Israele di fronte all’illusione della vittoria: Hamas sopravvive sotto terra
- Postato il 6 novembre 2025
- Di Panorama
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Nonostante il ripristino della sicurezza nel sud e il ritiro parziale delle truppe, la promessa di eliminare Hamas si è infranta nei tunnel di Gaza. I combattenti restano nascosti, gli ostaggi deceduto vengono restituiti secondo le tempistiche di Hamas e il conflitto entra in una nuova fase d’incertezza politica e morale. A due anni dall’inizio del conflitto, Israele si trova davanti a una realtà scomoda: la guerra contro Hamas non è stata vinta. Le Forze di Difesa israeliane hanno riportato la calma nel sud, sigillando la frontiera con l’Egitto e riprendendo il controllo delle principali aree di Rafah e Khan Younis. Tuttavia, nei meandri della Striscia di Gaza, centinaia di miliziani islamisti continuano a resistere nei tunnel, segno che il movimento non è stato annientato, ma soltanto costretto a mutare forma. Lo scorso mese, durante un’operazione di demolizione della rete sotterranea a Rafah, un gruppo di combattenti di Hamas è riemerso da un pozzo, lanciando un missile anticarro contro un’escavatrice e uccidendo due soldati. Era passato appena una settimana dal cessate il fuoco mediato da Washington. Israele ha reagito con una serie di raid aerei che hanno causato decine di vittime civili, incrinando ulteriormente la fragile tregua.
Secondo fonti israeliane e arabe citate dal Wall Street Journal, tra i 200 e i 300 miliziani si troverebbero ancora bloccati nei tunnel sotto le zone ora controllate dalle IDF . Hamas ne ammette un centinaio, ma riconosce che molti di loro sono ormai senza cibo né contatti. La strategia di Israele, volta a isolare le varie sezioni della rete sotterranea, ha avuto successo nel dividere le cellule, ma non nell’eliminarle. E il parziale ritiro dell’esercito, previsto dagli accordi, ha lasciato dietro di sé piccole sacche di resistenza pronte a combattere fino all’ultimo. Per Hamas, l’unica via d’uscita sarebbe un corridoio sicuro verso le aree ancora sotto il suo controllo. Israele, invece, pretende la resa incondizionata. «Le Forze di Difesa israeliane continueranno a distruggere i tunnel e a neutralizzare i terroristi senza limitazioni», ha ribadito il ministro della Difesa Israel Katz, escludendo qualsiasi trattativa o mediazione. Il ministro della Difesa ha inoltre disposto la chiusura militare dell’area immediatamente adiacente al valico tra Egitto e Israele, aggiornando di conseguenza le norme che disciplinano l’impiego della forza. Le nuove direttive autorizzano le truppe a colpire chiunque si trovi senza permesso nella fascia delimitata, con particolare attenzione a neutralizzare piloti di velivoli telecomandati e reti di contrabbando.
Contestualmente, è stato deciso di avviare progetti tecnici congiunti: l’unità incaricata di ricerca e sviluppo del dicastero della Difesa collaborerà con l’Aeronautica per accelerare soluzioni capaci di contrastare i droni impiegati per trasportare armi. Il Consiglio per la sicurezza nazionale è stato incaricato di affrontare gli aspetti normativi, predisponendo obblighi di licenza e proponendo modifiche legislative relative all’impiego, alla compravendita e alla detenzione dei velivoli a pilotaggio remoto. In ambito di sicurezza interna, il direttore dello Shin Bet, il maggiore generale David Zini, si è visto assegnare il compito di inquadrare il fenomeno del rifornimento di armi via droni lungo il confine come un rischio di matrice terroristica. Tale qualificazione consentirebbe ai servizi e alle forze di sicurezza di utilizzare strumenti straordinari e proporzionati per porre un freno al traffico illecito. Il ministro Katz ha descritto la strategia come una campagna diretta contro il fenomeno: ha detto che lo Stato intende stroncare il contrabbando via droni perché — ha sottolineato — fa parte del teatro bellico che alimenta i nostri avversari. Ha poi richiamato precedenti politiche di deterrenza adottate verso il Libano, sottolineando la necessità di inviare un segnale chiaro a chi organizza queste rotte: le regole sono mutate e chi continuerà a operare lo farà a prezzo elevato.
Ma la realtà diplomatica è più complessa. Gli Stati Uniti e diversi Paesi arabi stanno negoziando la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione, incaricata di gestire la sicurezza e avviare il disarmo di Hamas. L’iniziativa, tuttavia, si è arenata: le divergenze su ruolo, poteri e partecipazione militare rendono difficile qualsiasi intesa. Gli scontri con i combattenti rimasti sotto terra hanno già provocato la morte di tre soldati israeliani e oltre 140 palestinesi, secondo le autorità sanitarie di Gaza che sappiamo essere sotto il controllo di Hamas. E mentre Gerusalemme tenta di recuperare i corpi dei sei ostaggi ancora trattenuti, il governo di Benjamin Netanyahu è diviso tra chi invoca la linea dura e chi teme un ritorno alla spirale di violenza. Le pressioni interne hanno spinto Netanyahu a bloccare la proposta di evacuare i miliziani tramite la Croce Rossa, in cambio della restituzione dei resti degli ostaggi israeliani. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha definito ogni concessione «una follia morale e di sicurezza».
Sul piano umanitario, l’amministrazione Trump spinge per l’avvio della seconda fase del cessate il fuoco: la costruzione di alloggi provvisori per gli sfollati palestinesi e il graduale ritiro delle truppe israeliane, sostituite da contingenti multinazionali. Ma senza il disarmo di Hamas, la proposta rischia di restare lettera morta. Israele ha ristabilito la sicurezza lungo il fronte meridionale e può vantare una parziale stabilizzazione dei confini. Tuttavia, Gaza rimane un territorio instabile, dove la vittoria militare non si traduce in un successo politico. Hamas è ferito, ma non sconfitto; disperso, ma ancora influente. Sopravvive nei tunnel e nell’ideologia di resistenza che continua a ispirare parte della popolazione palestinese. La guerra, dunque, non è finita: si è solo trasformata. Israele controlla il terreno, ma non il sottosuolo che è ancora per la maggior parte inesplorato ma domina il cielo. La forza militare ha garantito una tregua armata, non la pace. E in questo scenario di sospensione, la vittoria proclamata rischia di rivelarsi solo un’illusione — quella di un nemico apparentemente sconfitto che, nell’ombra, non ha mai smesso di combattere.