Intervento militare su servizi pubblici e industrie strategiche: Maduro pronto in caso di attacco Usa
- Postato il 1 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Paura. Rabbia. Sdegno. E poi, naturalmente, ira incontrollata. Mentre parla al Corpo diplomatico accreditato a Caracas, la vicepresidente del Venezuela, Delcy Rodríguez, incarna lo stato d’animo di un intero apparato statale in esaurimento nervoso dopo più di un mese di accerchiamento Usa, con 6-500 soldati e decine di navi, droni ed F-35 dispiegati nel sud dei Caraibi, minacciando apertamente di rovesciare il governo di Nicolás Maduro. “Se toccano uno toccano tutti”, ha detto Rodríguez al Consiglio nazionale per la sovranità e la pace, dove ha annunciato l’attivazione dello “Stato di emergenza” di fronte a “qualsiasi aggressione” da parte degli Stati Uniti.
Il decreto, già firmato da Maduro, è pronto all’uso. Basterebbe solo un attacco – magari anche non convenzionale – per far scattare, in automatico, lo Stato d’eccezione. E l’Assemblea nazionale, quasi tutta monocolore, non ne ostacolerebbe di certo l’entrata in vigore. “Sbaglia chi pensa che un’aggressione colpirebbe soltanto il Venezuela e il suo popolo“, ha aggiunto la vicepresidente, osservando che “un’azione del genere provocherebbe danni all’intera regione e persino al Paese nordamericano”.
“Non consegneremo loro la Patria“, ha ammonito Rodríguez, spiegando le implicazioni del decreto che concede “poteri speciali” al capo di Stato e abilita “l’immediata occupazione militare” delle infrastrutture nevralgiche del Paese – servizi pubblici, industrie strategiche – nonché l’attivazione di “tutti i protocolli di sicurezza cittadina”, che coinvolge anche i circa 8 milioni di volontari delle milizie dichiarati da Caracas. Lo stato di emergenza prevede inoltre “la chiusura dei confini terrestri, marittimi e aerei”, ha osservato Rodríguez.
Tornando all’emergenza: lo stato d’eccezione, presente sull’articolo 236 della Costituzione venezuelana, avrebbe la durata di novanta giorni prorogabili in caso di necessità. Il decreto era già stato annunciato dallo stesso Maduro al vertice del Consiglio di Stato che si è tenuto il 23 settembre a Caracas, “in caso di conflitto interno o esterno che metta in serio pericolo la sicurezza del Paese”. Il presidente ha aggiunto che “tutti i venezuelani hanno il dovere di difendere la Patria” di fronte a “una minaccia piccola o grande, regionale o nazionale”.
In nottata Palazzo di Miraflores ha già ordinato la chiusura dello spazio aereo a nord di Caracas fino al 3 ottobre, dalle 7 alle 19, dopo l’avvistamento di una nuova nave di guerra nei Caraibi, la crociera lanciamissili Uss Lakie Erie (G-70), e l’incursione del destroyer Uss Jason Dunham a 50 chilometri dalle coste venezuelane. D’altra parte proseguono gli esercizi militari nelle regioni costiere del Paese, in particolare nel Cabo San Roman, a 27 chilometri dall’isola neerlandese di Aruba, dove sono stati impiegati missili antiaerei Pechora, di produzione russa.
Aumenta anche la sorveglianza interna dopo la recente cattura di sette militari della Guardia nazionale bolivariana (Gnb), nello Stato di Delta Amacuro, imputati di tradimento alla Patria, reati contro la sicurezza delle Forze armate e contro il decoro militare, ora sotto custodia nel Distaccamento 433 del Distretto capitale.
Caracas non abbassa la guardia e prova a riaprire il dialogo attraverso il diplomatico Ric Grenell, ma al momento prevale la linea dura. “Non permetteremo che un cartello, che si finge un governo, operi nel nostro medesimo emisfero”, è il mantra di Marco Rubio, ogni volta che si tocca l’argomento. Anche la stampa Usa è indecisa, laddove il New York Times – attraverso un reportage – sottolinea che l’eventuale attacco rafforzerebbe i sentimenti anti-Usa nella regione, anche nei circuiti imprenditoriali venezuelani, mentre fonti di Washington annunciano a Nbc un’ulteriore fase dell’operazione, più incisiva, con azioni militari sul territorio venezuelano. Il pressing arriva direttamente da Rubio, che vanta il sostegno del direttore della Cia John Ratcliffe e dell’assessore di politica interna Stephen Miller.
Il dossier Venezuela è anche arrivato all’assemblea generale dell’Onu, dove Trump ha esplicitamente puntato il dito contro Maduro quale “capo dei cartelli” che trafficano narcotici verso gli Usa. L’operazione Usa nei Caraibi è stata condannata anche dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, durante l’80° assemblea generale ha ritenuto “ingiustificata e inaccettabile la minaccia” di Washington, incassando anche il ringraziamento del cancelliere di Caracas Yvan Gil. Anche il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha ribadito la solidarietà del Cremlino con “il popolo venezuelano dinanzi la pressione e le minaccia di sanzioni esterne” chiedendo il “mantenimento dell’America e dei Caraibi come zona di pace e di cooperazione”. Non manca Pechino all’appello che, attraverso il rappresentante permanente aggiunto all’Onu, Geng Shuang, ha ribadito la condanna “all’interferenza o all’ingerenza Usa negli affari interni del Venezuela“.
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