La borsa Birkin battuta all’asta per milioni, ma il prezzo più alto lo pagano gli animali
- Postato il 18 luglio 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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di Patrizia Re*
Sette milioni di euro. È questo il prezzo da capogiro raggiunto di recente all’asta dalla prima borsa Birkin al mondo. Per quanto sbalorditiva, la cifra è ben lontana dal costo più alto associato ad accessori realizzati con pelli selvatiche. Dagli animali sensibili che muoiono per la moda, al danno ambientale e all’elevato rischio di malattie zoonotiche causato dal processo di trasformazione delle pelli in borse, le pratiche dei grandi brand minacciano il tessuto stesso della nostra esistenza.
Parte del problema è la filiera clandestina. La maggior parte dei consumatori vede principalmente confezioni sfarzose e marchi da ostentare. Sono così accecati dalla narrazione e dall’esclusività che non si accorgono degli animali a cui viene tolta la vita. Proprio la settimana scorsa, il rapper Lazza è stato sedotto dall’hype, regalando pubblicamente a sua madre una Birkin per mantenere una promessa fatta nei suoi testi tempo addietro. Se la filiera dell’accessorio “di lusso” fosse più trasparente, Lazza – che in passato ha partecipato a un concerto di beneficenza per raccogliere fondi per i bambini vulnerabili – avrebbe probabilmente regalato una borsa vegana.
Mentre abili strategie di marketing oscurano le uccisioni che si celano dietro alle borse Birkin, esistono indagini, condotte da attivisti per la liberazione animale, a disposizione di chiunque voglia dare uno sguardo alla realtà della produzione. In Australia, da dove proviene il 60% delle pelli di coccodrillo a livello mondiale, un’indagine del Farm Transparency Project su allevamenti intensivi in parte di proprietà di Hermès ha rivelato fosse di cemento piene d’acqua stagnante e gabbie anguste in cui erano rinchiusi rettili apatici. E’ stato anche documentato il momento in cui i coccodrilli vengono trascinati al macello: trafitti al cranio con un cacciavite per distruggere il cervello e scuoiati, talvolta mentre sono ancora vivi. Almeno tre coccodrilli vengono uccisi a soli due anni (una frazione della loro aspettativa di vita di 70 anni) per realizzare una sola borsa Hermès. L’industria è così crudele che Jane Birkin stessa chiese che il suo nome fosse rimosso dalla borsa dopo che PETA diffuse i filmati.
Non sono solo i coccodrilli a essere sfruttati, né soltanto Hermès a trarne profitto. Un’indagine di PETA Asia in un mattatoio che rifornisce Gucci ha rivelato lavoratori che legavano le zampe delle lucertole, le colpivano con martelli e le decapitavano senza averle stordite, causando morti lente e dolorose. Un’altra indagine ha documentato pitoni con bocca e ano legati, nei cui corpi veniva forzata aria compressa, provocando una morte atroce. PETA US ha inoltre documentato giovani struzzi colpiti alla testa durante il trasporto verso il macello.
La cosa più frustrante è quanto tutto ciò non sia necessario: non solo l’opulenza, ma anche la sofferenza degli animali. Con una vasta gamma di pelli vegane oggi disponibili, realizzate con materiali di origine vegetale che spaziano dai cactus all’uva, non c’è bisogno di torturare individui senzienti. Le pelli vegane non sono estranee ai marchi del lusso: Hermès stessa ha utilizzato la pelle di fungo; altri brand che hanno lavorato con pelli vegane includono Gucci e Balenciaga. Le case di moda conoscono strade migliori; ora devono anche fare di meglio.
Più pulita, più sostenibile e più etica, la pelle vegana non è un compromesso, bensì un’evoluzione e uno status symbol a pieno titolo. Stella McCartney, leader della moda gentile, quest’anno festeggia il 15º anniversario della sua iconica “Falabella”, una borsa di grande successo realizzata da sempre in lussuosa pelle vegana.
La moda è in grado di cambiare, e il cambiamento è già in atto, seppur lentamente. Ora spetta ai consumatori richiedere prodotti cruelty-free per incoraggiare gli stilisti ad abbandonare le pelli animali. È accettabile che i beni di lusso vengano battuti all’asta, mentre non è accettabile che prima ancora sia il cranio di un animale ad essere colpito da un martello.
*Patrizia Re è Senior Corporate Consultant per People for the Ethical Treatment of Animals (PETA)
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