John Elkann, l’erede che incassa e scappa dall’Italia
- Postato il 28 dicembre 2025
- Di Panorama
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Citando Molière, i suoi più stretti collaboratori sussurrano che John Elkann non dà il buongiorno, al massimo lo presta. Il cinquantenne yankee-piemontese, li compirà il prossimo 1° aprile, a capo di una dinastia senza corona che ha sfruttato l’Italia, è prima di tutto un accumulatore seriale di denaro, quasi del tutto disinteressato all’industria e in fuga dal Paese che in 40 anni ha riversato nelle casse della fu Fiat 220 miliardi di euro. La stima, neppure approssimata per eccesso, è di Federcontribuenti. La battuta al vetriolo che lo definisce è di Carlo De Benedetti – un altro che ha la residenza fiscale in Svizzera e che con il Lingotto ha un conto di veleni mai chiuso – e spiega: «Elkann vende i giornali anche per andare via dall’Italia e mettere un oceano tra sé e i pm. Ha problemi con la giustizia. È già ai servizi sociali (rifiutati dal Gip, ndr). Fa il tutor per i ragazzi problematici, ma sarebbe lui ad aver bisogno di un tutor: tutto quello che ha toccato lo ha rotto. Gianni Agnelli era amato, lui no. Ed è il suo guaio».
La vendita di Gedi e la “buona stampa” perduta
Il riferimento è al penultimo motivo per cui si è tornati a parlare dell’amministratore delegato di Exor: la vendita della Gedi (Elkann l’aveva comprata dai figli di De Benedetti, che non li ha mai perdonati per questo) che contiene gli house organ della gauche caviar italiana: La Repubblica e La Stampa, quest’ultima detenuta dagli Agnelli da quasi un secolo per godere, appunto, di “buona stampa”. Fino al punto che Maurizio Landini, segretario della Cgil sempre molto presente sulle pagine dei due quotidiani, si è eretto ad “ammortizzatore sociale” delle proteste dei lavoratori per la continua erosione di occupazione negli stabilimenti ex Fiat. Dal 2020 al 2024, l’occupazione di Stellantis si è ridotta di 9.600 operai, per quest’anno si stima, considerando anche l’indotto, la perdita di altri 25 mila occupati (l’allarme lo ha dato la Fim-Cisl) e negli ultimi quattro anni l’Inps ha erogato 984 milioni di cassa integrazione ai dipendenti di Elkann.
Le accuse giudiziarie e l’imputazione coatta
L’ultimo motivo per cui il nipote prediletto (forse) dall’Avvocato si è imposto nei titoli di cronaca è che rischia di finire a processo con un paio di accuse non proprio gradevoli: dichiarazioni fraudolente e, per conseguenza, evasione fiscale. Il Gip di Torino Antonio Borretta ha disposto, opponendosi alla richiesta della Procura che voleva risolvere il caso con misure alternative, l’imputazione coatta di John Elkann. Lui sperava di cavarsela con nessuna sanzione penale avendo versato 183 milioni al fisco e ha accettato la messa alla prova – doveva occuparsi come tutore dei ragazzi dell’istituto salesiano Maria Ausiliatrice di Torino, da qui la battuta di De Benedetti – ma a questo punto a febbraio finirà alla sbarra nella non certo onorevole vicenda legata all’eredità della nonna, la principessa Marella Caracciolo Agnelli (l’accusa sostiene che hanno fatto sparire un miliardo), che lo vede opposto a sua madre Margherita Agnelli.
A rendere particolarmente fastidiosa la pratica legale – potrebbe avere conseguenze sulla sua idoneità morale a restare presidente di Stellantis e ceo di Exor visto che sono entrambe holding di diritto olandese e al Nord sulla solidità reputazionale degli amministratori non scherzano – è che il Gip accusa Elkann di una sorta di occultamento di decesso: avrebbe manomesso la data della morte della nonna di cui aveva costituito – sostiene il Gip – una falsa residenza in Svizzera per frodare l’erario. Quello stesso attraverso cui lo Stato ha foraggiato con fiumi di denaro la dinastia. Non c’è governo, dall’unità sabauda in poi, che non abbia preso soldi dei cittadini e li abbia dirottati nelle casse della casa “regnante” a Villar Perosa.
