Israele, Iran e… Noi nel mezzo?

  • Postato il 17 giugno 2025
  • Di Panorama
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L’escalation militare tra Israele e l’Iran potrebbe avere significativi risvolti cyber. Premesso che senza dubbio operazioni informatiche sono già avvenute e continueranno, uno degli aspetti più preoccupanti in questo contesto è che si tratta di due superpotenze cibernetiche. Da oltre un decennio si fronteggiano anche nello spazio digitale con operazioni molto mirate. Ma oggi lo scenario potrebbe cambiare se l’attacco israeliano mettesse in crisi la capacità militare iraniana o se le risposte convenzionali di Teheran si rivelassero inefficaci. A quel punto la ritorsione potrebbe arrivare proprio sotto forma di attacchi digitali. Non bombe, ma blocchi diffusi di servizi on line. Non droni, ma malware. L’obiettivo? Le infrastrutture critiche, le aziende, persino i cittadini comuni.

Già nel 2023 un gruppo iraniano, i CyberAv3ngers, era riuscito a infiltrarsi nei sistemi idrici degli Stati Uniti violandoli perché configurati con le password di default. All’epoca molti parlarono di scampato pericolo perché gli aggressori non avevano saputo sfruttare la situazione. Oggi potremmo essere tutti meno fortunati. Dico tutti perché la storia ci dice che, quando si iniziano mettere in campo determinate armi informatiche, contenere i loro effetti a uno specifico teatro di guerra potrebbe essere impossibile. Per chi non avesse buona memoria rammento i fatti del 2017, quando i malware Wannacry e Not Petya (ricordato come il virus informatico che ha fatto più danni nella storia) infettarono mezzo mondo.

L’intero Occidente sarebbe un terreno particolarmente esposto: centinaia di migliaia di organizzazioni piccole e grandi interconnesse, infrastrutture critiche esposte, impianti di depurazione e aeroporti regionali. Basta un minuto per fare disastri. E se i sistemi non crollano, potrebbe bastare far credere che potrebbero farlo. È questo l’altro potere della cyberwar: instillare paura, seminare incertezza, generare sfiducia. Allora se la guerra diventa di informazioni e narrazioni la posta in gioco non è solo la sicurezza di un paese, ma la tenuta psicologica di intere società.

Attacchi informatici, sabotaggi digitali, intrusioni nei sistemi di trasporto, blackout, campagne di disinformazione: tutto questo potrebbe diventare una drammatica realtà in una manciata d’ore, e chi attacca non vuole necessariamente vincere: gli basta farci dubitare della nostra capacità di difenderci.

C’è poi un altro elemento inquietante. L’Iran potrebbe non essere solo. Ha alleati come Russia e Cina, anch’essi da annoverarsi tra i big player di qualsiasi guerra cyber. Se il conflitto dovesse toccare interessi economici sensibili — ad esempio il petrolio iraniano, di cui la Cina è uno dei principali acquirenti — lo scenario potrebbe allargarsi a nuovi attori e nuovi fronti. La logica della deterrenza, che ci ha salvati dall’olocausto nucleare, si dissolve nell’incertezza e la rappresaglia può assumere forme asimmetriche, oblique, negate. Nessuna dichiarazione di guerra, solo blackout e sistemi fuori uso, rapporti alterati, dati corrotti, verità distorte. È una guerra che non si annuncia: si scopre solo quando è troppo tardi. Resta una domanda: se ai due attuali contendenti la situazione sfuggisse di mano saremmo capaci di accorgercene prima che sia troppo tardi?

Autore
Panorama

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