In Italia mancano 65mila infermieri, gli stranieri aumentati del 47% in 5 anni. Crescono dimissioni volontarie ed expat

  • Postato il 12 maggio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’Italia invecchia e la popolazione italiana ha sempre più bisogno di assistenza e prevenzione. Servono infermieri: in occasione della Giornata internazionale emerge dai dati una forte carenza di professionisti sanitari, che viene soltanto in parte colmata da chi viene dall’estero. Nel nostro Paese ne mancano 65mila e rispetto al 2020 quelli stranieri sono aumentati del 47,3%, spinti anche dalle disposizioni del Decreto Cura Italia e del Decreto Ucraina, che hanno agevolato l’ingresso di oltre 17mila di loro. E ne servono anche 3mila sul fronte delle cure palliative, con una carenza del 66% rispetto alle necessità. Secondo la Società italiana di cure palliative (Sicp), infatti, sono circa 1.500 quelli che lavorano a domicilio, a fronte di un fabbisogno stimato di almeno 4.550 professionisti. Guardando invece agli stranieri, al 30 aprile 2025 sono 43.600 quelli presenti in Italia, di cui 26.600 iscritti regolarmente all’albo professionale.

A evidenziarlo è l’ultima indagine coordinata da Foad Aodi, medico, giornalista internazionale, esperto di salute globale, Direttore dell’Aisc, membro del Registro esperti Fnomceo, come ricordato da una nota di Amsi, Umem, Co-mai, Usem e Movimento Uniti per unire, in collaborazione con Aisc News. Secondo il dossier, le principali comunità infermieristiche straniere in Italia provengono da Romania (12mila), Polonia, Albania, India e Perù, con una presenza significativa in Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Campania. A livello europeo anche Francia, Germania e Regno Unito affrontano una crescente dipendenza dagli infermieri di origine straniera. La Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) calcola inoltre che “gli infermieri attualmente attivi in Italia sono circa 400mila, su 460mila iscritti all’Ordine. Tra questi, ci sono 50mila liberi professionisti, ma la maggior parte lavora nel sistema pubblico e in quello privato accreditato.

Secondo la Ragioneria dello Stato, si stima una carenza di 65mila unità, “di cui circa 30mila previste dal Pnrr per l’assistenza territoriale”, spiega la presidente di Fnopi Barbara Mangiacavalli, che evidenzia anche il nodo della cosiddetta “gobba pensionistica”, ovvero gli infermieri che andranno in pensione. “Abbiamo stimato, dal 2023 al 2033, circa 110mila uscite”, dice. Per questo, ha aggiunto, “la questione infermieristica non è solo una questione di una singola professione, ma riguarda l’intera Italia, e va affrontata da una cabina di regia interministeriale, perché sempre più persone vivranno con patologie croniche già diagnosticate, per le quali la sfida non sarà solo clinica, ma soprattutto assistenziale. È un cambiamento epocale che chiama in causa il territorio come fulcro del sistema sanitario”. Il problema della carenza infermieristica, analizzato in tutto il Rapporto, non si risolve solo con incentivi economici. “Preoccupano i tantissimi infermieri che lavorano all’estero dopo essersi formati qui, così come preoccupano – conclude – coloro che abbandonano gli studi perché non trovano soddisfacente il sistema lavorativo. I giovani cercano lavori con competenze specialistiche“. Serve, quindi, “rendere attrattiva la professione, offrendo reali possibilità di carriera, percorsi di crescita e riconoscimento”.

Stipendi bassi, aggressioni, costi nelle città proibitivi: perché gli infermieri se ne vanno dall’Italia – Sono tanti i professionisti formati in Italia che decidono di andarsene alla ricerca di condizioni migliori, che all’estero, peraltro, riescono generalmente a trovare. “Siamo il Paese che forma ottimi professionisti e poi li costringe a fare le valigie”, dice il segretario nazionale del sindacato Coina Marco Ceccarelli che, parlando del nostro Paese ricorda che l’Italia resta tra i fanalini di coda in Europa con 6,5 infermieri ogni mille abitanti, contro la media Ue di 8,4. “Nel 2024 oltre 6mila infermieri sono emigrati, attratti da stipendi dignitosi e condizioni di lavoro umane”. Nel 2022, la retribuzione annua lorda di un infermiere italiano era di 48.931 dollari a parità di potere d’acquisto, 9.463 dollari in meno rispetto alla media Ocse di 58.394 dollari. Divario “diventato insostenibile”, spiega Coina in una nota. Altra criticità le aggressioni al personale sanitario, “effetto di un rapporto incrinato tra cittadini e professionisti sanitari, deteriorato da anni di politiche sbagliate e tagli progressivi”, che hanno trasformato i professionisti in “bersagli dell’esasperazione popolare”.

Un quadro fatto di insostenibilità economica, aggressioni e sfiducia, che ha portato a oltre 20mila dimissioni volontarie in soli 9 mesi del 2024, +170% rispetto al 2023, spiega Antonio De Palma, presidente del sindacato Nursing Up. Un esodo che ha il proprio fulcro nei lavoratori meridionali emigrati al Nord, che ora tornano a casa perché impossibilitati a vivere con affitti che assorbono quasi il totale degli stipendi da 1500/1600 euro al mese. Bologna, Milano, Venezia: decine di dimissioni ogni mese, spesso senza sostituzioni. A Milano, la soglia minima per vivere da soli supera di 450 euro lo stipendio medio netto di un infermiere. “Siamo poveri certificati, lavoratori fragili, eppure teniamo in piedi gli ospedali”, denuncia De Palma. “Oltre il 70% dei professionisti è costretto a indebitarsi per arrivare a fine mese”. Sono 130mila gli infermieri aggrediti ogni anno, e nei primi 3 mesi il 2025 ha visto un aumento del 30%. “Non solo non siamo tutelati”, continua De Palma, “siamo lasciati soli, sotto tiro, nel silenzio delle istituzioni”. E la carenza di personale, calcolata sulla base degli standard Ue su dati Ocse in almeno 175mila unità, è “una disfatta”. Un’indagine su 1500 infermieri tra novembre e marzo 2025 ha rivelato che il 90% si sente sottovalutato, l’88 non crede in un miglioramento, e il 75 sconsiglierebbe la professione ai giovani. Il 60%, poi, valuta di trasferirsi all’estero, a fronte di un 70% che vive con rinunce gravi o debiti. “Siamo al punto di non ritorno. O si salva la professione infermieristica ora, o la sanità pubblica crolla. E con essa l’Italia che si prende cura dei cittadini”, conclude De Palma.

Per uscire dall’emergenza, il Coina mette nero su bianco una serie di proposte: assunzione immediata di almeno 100mia infermieri; retribuzioni che siano adeguate alla responsabilità e al costo della vita; sicurezza negli ospedali con presidi di pubblica sicurezza attivi h24; campagne di sensibilizzazione per ricostruire il rispetto verso i professionisti della sanità; investimenti nella sanità territoriale “oggi quasi assente soprattutto al Sud”; percorsi di carriera chiari e trasparenti per valorizzare l’impegno di chi lavora da anni nel sistema e dei giovani in ingresso. Il problema, conclude Ceccarelli, si risolve “con un intervento radicale e strutturale. Una società che abbandona chi la cura è una società malata, destinata al collasso. Gli infermieri non chiedono eroi, ma dignità, sicurezza e riconoscimento. È il minimo per chi ogni giorno salva vite”.

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