Dallo Stato-bancomat alla fuga industriale
Fu Benito Mussolini a nutrire e gonfiare le fabbriche del senatore Giovanni Agnelli, sarà poi la Democrazia cristiana ai tempi di Vittorio Valletta a contribuire alla rinascita post bellica; con Gianni Agnelli la prima Repubblica è stata generosa assai fino ai gentili cadeaux di Romano Prodi con l’Alfa Romeo e la Telecom. Ma da quando John Elkann ha assunto su di sé l’eredità – parola assai scomoda per lui – del famiglione è partito il processo «prendi i soldi e scappa» per dirla con Woody Allen. Finché c’è stato Sergio Marchionne, che pure nel 2014 trasferisce ad Amsterdam la sede legale di Fca, nata dalla fusione di Fiat e Chrysler, il core business era l’auto e il cervello del gruppo era ancorato a Torino. Scomparso il manager con il maglionino blu, Jaki ha cominciato a tessere la sua tela. Ha dato luogo al progetto Stellantis, nata cinque anni fa unendo Fca con Psa, e ha cominciato a portare via il lavoro dalle fabbriche italiane.
In compenso si è fatto dare una garanzia da 6,3 miliardi da Giuseppe Conte e ha rastrellato un altro paio di miliardi di aiuti pubblici con una differenza: lo Stato francese è azionista, quello italiano è solo un bancomat. Elkann ha aperto fabbriche in Serbia, in Marocco, ha delocalizzato produzioni in Spagna, ha firmato accordi con i cinesi di Leapmotor ed è diventato il concessionario europeo di vetture in concorrenza con la 500 elettrica di Mirafiori, buttando a mare il progetto della gigafactory di Termoli.
Smontare l’eredità dell’Avvocato
Il “nipote” ha lavorato a smontare tutto ciò che il nonno Gianni Agnelli aveva costruito. Ha venduto Magneti Marelli per oltre 6 miliardi al fondo Kkr, la Iveco agli indiani di Tata Motors per 3,8 miliardi, sta cedendo Lifenet, ha venduto la maggioranza di Comau a fine 2024. Il polo della robotica era quello dove si era formato il rampollo che davvero l’Avvocato avrebbe voluto alla testa dell’impero: Giovannino Agnelli.
Era il nipote preferito, figlio di Umberto, aveva risollevato la Piaggio e se non fosse morto di tumore a soli 33 anni era destinato a guidare la famiglia. Un’altra morte ha aperto la successione a John Elkann, quella di Edoardo Agnelli, suicida a fine Duemila. C’è la famosa lettera di Monaco del luglio 1996 in cui Gianni Agnelli indica altri eredi e colloca John solo al terzo posto. Ma dalla morte dell’Avvocato, nel 2003, John comincia a tessere la tela con la nonna Marella per conquistare eredità e testa del gruppo. Che oggi porta sempre più lontano dall’Italia.
Valori in vendita e identità doppia
A Torino mantiene un profilo riservato, a New York si scatena con la moglie Lavinia e il fratello Lapo. Il clan Elkann è totalmente newyorkese. Anche questa doppiezza fa parte del personaggio: ufficialmente cattolico, mantiene rapporti strettissimi con gli ambienti ebraici del padre Alain Elkann. Faceva l’editore di sinistra ma poi vende tutto. Prima i giornali, poi forse la Juventus. «I nostri valori non sono in vendita», dice Elkann rispondendo all’offerta di Tether. Ma i giornalisti di Stampa e Repubblica si chiedono: «La Juventus sì e noi no?».
Ferrari, il simbolo che non vola
In Borsa l’azione bianconera vola. Chi non vola è la Ferrari. La gestione del Cavallino rampante sotto la presidenza di Elkann è la peggiore nella lunga e gloriosa storia della scuderia: diciassette anni senza un mondiale. Luca Cordero di Montezemolo, con cui la Ferrari ha vinto 19 titoli, ha dichiarato: «Mi mandò via senza neppure una stretta di mano». Questo è Jaki: patrimonio personale 2,8 miliardi di dollari, a capo di Exor vicina ai 50 miliardi di fatturato, controllata con il 38 per cento della cassaforte Dicembre.
Ma ora i giudici vogliono vederci chiaro. Forse non è un bel momento per Jaki. Lo dice anche Osho, con la sua ironia: in una vignetta Lapo, rivolto a John, lo apostrofa: «Poi ero io il fijo scemo eh…».