Israele ha bloccato la Sumud Flotilla, Torino per Gaza annuncia il blocco totale
- Postato il 1 ottobre 2025
- Cronaca
- Di Quotidiano Piemontese
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TORINO – Con l’intercettazione da parte di Israele della Global Sumud Flotilla, la flottiglia internazionale che tentava di rompere il blocco marittimo, arriva l’annuncio del blocco totale da parte di “Torino per Gaza” dopo “due anni di genocidio del popolo palestinese”.
Il cartello di associazioni, collettivi studenteschi e sindacati di base si prepara dunque a una nuova serie di iniziative che intrecciano protesta politica, blocchi della produzione e manifestazioni di piazza.
Le iniziative a Torino
Il programma, diffuso nelle scorse ore, prevede momenti distinti nelle giornate del 2, 3 e 4 ottobre.
Giovedì 2 ottobre: alle ore 11 appuntamento a Palazzo Nuovo per blocchi diffusi, a piedi o in bicicletta; alle ore 18 partenza di un corteo da Piazza Castello, lato Prefettura.
Venerdì 3 ottobre: giornata di sciopero generale indetto dal sindacato SI Cobas e sostenuto anche dalla CGIL. Le iniziative partiranno alle 7 davanti al sito Amazon di Brandizzo, proseguiranno alle 9 con un presidio al Parco Artiglieri da Montagna e continueranno alle 13 in Piazza Palazzo di Città, punto di raccolta per cortei e blocchi. Alle 18 nuovo corteo da Piazza Castello.
Sabato 4 ottobre: manifestazione nazionale a Roma, con autobus in partenza da Torino organizzati da diverse sigle, tra cui CUB, Cobas, Intifada Studentesca, Gabrio e Manituana.
Sciopero generale: le modalità
Lo sciopero generale del 3 ottobre, proclamato dal Sindacato Intercategoriale Cobas, ha come obiettivi dichiarati “una Palestina libera, forti aumenti salariali e la lotta contro genocidio, guerre, economia di guerra e riarmo”. Lo sciopero è valido per i lavoratori e le lavoratrici di tutti i settori, pubblici e privati, con estensione anche ai turni notturni che iniziano tra il 2 e il 3 ottobre.
Per quanto riguarda i servizi pubblici essenziali, la normativa prevede che sia il datore di lavoro a garantire la presenza del personale necessario: “In assenza di indicazioni aziendali specifiche – sottolinea il comunicato – il lavoratore può partecipare allo sciopero”.
Il riferimento normativo e la documentazione ufficiale sono disponibili sul sito della Commissione di Garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali.
Un appello alla mobilitazione
Il comunicato diffuso da “Torino per Gaza” richiama le proteste del 22 settembre scorso, giornata di sciopero e cortei che avevano coinvolto centinaia di persone in città. Ora, spiegano i promotori, si tratta di “dare seguito alle promesse fatte”: bloccare strade, logistica e luoghi di produzione, in opposizione al piano politico israeliano e “alla complicità dei governi occidentali”.
La mobilitazione, dunque, si allarga: da Torino a Roma, con l’obiettivo di dare voce – sostengono gli organizzatori – a chi chiede “la fine dell’occupazione, giustizia e libertà per il popolo palestinese”.
Il comunicato di Torino per Gaza
Il piano di Trump impone condizioni inaccettabili alla popolazione di Gaza, che non danno nessuna garanzia della fine del genocidio e pongono le basi per il proseguimento della colonizzazione e annessione della Palestina da parte dell’occupazione sionista. Il piano prevede il totale smantellamento di ogni forma di possibile resistenza palestinese e un ritiro solo graduale delle forze israeliane, quando si riterrà raggiunta la “stabilità” – una “stabilità” decisa quindi con i criteri dell’occupante. Come può questo piano assicurare che Israele non riprenderà il massacro quando più è conveniente, una volta “restituiti gli ostaggi” – cosa che dovrebbe avvenire entro 72 ore dalla firma dell’accordo?
