accordo di programma e Autorizzazione integrata ambientale, non parleremo solo di 4mila in cassa integrazione ma della chiusura dell’ex Ilva a causa della sentenza del Tribunale di Milano”, è stato l’alert di Urso nell’ultimo incontro con i sindacati in videoconferenza dopo che mercoledì aveva preso un “due di picche” da Provincia e Comune su una firma in bianco all’accordo di programma. L’esecutivo insomma continua a premere affinché accettino l’accordo di programma impostato nelle scorse settimane che, tra le altre cose, prevede l’approdo di una nave rigassificatrice nel porto della città jonica per alimentare l’acciaieria quando verranno realizzati i forni elettrici con il preridotto, essenziali per l’ambientalizzazione. Riguardo all’Aia, sulla quale si discute da mesi e che è uno degli scogli alla vendita, il ministro ha chiarito: “Deve anche essere sostenibile economicamente”.

Acciaierie d’Italia, che gestisce il siderurgico ed è in amministrazione straordinaria, reputa che le prescrizioni della nuova Aia (l’attuale è scaduta nel 2023 ed è stata prorogata) sia troppe ed estremamente dispendiose: è questo uno dei veri nodi, tenuto in secondo piano per settimane mentre il ministro addossava la colpa di un possibile naufragio del rilancio all’azione della procura tarantina dopo l’incendio del 7 maggio nell’Afo1. “Gli enti locali devono dirci se vogliono la nave perché senza nave gli impianti Dri possono essere fatti anche in altri territori italiani – ha insistito il ministro minacciando di spostare il “cuore” del siderurgico – Se l’Aia arriverà in tempi congrui si potrà evitare la sentenza del Tribunale di Milano. Per questo ho chiesto con urgenza un accordo pieno”. La vicenda della sentenza milanese corre sottotraccia da settimane, ma in realtà è noto a tutti – governo compreso – che il giudizio pendente è una spada di Damocle sull’area a caldo dell’acciaieria.

“Mentre Roma discute, Sagunto è espugnata”, è stato il senso del discorso del ministro che ha invitato la politica a agire per evitare che a decidere sia il Tribunale. Dimenticando però che la sentenza è attesa da un anno. A fine giugno 2024 la Corte di Giustizia Ue aveva chiarito: “Se Ilva provoca danni alla salute, va fermata. Non si possono prorogare le autorizzazioni”. A interpellarla era stata proprio il tribunale milanese che in un’istanza aveva chiesto “se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria Ilva (i vari decreti Salva Ilva, ndr) al fine di garantirne la continuità siano in contrasto con la direttiva” europea del Parlamento Ue e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali. Quella era stata la riposta della Corte di Giustizia Ue, nella quale veniva poi specificato che la valutazione sul pericolo attuale era demandata ai giudici lombardi, chiamati in causa da un’azione legale inibitoria, una “class action” portata avanti dall’avvocato Maurizio Rizzo Striano per conto dell’associazione Genitori Tarantini.

“Non possiamo accettare un atteggiamento di scarico di responsabilità verso le organizzazioni sindacali, peraltro non presenti al tavolo sull’accordo di programma. Occorre una svolta immediata e radicale nella gestione di questa crisi. Non è più tollerabile che, dopo oltre un decennio, migliaia di lavoratrici e lavoratori continuino a vivere nell’incertezza, stretti tra emergenze ambientali, industriali e sociali”, hanno dichiarato la segretaria confederale della Uil, Vera Buonomo, e il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. “Il tempo stringe e si rischia di arrivare a un punto di non ritorno, vista la condizione drammatica in cui versano gli stabilimenti – hanno proseguito i due sindacalisti – È necessaria una maggiore autorevolezza da parte del governo, spingendo affinché le amministrazioni locali coinvolte giungano a una soluzione definitiva, concreta e rapida. Il tempo dei rinvii e delle non decisioni è finito”.

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