John Elkann, dai fasti di famiglia ai servizi sociali: la parabola degli Agnelli
- Postato il 21 settembre 2025
- Di Panorama
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Non sembra vero. Il capo della FuFiat, John Elkann, discendente della stirpe regale degli Agnelli, rischia l’affidamento ai servizi sociali presso i Salesiani torinesi. Siamo ben oltre la caduta degli dei, siamo al loro reimpiego nei servizi pubblici, non esclusi i servizi igienici. Una parabola si compie, un declino con svariati gradini discesi uno dopo l’altro.
Un tempo, solo immaginare il Signore della Fiat condannato ai servizi sociali sarebbe stato un reato di blasfemia: non si poteva neanche dirlo per scherzo e osare di farci una gag paradossale. Peccato mortale, reato penale. Tutto quel che succedeva a Torino era in una zona franca, o comunque iperprotetta, come sotto la campana di vetro delle madonne. Non c’era leader politico o capo d’azienda che «non poteva non sapere» quel che accadeva nel proprio regno; eccetto lui, l’Avvocato, che benché onnipotente e dunque onnisciente, poteva non sapere, in virtù di una divina ignoranza che permetteva l’esonero dagli affanni che riguardano i mortali.
Berlusconi, De Benedetti e l’Avvocato
Per fermarsi solo ai tre imprenditori famosi di un tempo, Berlusconi finì nel mirino dei giudici e ci restò per una vita, andando ai servizi sociali; De Benedetti fu attenzionato e chiacchierato ma poi la scampò per le ragioni che intuiamo; Gianni Agnelli restò illeso, legibus solutus, sciolto da ogni rischio di contaminazione sia dai fatti che dalle condanne dei suoi sottoposti, come accadeva ai Re taumaturghi investiti direttamente da Dio. Ma il declino della Fiat cominciò sin da quando c’era lui.
Elkann davanti ai giudici
Ora vedi il nipote di Agnelli che rischia di finire per un anno dai salesiani per la sua riabilitazione sociale; gli viene cioè prescritta una terapia di umiltà per disintossicarsi dal cinismo, dall’albagia e dalla presunzione d’immunità di cui aveva goduto, in linea ereditaria, per troppi anni.
In cambio ha ottenuto dalla Procura di Torino il via libera alla richiesta di sospensione del procedimento per frode fiscale presunta, con messa alla prova, nell’ambito delle indagini relative all’eredità della nonna, Marella Agnelli, vedova di Gianni Agnelli, morta nel 2019. Anche per i suoi fratelli Lapo e Ginevra c’è stato il via libera alla richiesta di archiviazione per i reati di dichiarazione infedele e truffa in danno dello Stato.
Il presidente di Stellantis, se scamperà alla condanna, dovrà sopportare l’umiliazione dell’affidamento ai servizi sociali e versare 183 milioni di euro al fisco. E dovrà tornare a Torino, città che la FuFiat aveva abbandonato nella sua mutazione in Fca, confluita in Stellantis.
Dalla produzione all’ingegneria finanziaria
Oltre al tracollo dell’azienda su tutti i fronti, con Elkann è stata portata a compimento la definitiva riduzione della FuFiat da impresa di produzione industriale e automobilistica a gruppo finanziario, con preminenti interessi speculativi, in cui i prodotti «reali» sono solo una variabile secondaria delle operazioni finanziarie. I dipendenti, neanche a dirlo, restano l’ultima ruota del carro.
Una saga familiare al capolinea
La saga degli Agnelli finisce nel peggiore dei modi possibili. La morte prematura di Giovannino Agnelli, considerato l’unico erede con sensibilità imprenditoriale, dopo la tragica scomparsa di Edoardo, e la lunga scia di «maledizioni»; poi gli Agnelli si internazionalizzarono in famiglia, grazie ai tre Elkann, figli dell’intervistatore e scrittore Alain e di Margherita Agnelli.
Gli Elkann sono una potente famiglia ebraica parigina, i giovani sono nati a New York. Un tempo il più noto dei tre era Lapo, personaggio leggendario, spesso caricaturizzato. Più defilata la sorella Ginevra, che pur seduta su un tesoro miliardario, godeva dei finanziamenti pubblici per film che incassavano molto meno di quanto ricevuto.
Particolarmente brutta la lite giudiziaria degli Elkann con la madre, Margherita, sull’eredità e la successione: raggiri, inganni e terribili dichiarazioni del figlio John contro la sua mamma. Una storia esemplare del peggior familismo che sconfina nel cannibalismo parentale.
Fiat, profitti privati e perdite sociali
Restò proverbiale, anche se mai detto nei «giornaloni», che la Fiat socializzasse le perdite ma privatizzasse i profitti. Usava il marchio d’italianità ma era pronta a battere bandiera straniera e trasferirsi all’estero per convenienza fiscale e di manodopera: un patriottismo intermittente e unilaterale, valido per gli utenti ma non per l’azienda.
Il declino dell’industria italiana
Dietro questa vicenda non c’è solo il tramonto della Fiat e della famiglia reale Agnelli. C’è il declino dell’industria italiana, la fine dei marchi nazionali, di cui oggi sopravvivono solo poche grandi aziende alimentari, più quel che resta nel design e nella moda. Il resto è in mani straniere.
Rimane un popolo di camerieri e di sartine rappresentato da un’élite di chef e stilisti, allietati dai melodici. Però se l’alternativa è la Dinasty degli Agnelli-Elkann, viva l’Italia proletaria e, sul piano imprenditoriale, onore a Giorgio Armani.