Intervista esclusiva a Armin Zoeggeler: "Il maso, le speranze dell'Italia alle Olimpiadi, Brignone e Sinner"

  • Postato il 18 dicembre 2025
  • Di Virgilio.it
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Armin Zoeggeler è l’uomo della velocità, il protagonista assoluto di una storia generosa quanto carica di sacrifici, metodo, determinazione conquistata discesa dopo discesa. La sua grinta, unita alla costanza dei risultati, è stata tale da fargli guadagnare il soprannome di Il Cannibale. Il record assoluto delle sei medaglie olimpiche in altrettante edizioni dei Giochi Olimpici Invernali con due ori, tra cui quella del trionfo di Torino 2006, sei titoli mondiali, 10 Coppe del Mondo e quattro europei forse non riassume abbastanza quanto sia leggendario. Provate ad immaginare, oggi, che ne sarebbe senza Armin dello slittino, riuscite? Impossibile. Da direttore tecnico, non si sofferma sulle medaglie, sulle Olimpiadi se non quelle di Milano Cortina, su quanto costruito fino ad ora con i suoi ragazzi. A 51 anni, il carabiniere altoatesino è direttore tecnico della nazionale azzurra, è stato protagonista in Grecia della cerimonia di accensione della fiaccola olimpica da tedoforo dopo essere stato portabandiera a Sochi. Ha vissuto intensamente da una nuova prospettiva i Giochi, ma con la medesima umiltà e il rispetto che rimane la sua cifra. Per la sua storia, per quel maso da cui scendeva da bambino a bordo di una slitta e che racchiude ancora adesso il senso del suo mondo. Da Foiana a Olimpia, la strada è quella di Armin. Quando lo raggiungiamo telefonicamente, in esclusiva per Virgilio Sport, l’emozione umana e sportiva è ancora percepibile di ritorno da Olimpia dopo l’esperienza da tedoforo. Ma i tempi richiedono di guardare anche oltre, a un presente che proietta già verso Milano Cortina e le Olimpiadi. Per un futuro che include, per lo slittino, sua figlia Nina e sua nipote Sandra Robatscher.

Ha incominciato a usare lo slittino per scendere dal maso in cui viveva con la sua famiglia a Foiana, una piccola frazione di Lana, per andare a scuola. Al ritorno, sua madre riprendeva la slitta e la riportava a casa…
Ho iniziato davvero quando ero un bambino. Mio fratello slittava, così anche miei parenti ed io, che ero il più piccolo, ho vissuto quella disciplina: volevo stare dietro e aggregarmi per non perderli. All’inizio era tutto un gioco, uno svago che mi piaceva e che vivevo come tale. Era davvero un divertimento, per me. Tutto è incominciato con una nevicata e per andare a scuola prendemmo la slitta. Poi sono arrivate anche quelle piccole gare che improvvisavamo, mentre scendevamo per arrivare a scuola, ma non era altro che questo. Un gioco tra noi.

Quali erano le percezioni di un bambino in quei momenti, quando rientrava verso il vostro maso?
Ovviamente, nella mia mente di bambino, quello non era altro che un divertimento ma tutto ha avuto principio da quella necessità pur non avendo lontanamente immaginato che potesse diventare il mio lavoro, la mia vita. Un gioco che mi permetteva di andare a scuola. Non potevo prevedere che avrei avuto la carriera che ho costruito, che questa potesse diventare la mia professione. Il momento in cui è cambiata la prospettiva è stato quando ci siamo chiesti, in famiglia, che cosa fare dopo la conclusione della scuola. I miei genitori, però, mi hanno saputo sostenere e aiutare. A 14 anni, uno degli allenatori più importanti nel mio percorso, che si occupava della pista artificiale, mi chiese se intendevo misurarmi con questa disciplina. Prima di allora mi ero dedicato solo allo slittino su pista naturale, che si pratica anche sotto la luna come è consuetudine e tradizione in Alto Adige. Vincevo, battevo tutti, anche i più anziani e proprio quegli allenatori che mi seguivano e mi avevano notato mi suggerirono di passare allo slittino su pista artificiale, per fare il grande salto.

