Immortalità in laboratorio: la nuova frontiera delle biotecnologie

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Di Panorama
  • 1 Visualizzazioni

È uno scambio di battute che ha fatto il giro del mondo, quello tra Vladimir Putin e Xi Jinping lo scorso 3 settembre a Pechino. «La biotecnologia progredisce di continuo», ha detto Putin. «Gli organi umani possono essere ripetutamente trapiantati. Più a lungo vivi, più giovane diventi. Si può persino raggiungere l’immortalità». E Xi Jinping ha risposto: «In questo secolo, si prevede che le persone possano vivere fino a 150 anni».

L’ingenuità solo apparente di queste affermazioni ha portato molti a congetturare diverse interpretazioni, dalle più pragmatiche alle più speculative: come se i due leader volessero sagacemente alludere ad altro. Emblematica quella di Chad de Guzman, corrispondente del settimanale americano Time, per il quale i due potenti volevano far interrogare il mondo sul loro potere tecnologico nel campo della salute e del controllo stesso della vita. Insomma, intendevano trasmettere l’idea di un dominio globale che non vuole essere solo militare ma anche biologico. Sullo sfondo, una cultura politica in cui l’idea di longevità è insita nel leader stesso, considerato come una sorta di “eterna guida”.

Ma al di là delle speculazioni, che cosa c’è di vero? E qual è il punto con il progresso delle biotecnologie?

Se stiamo a un’interpretazione letterale, l’affermazione di Xi che le persone vivranno fino a 150 anni entro fine secolo, non trova conforto nelle ricerche recenti. Senza progressi ulteriori nella medicina, i giovani di oggi potrebbero non vivere tanto di più rispetto ai loro genitori.

Per esempio, uno studio del Max Planck Institute pubblicato sulla rivista scientifica americana Pnas (Proceedings of the national academy of sciences), ha appena trovato che i miglioramenti dell’aspettativa di vita registrati nei Paesi ad alto reddito nella prima metà del Ventesimo secolo hanno subìto un rallentamento significativo e che nessuna delle generazioni nate dopo il 1939 raggiungerà in media i 100 anni. Un altro studio dell’università inglese di East Anglia, pubblicato su The Lancet, rivela che dopo il 2011 in molti Paesi europei il ritmo con cui la speranza di vita aumentava ha rallentato a causa di fattori quali obesità, dieta scorretta, inattività fisica, effetti dell’epidemia Covid. E l’anno scorso, nella sezione “Aging” di Nature si leggeva che dove la popolazione è longeva, i miglioramenti nella speranza di vita stanno diminuendo sempre di più, come se avessimo raggiunto il valore limite della longevità. Ci sarebbe dunque un limite nell’età massima raggiungibile oltre il quale è difficile spingersi, almeno con le conoscenze e tecnologie attuali.

Ed è proprio in quest’ultima precisazione che sta il nocciolo della questione. Le tecniche a mRna e del Crispr-Cas9 hanno fatto della biotecnologia un campo in grado di riprogrammare la vita a livello fondamentale.

E la sua integrazione già in atto con diverse altre tecnologie, quali la bioinformatica e l’Intelligenza artificiale, o nuovi paradigmi di calcolo, come l’High-throughput computing (Htc), con tutta probabilità accelereranno la scoperta di nuovi composti biologici, favoriranno la nostra capacità di correggere malattie incurabili e ci permetteranno di costruire organi e tessuti per i trapianti. Ed è proprio a questi ultimi che Putin si riferiva.

«Se i progressi della ricerca sulla stampa 3D di organi per i trapianti (bioprinting) continueranno, sarà possibile vivere fino a 120 anni» afferma Giovanni Vozzi, professore di bioingegneria all’università di Pisa. «Penso alla possibilità di ricostruire il più fedelmente possibile, in tutte le scale, la complessità di un tessuto. Si chiama stampa in 3D perché gli organi vengono stampati strato per strato sulla base di un modello 3D digitale, come una Tac o una risonanza magnetica» aggiunge Vozzi. Le testine della stampante contengono “bioinchiostro”, ovvero biomateriali, come idrogel bioattivi per promuovere la crescita del nuovo tessuto, fattori di crescita, cellule e altre biomolecole. Le cellule che formano l’inchiostro provengono da una biopsia, hanno generalmente subìto un intervento di biotecnologia e sono poi mescolate a una soluzione con nutrienti capaci di farle proliferare. Così un fegato artificiale può essere immaginato come una sovrapposizione di strati di epatociti e altre cellule di quest’organo, tra cui quelle che compongono gli stessi vasi sanguigni. La “testina” biostampa strato per strato i diversi tipi di cellule fino a costruire l’intero organo» spiega nel dettaglio l’esperto. «La notizia positiva è che, se prima i tessuti erano costruiti in laboratorio riproducendo le condizioni dell’organismo, quali temperatura, pressione, umidità eccetera, adesso la stampa può essere eseguita direttamente nel corpo umano. Per esempio, il nostro progetto europeo “Luminate”, che coordino, mira a ricostruire totalmente i difetti osteocondrali (osso+cartilagine) danneggiati per chi ha avuto lesioni traumatiche e tumori. Lo fa grazie a uno strumento che  biostampa direttamente all’interno del corpo umano. E l’altro nostro progetto “Tentacle” rigenera tessuto mucoso e sottomucoso dei pazienti affetti da colite ulcerosa o da poliposi adenomatosa familiare grazie alla biostampa dei tessuti del colon direttamente all’interno dell’intestino del paziente».

