Italia Paese diviso come il mondo: pace appesa a un filo, voti appesi al nome di un cane
- Postato il 28 ottobre 2025
- Politica
- Di Blitz
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Che cosa possiamo aspettarci se le nostre forze politiche non trovano mai un punto d’incontro che possa essere d’aiuto al Paese?
La sinistra accusa la destra di rendere sempre più povero il Paese; la destra risponde che il campo largo, oltre che combattere il suo disfacimento, non sa dire altro che no. Rifiuto di ogni idea o progetto.
Ora è sempre la manovra economica ad essere nell’occhio del ciclone. Sui profitti delle banche, l’alleanza di governo non riesce a trovare il bandolo della matassa. Giorgia Meloni è perentoria. Quarantaquattro miliardi incassati possono subire un piccolo salasso (cinque miliardi) che non si vuole chiamare contributo.
Paese diviso su tutto

Antonio Tajani non è d’accordo, Matteo Salvini si. Da Via del Nazareno, sede del Pd, rimangono alla finestra sottolineando lo stato di salute dell’esecutivo. Un disastro, come definirlo altrimenti? Comunque sostengono che l’Italia non può andare avanti in questo modo perché la povertà aumenta e milioni di famiglie non sanno come arrivare alla fine del mese.
Questa è la nostra Italia oggi: deve affrontare una crisi internazionale che sconvolge il Paese e va oltre.
Trump si allontana da Putin, cerca un appiglio con il presidente cinese, spera che lo aiuti almeno a convincere il Cremlino a smettere di bombardare Kiev.
A Gaza la tregua regge
A Gaza, la tregua traballa, ma per fortuna continua a reggere, però non ci si può distrarre nemmeno un momento con il pericolo che si nasconde dietro l’angolo.
In Argentina Javier Milei fa il pieno dei voti, oltre il quaranta per cento, diventando quasi un idolo a Buenos Aires. Mentre a Roma e dintorni si punta il dito contro quell’autocrate che, prima o poi, finirà con l’essere travolto dalla sua stessa pazza ideologia. Fornito di una grande sega (il suo simbolo) prova a tagliare tutti i legami con il passato.
Non bisogna mai dimenticare che siamo in campagna elettorale: perenne siamo d’accordo. A fine novembre per le elezioni in Puglia, Campania e Veneto. Subito dopo Natale per il referendum sulla separazione delle carriere (vedi riforma della giustizia): un appuntamento assai importante con i meteorologi che prevedono una primavera assai calda.
In quella occasione, la posta in palio è altissima. Non si esagera se si scrive che anche il governo può rischiare. I referendum sono pericolosi, l’ultimo quello di Matteo Renzi sul jobs act, ne è una prova lampante. Avendolo perduto, dovette cedere il passo e ancora oggi è difficile per lui tornare ad avere un posto di prestigio.
I giudici sono sul piede di guerra, hanno addirittura organizzato un comitato a cui spetterà di convincere l’opinione pubblica, con convegni, tavole rotonde, interventi : nè più e nè meno di un sindacato come la Cgil proprio ai tempi del referendum voluto dall’allora presidente del consiglio. Qualche commentatore storce la bocca e ritiene questa mossa addirittura fuori posto se non in contrasto con quelle che sono le regole del Consiglio Superiore della magistratura.
A turbare ancora di più le acque una sentenza della corte di Cassazione che post mortem ridà a Silvio Berlusconi quella dignità che altri giudici gli avevano fatto perdere. Oggi la marcia indietro che dà il destro a Marina Berlusconi di scrivere un articolo in cui attacca le “toghe rosse”, responsabili di aver pensato e creduto che suo padre avesse avuto legami con la malavita organizzata.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Cesare Parodi, non ci sta perchè la giustizia “alla fine ha trionfato” scrive. “Si, ma a mio padre quei 30 anni di sofferenze chi glieli ridarà?”. Parodi cambia parere, comprende di non essere stato all’altezza del suo ruolo e ritiene che in un paese civile questi episodi non debbono accadere.
Se oggi il clima è quello che abbiamo ricordato, meglio non pensare a quello che sarà dopo la festa di Capodanno. La speranza è che il buon senso riesca finalmente a vincere in attesa del risultato del referendum.
Si chiede troppo? Pretende forse tanto la gente di un Paese in cui per fortuna la democrazia non scricchiola come ritiene Elly Schlein, la segretaria del Pd?
Allora meglio rallegrarsi con un episodio avvenuto in un paese del Delta Padano. Proto Viro, così si chiama la cittadina che conta all’incirca tredicimila abitanti i quali sono stati chiamati alle urne per eleggere il sindaco. Le preferenze sono uguali per i due contendenti, però gli scrutatori danno ragione al vecchio sindaco, Mario Mantovan proprietario di un cane – Thor è il suo nome- votato da tre persone. Chi scrutina le schede ritiene che queste preferenze spettino al sindaco uscente il quale, grazie a Thor, governerà ancora per anni. Speriamo che prima delle elezioni regionali i candidati, leggendo quel che è accaduto, non si precipitino a comprare o adottare un cane. Non si sa mai.
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