In viaggio verso l’identità

  • Postato il 28 maggio 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico maggio 2025

“C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta. Così come non credo che si viaggi per tornare. L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da se stessi non si può fuggire. Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare” è quanto afferma Andrej Tarkovskij nel suo documentario, realizzato con Tonino Guerra, dal titolo Tempo di viaggio. Il parallelismo tra il viaggio e la vita è antico come l’umanità e si esprime nelle infinite sfaccettature che ogni allegoria di spessore contiene o può generare. Sarebbe sufficiente ricordare uno dei viaggi più noti e ancora attuali della letteratura, mi riferisco al decennale vagabondare di Odisseo, era il suo un procedere per raggiungere una meta che era e, contemporaneamente, non era quella dalla quale era partito; Itaca non era Ulisse ma l’eroe aveva bisogno del viaggio per potervi tornare capace di sapersi per la sua natura più intima che, nel frattempo, viaggiando, incontrando i propri mostri, sconfiggendoli o conoscendoli per altro da ciò che potevano apparire, aveva costruito e incontrato se stesso. Come non ricordare le parole scritte da Seneca nelle sue Lettere morali quando si rivolge a Lucilio interrogandolo così: “Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Ti incalza il medesimo motivo che ti ha spinto fuori di casa” e tanto ci basti.

Raccogliamo due elementi, a mio avviso, piuttosto significativi in quanto sopra riportato, Tarkovskij ci rammenta che è impossibile “fuggire da se stessi” poiché ognuno di noi, comunque viva, sta cercando “la propria anima”; Seneca sottolinea l’inutilità di “uscire di casa” se ci si porta appresso se stessi; con connotazioni diverse si ribadisce che il viaggio della vita è sempre un viaggio interiore e che non è possibile realizzarlo consapevolmente se non si è in grado di distinguere il viaggiatore dal suo bagaglio. Ogni allegoria è sempre tanto affascinante e stimolante quanto potenzialmente ambigua: com’è possibile che un viaggiatore non sappia riconoscersi altro da ciò che porta con sé? La confusione è ribadita dal dualismo viaggiatore-anima e io-se stesso che ribadiscono una radice socratico cristiana comune a tutto il pensiero dalle proprie origini fino al “laicissimo e razionalissimo presente psicoanalitico”. Non voglio eccessivamente semplificare ma nemmeno rifugiarmi in un criptico linguaggio da addetti ai lavori, provo a percorrere il filo cercando di mantenere un dignitoso equilibrio, potrei così riformulare la questione attraverso un interrogativo: io sono il viaggiatore, il bagaglio che ho scelto o che la sorte mi ha destinato, il viaggio e le sue variabili, la meta scelta o raggiunta? Limitiamoci a tanto che, mi si consenta il gioco di parole, non è poco. Per prima cosa sarà opportuno prendere coscienza dell’apparente contraddizione tra la necessaria “solitudine del viaggio interiore” che il soggetto realizza accompagnato dalla “folla di se stesso” che va arricchendosi di nuovi abitanti attraverso gli incontri che permetteranno nuovi ingressi, importanti cambiamenti in ogni precedente ospite che ribadisce il meraviglioso paradosso “negli altri incontri sempre e solo te stesso”.