Il punto cruciale di queste ricerche è che le cellule iniettate non solo sono ottenute da quelle del paziente stesso, ma sono anche bioingegnerizzate, quando necessario, per esempio nel caso della presenza di una malattia.

Il bioprinting riguarda potenzialmente lo sviluppo di qualunque organo e tessuto. «In Svezia si stanno sviluppando cornee costruite col bioprinting per il loro trapianto futuro. Si studia la possibilità di bio-stampare il fegato ma anche organi complessi come la retina. Progetti di biostampa dell’epidermide, delle ossa, dei follicoli piliferi, del bioma batterico sono tutti già in essere e nei prossimi anni avremo una medicina personalizzata in cui si costruiranno organi per un dato paziente a partire dalle sue cellule bioingegnerizzate o dalle sue cellule staminali» conclude Vozzi.

La ricerca sui trapianti include altre strategie. Quella sugli xenotrapianti, cioè i trapianti da animale a uomo, segna progressi continui: recentemente un polmone di maiale è stato innestato con successo da scienziati della Guangzhou Medical University in un paziente umano, ed è rimasto vitale e funzionale per nove giorni. Lo stesso dicasi per il chimerismo, il tentativo di far crescere un organo umano (o quasi umano) dentro l’animale, per poi trapiantarlo. Pochi mesi fa, ricercatori cinesi della Guangzhou Institutes of Medicine and health per la prima volta sono riusciti a far crescere cuori pulsanti contenenti cellule umane all’interno di embrioni di maiale.

A prolungare la vita contribuiranno anche le terapie cellulari che, invece di sostituire un intero organo, utilizzano le cellule per ripararlo o potenziarne la funzionalità. Esempi sono le iniezioni di cellule staminali in cuori danneggiati, i trapianti di cellule insulari per il diabete o la Car-T therapy per i tumori del sangue. Quest’ultima consiste nel prelevare i linfociti T del paziente, modificarli in laboratorio per “armarli” contro le cellule tumorali, e reinfonderli nella persona.

Carl June, professore di Immunoterapia alla Parelman School of Medicine dell’università della Pennsylvania, è considerato il padre di questa tecnica. Panorama lo ha intervistato in occasione dell’assegnazione del prestigioso Premio Balzan 2025, uno dei più autorevoli riconoscimenti nel campo della cultura a livello internazionale. «In futuro vedremo le cellule Car-T trattare efficacemente tumori solidi come il pancreas e il glioblastoma» dice June. «La prossima frontiera è l’utilizzo di questa tecnologia per ripristinare il sistema immunitario e curare malattie autoimmuni, come il lupus e la sclerosi multipla. Per arrivarci, dobbiamo progettare cellule Car-T “più intelligenti”, in grado di resistere all’ambiente tumorale, colpire più antigeni per prevenire le ricadute ed essere prodotte a costi più contenuti». Per tutto ciò, le biotecnologie dovranno compiere altri progressi. «La tecnica Crispr/Cas9 è paragonabile a una sorta di forbice molecolare. Per ottenere la prossima generazione di terapie» spiega ancora June «abbiamo bisogno di effettuare più modifiche contemporaneamente. L’obiettivo è eliminare i geni che causano l’esaurimento cellulare e rendono le cellule suscettibili al rigetto così da inserirne altri capaci di proteggere le cellule T dalle difese tumorali. Tecnologie come il base editing e il prime editing, in grado di consentire modifiche più sottili senza rompere completamente il Dna, saranno fondamentali per progettare questi farmaci cellulari più sofisticati e sicuri». Così, i Paesi che conquisteranno il predominio sulle biotecnologie lo avranno anche sul trapianto degli organi e sulle terapie cellulari, e dunque sull’allungamento della vita.

La National security commission on emerging biotechnology, commissione del Congresso degli Stati Uniti, ha concluso che «la Cina sta acquisendo la leadership nel settore biotecnologico, avendolo reso una priorità strategica per vent’anni» e che «per rimanere competitivi gli Stati Uniti devono agire rapidamente, altrimenti rischiano una battuta d’arresto irrecuperabile».

Il forte supporto statale e l’armonizzazione normativa per far sì che i dati provenienti dagli studi clinici cinesi supportino le richieste di autorizzazione in altre parti del mondo ha accelerato le collaborazioni transfrontaliere. Fondamentale il fatto che ora è più facile e veloce condurre studi clinici in Cina che negli Stati Uniti. In termini di valore, il 32 per cento degli accordi di concessione di licenze farmaceutiche in tutto il mondo nella prima metà del 2025 ha coinvolto la Cina, con un aumento del 21 per cento annuo.

«Le conseguenze sono duplici», conclude June. «Da un lato la competizione crea un potente motore per l’innovazione globale, ma dall’altro solleva seri interrogativi sugli standard etici, l’armonizzazione normativa e la proprietà intellettuale. Assisteremo a un cambiamento geopolitico nella leadership scientifica. La sfida per la comunità globale, compresi Stati Uniti ed Europa, sarà quella di promuovere una sana competizione e collaborazione, garantendo il mantenimento dei più elevati standard scientifici ed etici per la sicurezza dei pazienti e l’integrità dei dati».

In definitiva, da un punto di vista scientifico l’obiettivo di allungare la vita attraverso le biotecnologie è a portata di mano. Ma c’è un limite. Anche se il trapianto di organi diverrà routine nella pratica medica, dovremo sempre fare i conti con il fatto che la capacità dell’organismo di compiere le sue funzioni, con l’età, inevitabilmente si riduce.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti