Iran: milizie in fuga e Teheran sempre più isolata in Medio Oriente
- Postato il 19 giugno 2025
- Di Panorama
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Come scrive nel suo editoriale su La Verità il Direttore Maurizio Belpietro, per anni i vertici della Repubblica Islamica iraniana hanno messo in piedi una vasta rete di formazioni armate in Medio Oriente, accomunate dall’ostilità verso Israele e gli Stati Uniti, nel tentativo di consolidare l’influenza regionale e garantire la sopravvivenza del sistema. Oggi però, mentre il potere teocratico vacilla, i suoi sostenitori appaiono sempre più disgregati.
In Libano, Hezbollah – considerato per lungo tempo l’elemento più solido dell’«Asse della Resistenza» – non ha reagito con un solo attacco missilistico dall’inizio delle operazioni israeliane contro l’Iran. La struttura militare del gruppo e la sua leadership sono state duramente colpite dall’esercito israeliano nell’ultimo anno. Hamas, il principale attore armato palestinese, è ridotto a una pallida copia di sé stesso dopo quasi due anni di conflitto con Israele, con la sua dirigenza decimata e Gaza ridotta a un cumulo di macerie.
In Iraq, le fazioni sciite legate a Teheran non hanno preso di mira le installazioni americane, in netto contrasto con quanto accadeva in passato. Intanto in Yemen, i ribelli Houthi – dopo aver lanciato domenica scorsa alcuni missili verso Israele – si sono poi trincerati nel silenzio.La brutalità dei combattimenti ha spinto molti tra i gruppi alleati dell’Iran a guardare con crescente sospetto allo Stato ebraico, che ha dimostrato una superiorità schiacciante sul piano militare e dell’intelligence. Alcune milizie, come quelle irachene, sono ora concentrate sull’arricchimento nei settori energetici, avendo molto da perdere da un’escalation armata. Altri, come Hezbollah, provano frustrazione per la carenza di supporto ricevuto da Teheran nei momenti cruciali del conflitto con Israele, secondo quanto riportato da fonti diplomatiche arabe in contatto con la leadership del gruppo.
«Per tutte queste reti, oggi si tratta semplicemente di una questione di sopravvivenza», ha dichiarato al Wall Street Journal ( WSJ)Renad Mansour, analista senior e direttore del progetto Iraq Initiative presso il centro studi britannico Chatham House. «Tutti comprendono l’intensità e la portata di operazioni militari di questo ti Secondo analisti e diplomatici, è possibile che l’atteggiamento di alcune milizie filo-iraniane possa mutare qualora Washington decidesse di affiancare Israele nei raid contro Teheran. L’eventualità di un intervento statunitense diretto nel conflitto rischierebbe di alimentare un’ondata di rabbia antiamericana, provocare reazioni violente e rinsaldare la solidarietà verso l’Iran nel mondo islamico.
La strategia della sopravvivenza arriva dopo anni di progressivo ridimensionamento dell’influenza iraniana nella regione, culminati nel pesante bombardamento israeliano dello scorso venerdì. Già nel gennaio del 2020, un attacco con drone condotto dagli Stati Uniti aveva eliminato il generale Qassem Soleimani, considerato all’epoca il secondo uomo più potente della Repubblica Islamica dopo la Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei. Soleimani era l’architetto del sostegno iraniano alle milizie regionali. L’offensiva lanciata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 – che provocò circa 1.200 morti e il rapimento di 250 persone – ha inferto ulteriori colpi a Teheran. Israele ha colpito in modo sistematico Hamas e Hezbollah, mentre l’Iran è rimasto in gran parte inattivo, evitando di fornire un supporto militare concreto.
Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, una serie di bombardamenti israeliani ha decapitato la catena di comando del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica a Damasco, compromettendo la presenza iraniana in Siria. Teheran non ha ordinato ai suoi alleati in Iraq di contrastare l’avanzata delle forze ribelli che, nel dicembre scorso, hanno rovesciato il regime di Bashar al-Assad, ponendo fine a oltre dieci anni di influenza iraniana nel Paese.
«Molte di queste formazioni si domandano se sia il momento di reagire o se convenga piuttosto restare in disparte, evitando il coinvolgimento diretto nel conflitto», ha affermato Mansour. Gli attacchi israeliani non solo hanno inflitto perdite materiali, colpendo siti nucleari, strutture petrolifere, depositi di armi e centrali energetiche, ma hanno anche umiliato Teheran sul piano simbolico. Secondo le fonti, ciò che ha maggiormente scosso gli alleati dell’Iran è la dimostrazione del livello di penetrazione dell’intelligence israeliana: molte delle operazioni sono state condotte utilizzando droni lanciati dall’interno del territorio iraniano, grazie a informazioni ottenute su obiettivi sensibili e figure chiave dell’apparato militare e di sicurezza. «Immagino che per gli Houthi sia stato un trauma scoprire quanto l’apparato di sicurezza iraniano sia vulnerabile all’intelligence israeliana», ha osservato sempre al WSJ Elisabeth Kendall, esperta di Medio Oriente e direttrice del Girton College di Cambridge. «Probabilmente si stanno dicendo: è il momento di non dare nell’occhio, di muoversi con cautela. Se ci esponiamo, diventiamo bersagli». In Iraq, i leader delle milizie sciite adottano precauzioni crescenti: utilizzano telefoni temporanei, cambiano continuamente numero e si tengono lontani da Internet. «Sono tutti intimoriti da Israele», ha ribadito Mansour.
