Istat, l’occupazione cresce in settori “poveri” e soprattutto tra gli over 50. Aumentano i laureati in fuga

  • Postato il 21 maggio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’occupazione in Italia cresce, bene. Ma come cresce? Male. La maggior parte dei nuovi lavori sono in settori a bassa produttività, basso contenuto tecnologico e alto impiego di forza lavoro, osserva l’Istat. In sostanza settori come le costruzioni, la ricettività turistica e i servizi alla persona. Così, sebbene l’occupazione sia cresciuta di un altro 1,6% nel 2024, è proseguita la discesa del Pil per occupato: – 5,8% negli ultimi 25 anni a fronte di incrementi tra l’11 e il 12% di Francia, Germania e Spagna. Di recente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto di voler fare dell’Italia una superpotenza turistica. Niente di male, se questo fosse affiancato da uno sviluppo di altri settori ma se si pensa che questo sia il jolly che può salvare l’economia del paese si va incontro ad un futuro gramo.

L’Istat segnala pure la debolezza di un altro indicatore come il Pil per ora lavorata, aumentato fra il 2000 e il 2024 “di appena lo 0,7%, condizionando negativamente la dinamica salariale”. Un incremento “molto modesto sia rispetto all’esperienza storica sia a confronto con le altre maggiori economie dell’Ue”, su cui pesano caratteristiche del sistema produttivo italiano come le ridotte dimensioni d’impresa, la specializzazione, il contenuto innovativo relativamente modesto delle produzioni.

Secondo l’Istat nel 2024 nel settore privato la produttività del lavoro si è addirittura ridotta del 2%, quella del capitale dello 0,2% e la produttività totale dei fattori, indicativa del contributo degli elementi immateriali all’incremento dell’efficienza, dell’1,3%.Qui è il caso di intendersi. Una discesa della produttività del lavoro non significa che gli italiani lavorino meno (anzi, gli orari sono tra i più lunghi d’Europa) ma che lavorano peggio e/o costruiscono prodotti con poco valore aggiunto. Un conto è fabbricare infradito, un conto chip di ultima generazione, per intenderci. Un conto è arare un campo con la zappa, un altro usare un trattore.

La bassa produttività dipende insomma, fondamentalmente, dagli scarsi investimenti delle aziende e dalla scelta delle imprese di dedicarsi a produzioni “povere”. Un recente studio dell’università la Sapienza di Roma ha, peraltro, evidenziato come le imprese italiane abbiano destinato quasi tutti i profitti (che non sono mancati) a remunerare gli azionisti. Poco ai lavoratori, pochissimo agli investimenti.

Nel 2024 si sono comunque contati 352mila occupati in più ma anche la composizione anagrafica desta qualche perplessità. L’Istat che precisa che l’80% della crescita (285mila unità in più) è dovuta all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre. Il dato è legato alla stretta sull’accesso alla pensione che ha trattenuto più a lungo al lavoro ma soprattutto alle tendenze demografiche con i baby boomers e i nati nei primi anni 70, coorti molto più numerose di quelle successive, che hanno superato questa soglia di età.

Come noto, l’Italia non spicca per il livello scolastico della sua forza lavoro. Del resto ci si adatta anche a ciò che le aziende chiedono ed offrono. Tra i 25 e i 64 anni, solo il 65,5% degli italiani ha almeno il diploma, una percentuale molto più bassa della Germania (83,1%) e della Francia (83,7%) e comunque di oltre dieci punti inferiore alla media Ue a 27 (79,8%. Oltre un terzo degli italiani in età da lavoro ha un titolo non superiore alla terza media. La quota dei 25-34 anni con un titolo di istruzione terziaria raggiunge nel 2024 il 31,6% ma, nonostante il miglioramento. resta lontano dall’obiettivo europeo per il 2030 del 45%. I pochi laureati, per di più, spesso fuggono. Negli ultimi 10 anni de ne sono andati all’estero in 97mila, con un record nel 2024 quando si sono contate 21mila uscite.

Con queste premesse non stupisce più di tanto che l’industria soffra, giunta ormai al 26esimo mese consecutivo di calo. Nell’intero 2024, segnala l’Istat, la produzione industriale in volume è diminuita del 4% rispetto al 2023, quando già era calata del 2%. Fra le maggiori economie europee, la contrazione della produzione industriale nel 2024 ha riguardato soprattutto l’Italia e la Germania, dove il calo ha raggiunto il 4,6%, e solo marginalmente la Francia (-0,1%), mentre in Spagna si è avuto un aumento dello 0,5%.

E non sembra che, nell’immediato futuro, le cose siano destinate a migliorare. “Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale”, scrive Istat nel rapporto 2025. Ciliegina sulla torta l’Italia è tra i paesi europei maggiormente colpiti per perdite economiche dovute ad eventi climatici estremi: nel periodo 1980-2023, si colloca al secondo posto nell’UE27 con circa 134 miliardi di euro, dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130 miliardi.

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