Israele ferma una nuova flottiglia, Hamas blocca la pace

  • Postato il 8 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Il Ministero degli Esteri israeliano ha reso noto che le Forze di Difesa (IDF) hanno intercettato una nuova flottiglia che tentava di superare il blocco navale attorno alla Striscia di Gaza.«Un ulteriore tentativo di violare il blocco legittimo e di entrare in una zona di combattimento non ha portato ad alcun risultato», ha comunicato il Ministero. «Le imbarcazioni e i passeggeri sono stati condotti in un porto israeliano. Tutti si trovano in buone condizioni e verranno espulsi a breve», aggiunge la nota ufficiale. Secondo la Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG), organizzatrici dell’operazione, otto imbarcazioni – Abd Elkarim Eid, Alaa Al-Najar, Anas Al-Sharif, Gaza Sunbird, Leïla Khaled, Milad, Soul of My Soul e Um Saad – sono state fermate alle 04:34, a circa 120 miglia nautiche (220 chilometri) da Gaza. Gli organizzatori sostengono che una nona nave, la Conscience, fosse ancora in navigazione quando sarebbe stata avvicinata da un elicottero israeliano. Ieri da Gerusalemme è arrivata una dura replica contro Greta Thunberg. L’attivista svedese aveva pubblicato sui social un messaggio di sostegno ai prigionieri palestinesi, scrivendo che «la loro sofferenza non è un’opinione, ma un fatto di crudeltà sistematica e disumanizzazione». Nel post, la Thunberg aveva allegato una foto dell’ostaggio israeliano Evyatar David, gesto che ha suscitato l’indignazione di Israele. Il Ministero degli Esteri ha risposto con toni duri, affermando che «l’ignoranza accecata dall’odio è ormai di moda» e ricordando che David, durante la prigionia, «è stato denutrito, maltrattato e costretto da Hamas a scavarsi la fossa».

Nuova tornata di colloqui in Egitto

Mentre sul piano mediatico cresce la tensione, in Egitto i negoziati per la tregua a Gaza entrano nella loro fase più critica. A Sharm el-Sheikh è arrivata la delegazione americana guidata dal mediatore Steve Witkoff e da Jared Kushner, genero di Donald Trump, insieme al primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al Thani. La trattativa, basata sull’«accordo quadro» proposto dagli Stati Uniti, mira a una cessazione stabile delle ostilità, al graduale ritiro delle truppe israeliane e alla ricostruzione della Striscia sotto una supervisione internazionale. Tuttavia, secondo fonti israeliane, Hamas avrebbe respinto il piano. Il movimento islamista rifiuta di deporre le armi, chiede il ritiro completo dell’IDF dal territorio e pretende la piena applicazione di tutte le clausole dell’accordo prima di liberare gli ostaggi. In sostanza, Hamas non ha modificato la propria posizione rispetto ai precedenti round negoziali e continua a non riconoscere il piano di Trump come base di intesa.All’interno dell’organizzazione, fonti di intelligence segnalano fratture: esistono correnti più pragmatiche, ma a prevalere è la fazione intransigente, contraria a qualsiasi concessione finché non sarà garantito un cessate il fuoco permanente.

La doppia partita di Qatar e Turchia

A Gerusalemme cresce la frustrazione verso Qatar e Turchia, mediatori privilegiati ma incapaci (anche perché sponsor di Hamas), di convincere Hamas ad accettare i termini americani. «Siamo delusi dal loro ruolo», riferiscono fonti politiche israeliane. Dall’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu era filtrato un atteggiamento di «cauto ottimismo», ma nel discorso per l’anniversario del 7 ottobre il premier ha ribadito che «la guerra proseguirà fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi: il ritorno degli ostaggi, la distruzione del regime di Hamas e la certezza che Gaza non rappresenti più una minaccia». Molti analisti israeliani, tuttavia, invitano alla prudenza. «Ogni equilibrio può ancora rompersi», osservano, ricordando che «Hamas difficilmente consegnerà subito tutti gli ostaggi». Inoltre, «il piano di Trump esclude Hamas dal futuro governo di Gaza, ma la sua stessa architettura imporrebbe un contatto operativo con il movimento per un periodo prolungato» che Israele rifiuta. Donald Trump, dal canto suo, continua a esercitare un ruolo centrale e ha definito «concreta» la possibilità di un accordo. Secondo il canale israeliano Channel 12, se nelle prossime ore non emergeranno progressi, il presidente americano sarebbe pronto a presentare una proposta «prendere o lasciare», con l’obiettivo di arrivare entro il weekend – che in Israele coincide con venerdì e sabato – a un primo rilascio di prigionieri, forse già da domenica. Il doppio fronte – quello del mare e quello diplomatico – mostra quanto la crisi di Gaza resti intrappolata tra simboli e stalli politici. Le flottiglie cercano di incrinare il blocco, Hamas irrigidisce la sua posizione, Israele diffida dei mediatori e gli Stati Uniti inseguono un accordo che sembra sempre un passo più in là. A Sharm el-Sheikh, più che una tregua, si misura la distanza tra la realtà del conflitto e la fragile speranza della diplomazia.

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Panorama

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