Come ha affrontato il passaggio allo slittino su pista artificiale, oltre questa dimensione quotidiana immerso nella montagna?
Allora non volevo, perché mi piaceva il mio sport su pista naturale. Poi venne a casa, da noi, l’allenatore che cambiò il mio percorso sportivo per parlare con mio padre e mia madre. Seduti tutti attorno allo stesso tavolo, perché all’epoca avevo appena 14 anni, e spiegare le possibilità che avrebbe comportato questo cambiamento per il futuro. Mi aveva spiegato, e così anche ai miei genitori, che si trattava di uno sport olimpico, che sarei entrato in un gruppo sportivo, che cosa avrebbe significato ricevere uno stipendio e che cosa volesse dire per il futuro, per la pensione. Mi immaginavo mentre mi prospettava le opportunità che cosa sarebbe accaduto, mettendo in fila quella che mi sembrava – ascoltandola – una poesia. Non mi pareva vero che potesse essere così facile, per come lo aveva spiegato pareva tale, davvero un gioco. “Ti alleni e fai la preparazione in estate, fai i raduni e entri nella squadra B, nella Nazionale”, riusciva a rendere le difficoltà cose molto semplici, facili. Aveva illustrato la migliore delle eventualità, ma trasmettendomi anche la sicurezza indispensabile per dedicarmi solo allo slittino, allo sport. Prima di lasciare quel tavolo, l’allenatore chiese a mio padre e a mia madre che ne pensassero: i miei genitori hanno risposto che a me spettava provare qualora avessi voluto, che se avevo questa intenzione potevo tentare. Mi hanno dato la libertà, soprattutto la fiducia e il loro appoggio. A 16 anni ero già nel gruppo carabinieri.

World Cup in Lake Placid, New York 2005

“Armin è unico, nessuno lo eguaglierà”, avrebbe detto Walter Plaikner una delle figure più importanti nella sua carriera il suo allenatore e scopritore che ha sostenuto il suo passaggio allo slittino su piste artificiali. Essere unici o i primi che prospettiva apre?
Quello che ha visto, e che altri allenatori hanno percepito in me, è il talento. Non potevo capirlo da solo, a quell’età. Io ho seguito i loro consigli, le loro indicazioni. Non è stato sempre facile, a principio. La mia fortuna è stata di aver conseguito quei risultati, quei successi che mi hanno permesso di fare domanda al gruppo sportivo dei carabinieri che mi ha dato aiuto, sostegno e anche le condizioni per dedicarmi allo sport. Arrivavo da un maso e miei genitori hanno compreso e apprezzato ogni soddisfazione, ogni sacrificio e le sicurezze offerte che danno la serenità. Non era normale, nel nostro ambiente, dedicarsi allo sport in maniera totale e per loro, che hanno conosciuto e capito la fatica del lavoro era eccezionale quanto stava accadendo. Hanno avuto il coraggio di lasciarmi andare.

Ha vinto sei titoli mondiali, quattro europei e dieci Coppe del Mondo, oltre a sei medaglie individuali consecutive – due ori, un argento e tre bronzi – ai Giochi olimpici. C’è una di queste vittorie che costituisce il passaggio cruciale nella sua carriera sportiva e una in cui ha sentito la paura?
Credo che le mie origini, l’essere nato e cresciuto in un maso, come le condizioni economiche che mi hanno imposto di conoscere la durezza del lavoro e il rispetto per la fatica mi abbiano fortificato. Quando poi tutto si è incanalato nella strada giusta, mi hanno aiutato loro e anche il mio essere così disciplinato. Mi sono domandato fino a che punto potessi arrivare ancora, quando ho iniziato a vincere. Nel tempo, non mi sono mai stancato, anche dopo aver vinto prima la seconda e poi la terza Coppa del Mondo: vedevo oltre. Mi sono sempre chiesto fino a che punto potessi dare il mio meglio, fino a che punto potessi spingermi. Con la maturità, il corpo è al top ma poi quella qualità incomincia ad andare indietro, non hai sempre la velocità massima per tutta la carriera. E’ una cosa fisica, con i 30-35 anni ho sentito un cambio ed è quando lo capisci, è lì che devi sentire i consigli dei preparatori. Devi allenarti in modo più specifico, è un processo che deve comprendere anche l’atleta perché altrimenti non si riesce ad arrivare lontano, ai 40 anni, come quando ho partecipato a Sochi.