Hezbollah ha condannato pubblicamente gli attacchi israeliani contro l’Iran, ma secondo una fonte vicina alla dirigenza del gruppo, Teheran è perfettamente in grado di gestire il confronto diretto senza richiedere l’intervento delle milizie alleate. Per il momento, l’organizzazione libanese si mantiene prudente. La priorità sembra essere la ricostruzione interna: rafforzare la struttura e ristabilire il sostegno finanziario. I diplomatici segnalano inoltre tensioni persistenti legate alla mancanza di aiuti iraniani durante i recenti scontri. Alla vigilia dell’offensiva israeliana, il numero due di Hezbollah, Naim Qassem, ha rilasciato un’intervista televisiva presentandosi come leader politico libanese, senza simboli iraniani né immagini della Guida Suprema alle sue spalle: un segnale, secondo alcuni osservatori, di un possibile distanziamento da Teheran. Dopo che Israele ha colpito e ucciso Hassan Nasrallah, massimo esponente di Hezbollah, alcuni membri dell’organizzazione hanno accusato l’Iran di non aver fatto abbastanza per proteggerlo. Alcune critiche sono state rivolte anche ai servizi di sicurezza iraniani, ritenuti colpevoli di gravi falle nell’intelligence. In Iraq, dove operano numerose milizie sciite legate a Teheran, solo Kataeb Hezbollah ha preso pubblicamente posizione, dichiarando domenica che l’Iran non ha bisogno del loro supporto armato per affrontare Israele. Tuttavia, ha minacciato ritorsioni contro obiettivi statunitensi qualora Washington intervenisse direttamente nel conflitto. Mercoledì sera, le Forze di Difesa israeliane hanno ucciso Mohammad Ahmad Khreiss, comandante dell’unità anticarro di Hezbollah, colpendolo in un avamposto del gruppo sciita situato a Chebaa, nella regione di Nabatieh, nel sud del Libano. Durante il conflitto, Khreiss è stato responsabile di numerosi attacchi contro Israele, tra cui quello con missili anticarro sul Monte Dov che il 26 aprile 2024 ha causato la morte di Sharif Suad. Il comandante continuava inoltre a coordinare operazioni terroristiche nell’area meridionale del Libano, in violazione degli accordi esistenti tra Beirut e Gerusalemme . «Le Forze di Difesa israeliane continuano a sorvegliare e a neutralizzare i tentativi di Hezbollah di rafforzare la propria capacità offensiva contro Israele, sfruttando come copertura il conflitto in corso con l’Iran», si legge in una nota militare. «Proseguiremo nell’eliminazione di ogni minaccia alla sicurezza dello Stato di Israele»
Fonti diplomatiche indicano che il primo ministro iracheno Mohammed al-Sudani sta esercitando pressioni affinché le milizie si mantengano fuori dallo scontro e contengano le dichiarazioni incendiarie. Molti dei comandanti miliziani iracheni, oggi integrati nel sistema istituzionale del Paese, beneficiano di appalti pubblici e delle entrate dell’industria petrolifera. Pur rimanendo fedeli all’Iran, le loro scelte sono sempre più influenzate dall’interesse personale. «In un certo senso, hanno capitalizzato la stabilità interna e l’impennata del prezzo del petrolio per costruire veri e propri imperi economici», ha spiegato Mansour. Per quanto riguarda gli Houthi, nonostante la loro retorica antiamericana e anti-israeliana, non sono mai stati totalmente subordinati a Teheran. Il loro arsenale è stato fortemente ridimensionato dai raid aerei statunitensi tra marzo e aprile. «Il loro approccio è prima di tutto pragmatico», ha detto Kendall. «Non sacrificheranno le loro vite per ordine dell’Ayatollah. Capiscono cosa conviene davvero ai propri interessi». Secondo quanto riportato da Kan News, nuove informazioni diffuse giovedì dalle autorità di sicurezza rivelano che il comandante delle forze ribelli Houthi nello Yemen sarebbe sopravvissuto a un tentativo di eliminazione condotto da Israele, ma avrebbe riportato gravi ferite. Tre giorni fa, una fonte della sicurezza aveva confermato che l’obiettivo dell’attacco lanciato nella capitale Sana’a era Mohammad Abd al-Karim al-Roumairi. Nel corso della scorsa settimana, la Marina israeliana ha colpito per la prima volta dall’inizio del conflitto il porto di Hodeidah, nello Yemen. I media affiliati al movimento Houthi hanno riferito che lo scalo marittimo sarebbe stato preso di mira in due occasioni distinte. Secondo alcuni analisti, gli Houthi starebbero attendendo il momento opportuno per intervenire, preferendo al momento adottare un atteggiamento prudente, mentre Teheran valuta possibili vie diplomatiche. Tuttavia, queste opzioni sembrano essersi allontanate dopo gli attacchi di questa mattina contro strutture ospedaliere in Israele.