Il viaggio alla ricerca-costruzione del “sé” è sempre pericoloso, e nemmeno è così diffuso, almeno con profonda coscienza, il più delle volte è inconsapevole, paragonabile a quello di viaggiatori che affermano di aver conosciuto tutto il mondo poiché hanno trascorso settimane intensissime nei villaggi turistici delle più svariate località. È importante saper distinguere il “viaggiatore” dal “vacanziere” tanto quanto operare una scelta consapevole tra i due comportamenti. Troppo spesso quello che l’amico Nietzsche, nell’aforisma 50 della Gaia scienza, definisce come “l’istinto del gregge” ci induce alla distrazione, al procedere senza viaggiare, al non divenire giorno per giorno l’eroe della nostra vita. Ho fatto ricorso al termine eroe e avrei potuto utilizzare quello di protagonista, ma mi è tornata alla memoria l’allegoria junghiana del “viaggio dell’eroe”, non stiamo a riprendere i dodici archetipi che ne segnano le tappe secondo il maestro svizzero, ci basti l’auspicato approdo alla figura del Mago che prende coscienza di sé come forza in grado di trasformare la realtà attraverso la propria coscienza. Una sorta di riunificazione tra viaggiatore, attrezzi per vivere contenuti nello zaino inseparabile compagno di viaggio e viaggio stesso. Difficile non comprendere il senso dell’affermazione di Jean Baudrillard “Il viaggio è nella testa” specie se per testa intendiamo il crocevia trafficato tra esperienze, pregiudizi, aperture che ne costituiscono l’essenza. Ed ecco che arriviamo al punto cruciale: l’invito abbondantemente abusato a “conoscere se stessi” si fonda sul presupposto dell’esistenza, precedente al viaggio, di un quid che potrebbe condurre il “camminatore della vita” lungo itinerari inesplorati fino a raggiungere l’agognata meta che lo attendeva già dai suoi primi passi lungo il proprio itinerario interiore.

Non sono così sicuro che ciò sia possibile né che davvero abbia un senso, credo piuttosto che ciò che chiamiamo essenza, anima, io profondo o come meglio si preferisce, sia opportuno indicarlo come orizzonte, come qualcosa che possiamo considerare un confine ma non la fine, come la linea che oggi ci appare come l’ultima ma che sappiamo si sta muovendo alla stessa velocità del nostro viaggio spostandosi in un ulteriore, che esiste ancor prima del suo acquisirlo, ma che si realizza nel momento stesso in cui ne viene incluso all’interno dell’orizzonte del momento. Il viaggiatore impara a proprie spese che il vero cambiamento che si consuma saggiamente è individuabile nello sguardo, non in ciò che si osserva, che rimane irraggiungibile, ma negli occhi che lo colgono e questo è ancor più vero quando l’osservatore coincide con l’osservato. Allora come non ricordare il monito nietzscheano che rammenta che guardare dentro di sé è sempre guardare abissi e che bisogna prestare molta attenzione poiché se a lungo si osserverà il proprio abisso si scoprirà che anche l’abisso sta guardando dentro di noi. Per tornare a un archetipo che, inevitabilmente, rimanda al mito greco, un perfetto esempio del viaggio nel luogo complesso e pericoloso di se stessi, è riconoscibile nell’avventura eroica di un artista, forse poiché è necessario accettare la nostra doppia natura di combattente coraggioso e sognatore folle, per meritarsi viaggio e meta; mi riferisco a Orfeo che, fornito, grazie all’amore che nutriva per Euridice, di temerità e pazzia, varcherà le soglie più nascoste per raggiungerla ma, ancora troppo prigioniero della logica comune, deciderà di voltarsi e afferrarla invece di procedere e respirarla, una scelta definitiva e perdente. Quanto spesso è una ferita la vera occasione, il momento di sofferenza che ci induce ad abbandonare la frenetica corsa statica del quotidiano per dedicare tempo e amore verso chi sentiamo chiedere aiuto e luce dentro di noi, è così che spesso si intraprende il viaggio nel labirinto interiore dove forse incontreremo il nostro Minotauro personale, ne coglieremo la familiarità nello sguardo, la paura, il bisogno d’amore, comprenderemo che non è un mostro ma altro dal noi pubblico e utile a un mondo che non è più per esseri liberi ma per adeguati attori di un copione scritto da uno sceneggiatore invisibile. Il viaggio verso l’identità ha bisogno di un peregrino coraggioso, che sappia comprendere l’inatteso e che sia pronto ad amarlo perché solo in quel caso gli racconterà di sé. 

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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