Inchiesta Tod’s, Diego Della Valle contro la procura di Milano : “Non si può mettere alla berlina il made in Italy”

  • Postato il 10 ottobre 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Prima di venirci a dire che noi siamo un’altra cosa in modo pesante, la gente come il procuratore, che si chiama in questo caso Paolo Storari, devono pensare che non si può mettere alla berlina la reputazione di persone come noi” né mettere “in discussione” il “made in Italy” che “rappresenta una delle eccellenze del nostro paese più forti in termini di competitività mondiale”. Così Diego Della Valle, in una conferenza stampa urgente, sulla vicenda della richiesta di amministrazione giudiziaria nei confronti di Tod’s per aver agevolato colposamente, secondo la procura di Milano, il caporalato lungo la propria filiera, richiesta fatta in base all’articolo 34 del codice antimafia, applicato nell’ultimo anno e mezzo per altre cinque società dal Tribunale di Milano (Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufactures Dior, Valentino Bags Lab e il brand Loro Piana di Louis Viutton).

“Non ci si può alzare una mattina” dopo aver visto “4 fotine che si fa fare dal suo ufficio“, ha detto Della Valle in relazione ai documenti raccolti nelle indagini dei carabinieri del Nucleo Ispettorato Lavoro di Milano dentro gli opifici cinesi finiti al vaglio dell’autorità giudiziaria, e accusare “in modo così pesante, questo è assolutamente imperdonabile”. “Auguro a questo signore di avere la voglia, l’arguzia, di venire a vedere le mie aziende e dopo di che esprimere un giudizio” ha detto il numero uno di Tod’s con riferimento al “Procuratore della Repubblica” Storari (che in realtà è semplice sostituto procuratore). “Su cose così pesanti bisogna documentarsi veramente bene e se serve un contraddittorio farlo – ha aggiunto – non arrivare dietro l’angolo con cose accadute un anno fa”. Della Valle ha stigmatizzato comportamenti come lo sfruttamento lavorativo “che non appartengono alla nostra mentalità” perché abbiamo fatto “del welfare in maniera vera da sempre”.

Per il pm Storari però gli operai, che confezionavano le divise per gli addetti alle vendite nei negozi, lavoravano in “condizioni di lavoro ottocentesche” e di “para schiavitù” con paghe da 2,75 euro all’ora. L’ennesima tegola – la sesta – sul mondo della moda di alta gamma e il luxury del made in Italy cade sulla testa di Tod’s spa. Dove gli indizi che questo accada sarebbero tali che è “difficile sostenere il contrario”: “paghe da fame, lavoro notturno e festivo, luoghi di lavoro fatiscenti, dove si lavora, si mangia e si dorme, macchinari privi di sistemi di sicurezza per aumentare la produttività” si leggeva in 94 pagine di ricorso della procura in Cassazione con cui il pm ha chiesto ai giudici della suprema corte di ribaltare quanto stabilito a marzo e poi a maggio, rispettivamente dalla sezione misure di prevenzione di Milano e dalla Corte d’appello. Per le quali, per motivi differenti, nel caso di Tod’s c’è un problema di competenza funzionale per cui a decidere non dovrebbero essere loro bensì i magistrati di Ancona. I presunti fenomeni di caporalato in Lombardia, per i giudici della prevenzione, sarebbero avvenuti non sui semilavorati o i prodotti Tod’s “destinati alla vendita” al pubblico, ma esclusivamente nella catena di approvvigionamento che si occupa di “confezionare le divise” interne per i “commessi dei negozi” del brand.

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Il Fatto Quotidiano

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