In marcia coi lupi, il documentario imperdibile dalla parte degli animali selvaggi che invita alla coesistenza con l’uomo

  • Postato il 17 giugno 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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All’incirca a metà di In marcia coi lupi, il protagonista umano del documentario, ovvero il regista, sceneggiatore e produttore Jean Michel Bertrand, seduto sotto una roccia e al riparo di un albero, apre davanti agli occhi dello spettatore una cartina (toh! non è Google maps!). Già, una mappa di quelle da squadernare quadro per quadro, di quelle che ogni volta che le apri si logorano ai bordi, di quelle descritte con dolorosa sorpresa da Paolo Cognetti in Le otto montagne. E al centro di questa cartina, in mezzo a una distesa infinita di boschi, foreste, colline e montagne del sud est della Francia, tra le Alpi e la catena montuosa degli Jura, sbuca l’abitato di Grenoble. Ebbene, visto che In marcia coi lupi parla e invita alla coesistenza con il lupo (la lince, la volpe, il tasso, ecc..), quel centro abitato a livello geografico ma anche fisico e visivo è proprio quello che effettivamente è: un intralcio artificiale e ingombrante rispetto al normale corso della natura.

Nonostante In marcia coi lupi sia un documentario etnografico on the road, un’osservazione in solitaria, poetica, ruvida e pacata sul movimento, anzi sull’inseguimento silenzioso e contemplativo dello stesso Bernard, fotocamera e videocamera il più possibile nascoste, verso il camminare lontano di un giovane lupo non accettato dal branco e in cerca di uno nuovo, è di fronte a quell’ostacolo urbano fisso, immobile, gradualmente edificato ed edificabile, che l’occhio della regia si sofferma criticamente anche solo per qualche minuto. A noi pare che qui ci si trovi nel cuore non solo simbolico della questione etica posta con determinazione da Bertrand. Un’ora e mezza di pedinamento invisibile, fototrappole accidentate, neve e pioggia, arbusti e sacchi a pelo, per raccontarci che è di fronte all’animale che l’occhio umano, e qui il cinema, possono ancora stupirsi e stupirci.

In alcuni momenti sembra perfino di leggere le Lettere a un lupo di Giuliano Scabia. Tanta e tale la calibrata grazia di Bertrand, viso rugoso, mezzo sorriso e cappellino alla Clint Eastwood, coltellino a tagliuzzare pane e formaggio, sdraiato a terra ad annusare la terra, nel trasmettere la dignitosa e rispettosa distanza tra il mistero dell’origine del cosmo animale e la prosaica presenza dell’uomo. “Perché inventiamo storie fantastiche e religioni quando intorno ci sono magia e mistero?”, si chiede Bertrand con la propria voce fuori campo. Lemme lemme (il pedinamento è durato quasi tre anni) il protagonista riflette ed espone l’ingiustizia, annota dubbi con la biro, si intrufola gentile in una minuscola capanna per escursionisti, salva una vespa da una ragnatela, registra il sadismo umano come quella volpe impiccata per sfregio e lasciata a penzolare e decomporre.

Un mondo, quello naturale/animale, che si autoregola e agisce ancora una volta d’istinto, “difficile da capire per chi si è dato la missione di regolare e gestire la natura alle proprie condizioni”. In marcia coi lupi è cinema libero e fuori moda, intimo e allo stesso tempo universale, non di certo un pesante pippone ecologista da europeismo punitivo bensì un semplice sguardo sull’autenticità del creato. Secondo capitolo (datato 2019) di una trilogia che in Francia ha fatto scalpore, anche perché Bertrand è stato contestato da agricoltori e cacciatori, e ovviamente minacciato di morte. Distribuisce Wanted per pochi giorni in Italia (anche se le proiezioni si possono allungare e moltiplicare).

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Il Fatto Quotidiano

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