Italia, Mancini: "Ho sperato di esserci io al posto di Gattuso dopo Spalletti, tornerò alla Sampdoria"

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Virgilio.it
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“Non è vero che fosse difficile accettare la Nazionale in quel momento, perché rappresentare l’Italia è bello. E’ stata l’esperienza più bella e importante, abbiamo fatto qualcosa di impensabile, ho dato il massimo”. Ospite del Festival dello Sport per l’evento “Dieci colpi di tacco”, Roberto Mancini ha parlato della sua carriera da calciatore e da allenatore. Dall’Italia all’Inter passando per le tante squadre dove ha giocato e allenato.

Il periodo d’oro in azzurro

In Nazionale lo chiamò Oriali (“fu magistrale per la leadership che aveva – ha detto l’attuale dirigente del Napoli intervenendo telefonicamente – e per la leadership all’interno del gruppo”). In azzurro Mancini ha fatto un filotto di 37 partite senza perdere, un record per la Nazionale: “Ti senti imbattibile, chiudemmo il record contro la Spagna in Nations League perché Bonucci si fece espellere, perché altrimenti non avremmo perso neanche quella probabilmente”.

Da Zaniolo a Balotelli, spazio ai giovani

Mancini fece esordire Zaniolo in nazionale, su Pafundi disse una frase che fece storia: “Convoco prima Pafundi e poi tutti gli altri: “Era una provocazione ma è un mistero, è un giovane, talentuoso, come può non giocare in A? Su Retegui avevo visto delle partite e avevo notato come in area aveva intuizioni, movimenti da attaccante vero, l’abbiamo seguito con attenzione ed abbiamo deciso di convocarlo. Sono felice perché è migliorato tanto. Kean pure l’ho fatto giocare da giovane ma ha sempre avuto qualità, per me era un grande attaccante esterno ora può fare anche il centravanti. Balotelli? Un bravo ragazzo, sicuramente avrebbe potuto essere uno dei più grandi attaccanti di questi anni ma comunque ha vinto tanto. Tecnicamente e fisicamente poteva fare di più ma lo sa anche lui. Capita a tanti, penso a Macina che giocava con me da ragazzino nel Bologna, poteva essere il Messi italiano, scartava tutti e andava in rete. Poi non si capisce cosa sia successo”.

La seconda parte dell’avventura da ct fu meno felice: “Ci sono state incomprensioni, a livello di risultati non era neanche un brutto momento, sarebbe stato meglio chiarire tutto, anche da parte mia, e ripartire da zero. Non fu così e si fanno delle scelte magari sbagliate. Ho sperato di essere io il dopo Spalletti. Questa Nazionale comunque mi piace, sta migliorando, molti giocavano con me. Rino mi è simpaticissimo, sono felice per lui e spero che faccia bene”.

Il rapporto difficile da giocatore con la Nazionale

Vincente da allenatore, meno da giocatore dove il rapporto con l’Italia è stato altalenante. Ha giocato meno di quanto avrebbe dovuto o potuto. Una carriera in Nazionale condizionata negativamente da Baggio, Zola o Giannini? “Giannini no, era mio compagno di stanza e tressette…Però ad esempio nel ’90 vedete quali erano gli attaccanti? Per un allenatore non era facile scegliere, c’erano tanti giocatori bravi. Ulivieri diceva che dovevo diventare prima punta? Ma l’ho fatto, ero capace di fare tutti i ruoli in attacco. Lui me lo disse quando ero alla Samp, a 17 anni, ma ero troppo giovane per fare la prima punta.

Tanti aneddoti, dai colpi di tacco (“Più difficile col Parma col Genoa? Per quello col Parma il merito è tutto di Sinisa che metteva dei calci d’angolo non male, io ho solo messo il piede. Il colpo di tacco si pensa solo in alcuni casi, ma sotto porta arriva e lo fai”) all’infanzia ( “Sono andato via a 13 anni di casa, nel 1978 spostarsi da Jesi a Bologna era come andare a New York. Non è stato facile. Ho la fortuna di avere ancora i genitori, quindi ci torno volentieri, all’inizio ho sofferto la mancanza della famiglia. Ci torno sempre volentieri”.

Il periodo all’Inter

Da assistente di Eriksson alla Lazio si aspettava di diventare tecnico biancoceleste subito dopo: “Cragnotti prese Zoff e io accettai il Leicester, giocai 5 partite e poi mi chiamò la Fiorentina per allenare, nonostante le tante polemiche che ne nacquero”. All’Inter, Moratti per convincere Mourinho lo portò a Parigi: “Con me eravamo a Tortona in un ristorante sull’autostrada, a metà strada tra Genova e Milano. Lui mi voleva anche da giocatore”. Si ricorda ancora il suo addio da tecnico nerazzurro dopo il ko col Liverpool: “Dissi a due mesi e mezzo dalla fine della stagione che sarei andato via, nonostante avessi un contratto lungo, c’erano altre motivazioni, problemi interni”. Ricordando la rimonta che valse poi il titolo al City Mancini ricorda: “Stavo per morire, all’ultima giornata ci trovammo in una situazione assurda contro una squadra che stava per retrocedere, assurdo”.

La penultima esperienza all’estero fu in Russia, allo Zenit: “Non fu semplice ma tutte le esperienze ti arricchiscono. La Turchia invece è un posto meraviglioso, quando sei a Istanbul sembra di essere a Napoli. C’erano ventimila turchi che ci seguivano anche quando andavamo a giocare in Norvegia. Il mio futuro? Vedremo, ci sono delle cose, la panchina mi manca tanto ma serve un progetto che dia adrenalina. In corsa già sono entrato, è successo al Manchester e all’Inter, è più difficile ma se sono cose che ti stimolano la soluzione la trovi. Poi la carriera, come ho sempre detto, la chiuderò alla Samp”

Da Vialli a Eriksson, passando per Mihajlovic al massaggiatore Viganò tanti lutti in due anni e mezzo: “Ogni tanto pensi che Luca sia sempre lì a Londra, sono persone che restano sempre nel cuore, magari pensi che avresti potuto fare di più per loro. Io non ho neanche la metà della forza che hanno avuto loro. Queste vicende tristi però non hanno mai minato la mia fede”.

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Virgilio.it

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