Oltre al rilascio di questi “ostaggi”, il piano condiziona anche l’ingresso di aiuti umanitari alla resa totale di ogni forma di possibile autodifesa del popolo palestinese – in totale continuità con l’utilizzo della fame come arma di guerra da parte di Israele. Questo costituisce una palese violazione del diritto internazionale umanitario, e anche – quello che importa veramente – una mossa vile per piegare un popolo già stremato.
Inoltre, il piano prevede di asservire Gaza politicamente, attraverso un “governo di transizione” costituito da una commissione tecnica con una supervisione internazionale. Ciò non riconosce al popolo palestinese il diritto di autodeterminarsi sul proprio territorio e ignora il diritto democratico di scegliere l3 proprie governanti. Imporre una supervisione internazionale significa restringere ulteriormente i diritti del popolo che questo genocidio l’ha subito, e promuovere invece i colpevoli al ruolo di “mentori”.
Infatti, il piano propone la gestione della sicurezza della striscia da parte di una “forza internazionale di stabilizzazione”, nel quadro della quale Egitto e soprattutto Israele avrebbero il ruolo di addestrare le forze di polizia locali. Ciò ripropone un modello simile alla Cisgiordania, in cui il regime israeliano coopera per la gestione della “sicurezza” e quindi può programmare repressione, arresti, violenze, annessioni e colonizzazione progressiva del territorio.
Come può portare “pace” questo piano, che non riconosce le responsabilità del genocidio, il processo di colonizzazione e il regime di apartheid che “israele” pretende di imporre da quasi 80 anni al popolo palestinese?
Questo piano è contrario a ogni diritto umano, al diritto internazionale, ma soprattutto – ed è quello che per noi veramente conta – è un piano razzista e coloniale contro cui continueremo a mobilitarci. Non porterà “pace” ma tentativi di annicchilimento progressivo di un popolo, e non ci faremo ingannare dall’uso di questa parola. La nostra lotta continuerà ancora più forte perché lo sdegno e la rabbia aumentano.
Mentre continua l’invasione di terra di Gaza City e le notizie che ci arrivano, ormai poche visti i ripetuti blackout forzati e i continui attacchi deliberati ai giornalisti, ci raccontano di decine di morti ogni giorno, spetta a noi fare tutto ciò che è in nostro potere per bloccare il genocidio in Palestina.
Sappiamo che non possiamo delegare nulla al governo Meloni e alle istituzioni europee, che sostengono economicamente, politicamente e militarmente il progetto coloniale e genocida di Israele. Il genocidio del popolo palestinese è reso possibile da un sistema economico e politico che lo sostiene, fatto di grandi aziende, capitali privati come Eni, Leonardo e Carrefour e supporto dei governi occidentali.
Se è proprio da qui, dai nostri territori che partono la guerra e il genocidio, è qui che possiamo e dobbiamo fermarlo. Insieme, scioperando e bloccando tutto, possiamo portare un danno concreto al sistema economico che riproduce il genocidio in Palestina e inchiodare le istituzioni italiane ed europee alle loro responsabilità, pretendendo che interrompano ogni sostegno al regime israeliano.
L’abbiamo visto dopo le mobilitazioni oceaniche e i blocchi del 22 settembre: il governo Meloni ha tremato e si è trovato costretto, almeno di facciata, a fare qualcosa, inviando una fregata a soccorso della Flotilla e dichiarando all’ONU che anche l’Italia avrebbe riconosciuto lo Stato di Palestina.
Sappiamo benissimo che sono mosse del tutto insufficienti e tardive, che servono solo a guadagnarsi il favore dell’opinione pubblica, ma ci restituiscono il potere che possiamo avere nello smuovere l’inettitudine e la complicità dei nostri governi.
Nei prossimi giorni quindi scendiamo ancora in piazza, scioperiamo, blocchiamo tutto e non ci fermiamo più.
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