Jihad globale, 24 anni dopo l’11 settembre: minaccia trasformata ma ancora viva

  • Postato il 11 settembre 2025
  • Di Panorama
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A ventiquattro anni dagli attacchi dell’11 settembre 2001, il panorama del terrorismo internazionale non si è affievolito: si è trasformato. Secondo un’analisi di The Soufan Group, la rete jihadista nata attorno a Osama bin Laden continua a rappresentare un pericolo, sebbene con caratteristiche diverse rispetto al passato.

Al-Qaeda, oggi di nuovo presente in Afghanistan sotto la protezione dei talebani tornati al potere nell’agosto 2021, mantiene la volontà di colpire l’Occidente. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha segnalato che l’organizzazione ha «accresciuto la sua propensione a organizzare azioni fuori area». Nonostante le perdite subite tra i vertici, parte dei quali opererebbe ancora dall’Iran – incluso il leader di fatto Saif al-Adel – la rete centrale e le sue filiali restano pericolose. Le ramificazioni attive in Somalia (al-Shabaab), Yemen (AQAP), subcontinente indiano (AQIS) e Sahel (JNIM) continuano a destabilizzare intere regioni.

La sottovalutazione di questo rischio, nota The Soufan Group, sarebbe un errore fatale: un atteggiamento simile a quello con cui Israele aveva guardato a Hamas prima del 7 ottobre 2023, data dell’attacco che ha provocato oltre 1.200 morti israeliani e un conflitto che ancora oggi devasta il Medio Oriente.

Lo Stato Islamico e la logica delle filiali

Se al-Qaeda ha sopravvissuto alla Primavera araba e all’ascesa dello Stato Islamico, anche l’Isis ha replicato la strategia del franchising, moltiplicando sezioni regionali. La branca afghana, nota come Provincia del Khorasan (ISKP), è oggi tra le più aggressive e ricorda per dinamismo l’AQAP del decennio scorso.

Nel 2024 ha realizzato attentati in Iran, Turchia e Russia, mentre in Europa diversi piani sono stati fermati sul nascere, compresi complotti contro le Olimpiadi di Parigi e un concerto a Vienna. Secondo The Soufan Group, grandi eventi sportivi e musicali rimarranno bersagli privilegiati, per il loro impatto mediatico e la capacità di causare un alto numero di vittime. La difesa di questi “obiettivi morbidi” resta un compito estremamente complesso per le autorità di sicurezza.

Altre diramazioni dell’Isis, come la Provincia dell’Africa Occidentale (ISWAP) e quella del Sahel (ISSP), hanno conquistato ampi territori, spesso scontrandosi con milizie legate ad al-Qaeda e destabilizzando Paesi dal Golfo di Guinea al Lago Ciad. In Africa centrale, con cellule attive in Somalia e Mozambico, lo Stato Islamico ha trasformato la regione subsahariana nel cuore pulsante del terrorismo jihadista.

La presenza di mercenari russi – prima della Wagner, oggi dell’Africa Corps – non ha migliorato la situazione: le campagne di controinsurrezione brutali hanno spinto intere comunità verso i jihadisti, rafforzandone la capacità di reclutamento.

Dalla lotta al terrorismo alla competizione tra potenze

Negli Stati Uniti, l’attenzione verso il contrasto al jihadismo si è progressivamente ridotta. Pur mantenendo una linea dura contro al-Shabaab e le milizie di Hurras al-Din in Siria, l’amministrazione Trump ha privilegiato la sfida con le grandi potenze e il contenimento dei cartelli della droga in America Latina.

Le risorse per il controterrorismo restano limitate e la stessa comunità di intelligence è stata ridimensionata: la direttrice della National Intelligence, Tulsi Gabbard, ha annunciato un taglio del 40% del personale, definendo l’agenzia «inefficiente e sovradimensionata». A ciò si aggiungono i tagli ai programmi di prevenzione della radicalizzazione, riducendo ulteriormente la capacità di anticipare nuove minacce.

Tecnologie emergenti e armi di distruzione di massa

Un altro punto critico è la disponibilità di strumenti tecnologici che abbassano la soglia di accesso per i gruppi non statali violenti. Intelligenza artificiale, droni, stampa 3D, criptovalute e sistemi di cifratura sono ormai a portata di mano.

Restano vive le aspirazioni a ottenere armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, così come a sviluppare capacità di attacchi informatici e sabotaggi.

L’Asse sciita e la minaccia iraniana

Il quadro non riguarda soltanto il fronte sunnita. Le milizie sciite e i gruppi che operano nell’orbita dell’Asse della Resistenza iraniano – dalle formazioni irachene agli Houthi – restano un pericolo crescente.

Dopo l’operazione statunitense “Midnight Hammer” contro le infrastrutture nucleari di Teheran, il timore di una risposta con cellule dormienti di Hezbollah negli Stati Uniti rimane concreto. L’Iran, nota The Soufan Group, gioca da sempre una partita di lungo periodo, avvalendosi di una rete globale che ha già colpito turisti, obiettivi culturali e basi americane all’estero.

La guerra di Gaza, inoltre, continua ad avere un effetto radicalizzante su scala mondiale, in particolare in Occidente.

Nuove forme di estremismo

Secondo l’analisi, il terrorismo globale non è più appannaggio esclusivo delle sigle jihadiste. Crescono le minacce provenienti da estremisti di sinistra, gruppi dell’ultradestra, misogini violenti noti come “incel”, tecnofobi neo-luddisti, complottisti radicalizzati e una nuova categoria di nichilisti estremisti.

L’FBI li definisce come «individui mossi dall’odio verso la società e dal desiderio di provocarne il collasso attraverso caos e distruzione indiscriminata». Si tratta di fenomeni che si sovrappongono con correnti anarchiche, accelerazioniste e anti-governative, rendendo ancora più difficile tracciare i confini delle nuove minacce.

Il quadro delineato da The Soufan Group mostra un universo jihadista – e non solo – in continua trasformazione, capace di adattarsi e sfruttare crisi geopolitiche, tecnologie emergenti e fratture sociali.

A 24 anni dall’11 settembre, il terrorismo resta un prisma multiforme, capace di reinventarsi ogni volta che il mondo abbassa la guardia.

Autore
Panorama

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