Karpanthos, il “piano diabolico” di Iervasi e moglie per lo status di collaboratore di giustizia

  • Postato il 23 luglio 2025
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Karpanthos, il “piano diabolico” di Iervasi e moglie per lo status di collaboratore di giustizia

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La Dda di Catanzaro smaschera il “piano diabolico” di Iervasi e della moglie, falso pentimento dopo l’operazione Karpanthos per diventare collaboratore di giustizia.


CATANZARO – «Infama qualche altro che sia vivo, amó. Non ti fare scrupoli. Fai come ti dico». Un piano “diabolico”. Così gli inquirenti definiscono il tentativo di Luigina Marchio di far rendere dichiarazioni «viziate e non veritiere», chiamando in causa anche persone estranee ai fatti, al marito Vincenzo Antonio Iervasi, una delle “gole profonde” della mafia dei boschi che hanno iniziato a “cantare” dopo l’operazione Karpanthos del settembre 2023. Ma le “cantate” di Iervasi sono apparse subito stonate. E così per il presunto capo del “gruppo di Cerva” non è scattato il programma di protezione, tanto che per lui la Dda di Catanzaro ha già chiesto una condanna a 20 anni di reclusione non riconoscendo attenuanti per la collaborazione con la giustizia. Da una nuova informativa dei carabinieri versata agli atti del processo si capisce perché Iervasi non è stato ritenuto attendibile.

TELEFONO IN CARCERE

L’obiettivo di Marchio sarebbe stato, secondo la ricostruzione degli investigatori, quello di far ottenere al marito e al suo nucleo familiare i benefici previsti dal programma di protezione “in modo fraudolento”. Emergerebbe dai colloqui tra marito e moglie intercettati dai carabinieri anche in epoca recentissima, fino al giugno scorso. Iervasi, infatti, a dispetto del cambio paradigmatico di condotta che ci si attenderebbe da chi intraprende un percorso di collaborazione con la giustizia, parlava con la moglie dal carcere di Lanciano grazie a un telefono cellulare in cui era inserita una scheda Sim che peraltro condivideva con altri detenuti. Uno stratagemma che consentiva a Iervasi di comunicare con i propri familiari a qualsiasi ora del giorno.

Un piano ondivago. All’inizio della collaborazione avviata da Iervasi con gli inquirenti, infatti, la donna informa il marito di alcuni tentativi di intimidazione, come il rinvenimento di cartucce nella buca delle lettere e la consegna di un pacco senza mittente e contenente una candela. E l’uomo la invita a riferire i fatti alle forze dell’ordine. Ma c’è dell’altro.

OPERAZIONE KARPANTHOS: VERSIONI DA FAR QUADRARE PER DIVENTARE IERVASI COLLABORATORE DI GIUSTIZIA

Alcuni dei colloqui captati dagli inquirenti vertevano sulla necessità di far quadrare le versioni rese da marito e moglie. La donna, infatti, si propone di scrivere su un bigliettino cosa ha dichiarato a un magistrato, «così ci troviamo su una parola sola». La donna peraltro stava tentando di introdurre in carcere un cellulare. La mancata consegna sarebbe dovuta soltanto ai controlli. Ma, soprattutto, dall’ascolto dei dialoghi si coglie il progetto di Marchio volto a far ottenere al marito lo status di collaboratore di giustizia «anche attraverso dichiarazioni preconfezionate e calunniose». La donna lo spronava a fare “nomi nuovi”, con riferimento a fatti non ancora noti agli inquirenti.

Per esempio, lo invita a fornire ulteriori dettagli su una vicenda su cui anche lei aveva fatto dichiarazioni, chiamando in causa un certo “Gustino” e implementando dichiarazioni già rese da Domenico Colosimo, ex killer della montagna pentitosi subito dopo il blitz scattato nella Presila catanzarese. E ancora, lo invita a “farsi furbo”, integrando, con riferimento a nuove persone, quanto già dichiarato in merito a un non meglio precisato fatto di sangue, secondo indicazioni fornite “dall’avvocatessa”. L’”avvocatessa”, non meglio indicata, precisava che Iervasi avrebbe dovuto puntualizzare che le notizie erano state da lui apprese perché inserito nel contesto criminale.

«INFAMA QUALCHE ALTRO»

La strategia? «Infama qualche altro che sia vivo, amó. Non ti fare scrupoli. Fai come ti dico». Soltanto così si sarebbe sbloccato il limbo e Iervasi e i suoi avrebbero potuto rientrare nella protezione accedendo ai benefici previsti. Così la donna pilotava le dichiarazioni del marito. «Mena alla grande e non te ne fottere». Addirittura lo spingeva a chiedere di essere interrogato da un pm piuttosto che da un altro, sottolineando che non avrebbe dovuto riportare la solita “pappardella”. Lo invitava a fare come il collaboratore di giustizia Danilo Monti, che, a dire della donna, avrebbe riferito circostanze non veritiere ma avallate dagli inquirenti, mentre l’unico della serie di pentiti della montagna non ritenuto credibile restava proprio Iervasi.

A un certo punto la donna viene sottoposta a perquisizione dei carabinieri, che sequestrano due cellulari. Parla anche di questo col marito e, in preda allo sconforto, ipotizza che gli inquirenti vogliano farli passare per “bugiardi”.

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APPALTI IN FRANCIA

Ma perché Marchio ci teneva tanto ad acquisire lo status di collaboratore di giustizia? Dalle intercettazioni è emerso un ulteriore piano diabolico della donna, intenzionata ad accaparrarsi possibili appalti in Francia da parte di un imprenditore originario di Sersale per opere di muratura e servizi di pulizia presso strutture alberghiere. Al potenziale appaltatore però la donna avrebbe omesso di riferire chi era il suo compagno. Parlava anche di questo col marito, perché per andare avanti bisogna “farsi furbi”. Invitava il marito anche a fare dichiarazioni sul fratello Gianfranco, che non aveva inteso intraprendere la collaborazione con la giustizia. A un certo punto va pure a trovarlo in carcere. Ed è a Gianfranco Iervasi che annuncia che vuole andare in tv a denunciare le storture giudiziarie di cui a suo dire erano rimasti vittime lei e i figli per la mancata protezione. Al cognato racconta di una proposta ricevuta da Rai Uno per la partecipazione a un programma televisivo. E del suo progetto di raccontare la sua storia anche alla presenza del procuratore Nicola Gratteri, che era ancora alla guida della Dda catanzarese quando era in corso l’inchiesta sulla mafia dei boschi. «L’avvocatessa dice che facciamo intervenire anche Gratteri». Un chiaro quanto maldestro tentativo di strumentalizzazione della figura del popolare magistrato, tra i più esposti nella lotta alla mafia.

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