Ha percorso da tedoforo di Milano Cortina la sua frazione dopo l’ex olimpionica del fondo Stefania Belmondo e il canottiere greco Petros Gaidatzis, quale significato in più attribuisce alle Olimpiadi da tedoforo dopo essere stato portabandiera? Che cosa aveva e che cosa ha ancora da chiedere allo sport, oggi?
Sono stato un atleta davvero molto fortunato, ho avuto una lunga carriera con pochi alti e bassi e tanti successi. Sono stato in grado di salire sei volte consecutive sul gradino del podio, nelle Olimpiadi a cui ha preso parte. Ho vinto anche i Mondiali e tutto quel che c’era da vincere. Ovviamente come ho spiegato, diventi più maturo e più esperto quindi anche più consapevole. Da un certo punto in avanti ho avuto dolori, problemini alla schiena, al collo ed è arrivato il momento in cui mi sono detto: “Queste sono le mie ultime Olimpiadi”. Mi sono posto un obiettivo, quello di salire per la sesta volta sul podio, un risultato che si è rivelato realistico, nel 2014. Quello avevo puntato e quello ho raggiunto. Poi ho capito di essere pronto a chiudere la mia carriera. Con un sorriso, senza la tristezza di quegli atleti costretti da un infortunio a interrompere l’attività sportiva. Il mio caso è stato diverso, una scelta.

L’oro olimpico di Torino 2006

L’esposizione mediatica della quale ha goduto come campione olimpico ha mai avuto dei risvolti negativi, l’ha mai ritenuta eccessiva rispetto alla sua dimensione?
Nella mia carriera ho avuto la fortuna di non aver vissuto un’epoca in cui i social fossero così presenti. La visibilità è ancora più intensa, rispetto alla mia generazione. Anche io ho goduto dell’attenzione, senza dubbio, ma per creare polemiche serviva che ci fossero social, certa informazione o certe interviste. Io ho sempre riferito e risposto del mio ambiente, del mio sport e di ciò che ho conosciuto e, quindi, non ho mai alimentato polemiche. Ho sempre parlato di ciò che ho vissuto e visto, lontano da politica e da quanto non mi apparteneva.

Nell’era dei social, gli sportivi e le sportive sono spesso chiamati anche a gestire la loro immagine pubblica attraverso le piattaforme digitali. Ritiene, come direttore tecnico, che il rispetto sia sempre la chiave per evitare gli effetti negativi che amplificano e aumentano sui social media?
Questa è un’altra generazione, senza dubbio. E lo sono anche i social che consentono di arrivare, riuscire a farsi conoscere, fare pubblicità ma con la dovuta attenzione per non scivolare in alcuni rischi.

Il rispetto è la chiave della sua carriera, del suo stile ed è quel che chiede anche per Jannik Sinner, per la sua scelta. Come ha avvertito e come percepisce oggi certe allusioni su Sinner e le sue valutazioni che tanto hanno inciso sull’opinione pubblica e sui social?
Nutro il massimo rispetto nei riguardi di personaggi di simile livello e credo così anche i media. Non trovo giusto alimentare polemiche attorno a Sinner che è assai lontana dal mondo di oggi, in cui viviamo insieme. Siamo uguali, se proveniamo dall’Alto Adige come dalla Sicilia. Non c’è polemica attorno alle valutazioni di Sinner, alle sue decisioni quali siano. Quella di Jannik è stata e rimane una scelta sportiva e come tale va considerata.

La medaglia conquistata a Sochi 2014

Quali sono i risultati a cui punta da direttore tecnico, l’uomo dei record, a Milano Cortina?
La mia squadra è molto competitiva e puntiamo a risultati importanti in queste Olimpiadi, lavoriamo per il podio e abbiamo perfezionato la preparazione con la finalità di arrivare ai massimi livelli nei tempi stabiliti. A Cortina abbiamo fatto le discese per allenarci bene, testare la pista per imparare a conoscerla, a testare i materiali, effettuare le valutazioni tecniche. Ho delle aspettative per gli azzurri e le azzurre a Milano Cortina, per lo sci alpino come Dominik Paris, Federica (Brignone), Sofia Goggia, il biathlon e anche il pattinaggio potrà regalare delle soddisfazioni. Potenzialmente in tutte le discipline, l’Italia potrebbe dire la sua, soprattutto in questi Giochi Olimpici che verranno disputati in casa. Siamo preparati al meglio, occorrerà un po’ di fortuna.

Che cosa si aspetta dalla crescita del movimento paralimpico, per queste Paralimpiadi di Milano Cortina?
Saranno Giochi Olimpici molto importanti anche per atleti e atlete paralimpici al pari delle loro discipline, quanto costruito fino ad ora, il loro valore e i successi che sono riusciti a conquistare in questi anni, con la maglia dell’Italia. E che meritano altrettanta visibilità.

Autore
Virgilio.it

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