La carica delle modelle AI: benvenuti nell’era della moda artificiale

  • Postato il 29 luglio 2025
  • Di Panorama
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All’apparenza sembra tutto normale. Siamo su Vogue America, numero di agosto: la consueta parata di pubblicità patinate, visi impeccabili e pose studiate al millimetro. Ma tra un brand di lusso e l’altro, qualcosa (o meglio, qualcuno) non torna.

La modella della nuova campagna Guess ha tutto: capelli biondi voluminosi, mascella scolpita da manuale, vestiti a righe e un prendisole floreale che grida “estate californiana”. Eppure… non è reale. Lo rivela una minuscola dicitura, praticamente mimetizzata nel layout della pagina, ben infilata vicino alla piega della rivista: «Produced by Seraphinne Vallora on AI». Boom. Sorpresa. La modella è generata da un’intelligenza artificiale.

La carica delle modelle AI: benvenuti nell’era della moda artificiale
La carica delle modelle AI: benvenuti nell’era della moda artificiale
La carica delle modelle AI: benvenuti nell’era della moda artificiale
La carica delle modelle AI: benvenuti nell’era della moda artificiale

Ora, che le “AI model” stiano conquistando i social non è una novità: popolano Instagram già da tempo (vedi Mia Zelu), alcune sono seguite più delle vere modelle, e generano ritorni economici non indifferenti per chi le ha progettate. Ma questa è un’altra storia. Stavolta la modella in questione è arrivata direttamente sulle pagine della cosiddetta bibbia della moda. E questo, piaccia o meno, è un momento spartiacque. O, per alcuni, il suono sinistro di un sipario che cala.

Chi c’è dietro la modella che non c’è

Dietro questa comparsata digitale c’è Seraphinne Vallora, un’agenzia fondata da due ex architette di 25 anni, Valentina Gonzalez e Andreea Petrescu. In origine volevano lanciare un brand di gioielli, ma, impossibilitate a pagare una campagna tradizionale, hanno deciso di farsela da sole. O meglio, da sole + AI.

Il resto è storia: 220.000 follower su Instagram e la chiamata di Paul Marciano, co-fondatore di Guess. «Paul è un pioniere – ha spiegato Petrescu alla BBC –. Non cerca di sostituire le modelle, ma di integrare. Le campagne tradizionali richiedono tempi lunghissimi. Con l’AI è tutto più veloce: non servono viaggi, permessi, né grandi set».

Ma non è tutto così semplice. Generare quelle immagini richiede fino a un mese di lavoro e un budget nella “parte bassa delle sei cifre” (tradotto: fra i 100 e i 400 mila euro, mica briciole). Si parte da una moodboard dettagliatissima, si definiscono etnia, occhi, pelle, pettinatura, stile, atmosfera. Spesso si coinvolgono persino modelle e fotografi veri per studiare luci e pose, prima di trasferire tutto nel mondo digitale. «È come per la fotografia – dice Valentina Gonzalez –. Dare una macchina fotografica a una persona qualsiasi non la rende un fotografo». Il che è vero. Ma dare un algoritmo a chiunque lo rende un creativo?

L’era delle modelle AI

L’arrivo della modella virtuale su Vogue ha scatenato una valanga di reazioni online. La polemica, per la verità, serpeggia da un po’. E ora si fa seria.

Modelli AI come Mia Zelu, che si fa vedere a Wimbledon 2025 (senza esserci mai stata), o Aitana, influencer palesemente “fake” (lo scrive persino nella bio: “1st AI influencer created”), stanno già causando imbarazzi reali. Gente che prova a invitarle a eventi, magari convinta che basti un DM per far materializzare un algoritmo in sala stampa.

E intanto le “pioniere” si affollano: da Lil Miquela (nata nel 2016, 2 milioni di follower e già allora un casino di dubbi etici) a Bermuda, la sorella digitale impegnata politicamente, fino a Blawko, il primo modello uomo, e Shudu, la supermodella digitale creata dal fotografo Cameron-James Wilson, brandizzata da Fenty Beauty ed Elie Saab. Una generazione artificiale che prometteva rivoluzione e inclusività, ma oggi sembra produrre soprattutto… lo stesso tipo di bellezza di sempre.

Inclusività? Sì, ma in formato JPEG

È qui che il discorso si fa (ancora più) spinoso. Perché a ben guardare, le modelle AI sembrano tutte figlie dello stesso algoritmo: snelle, lisce, simmetriche… Lo fa notare la modella plus-size Felicity Hayward, che alla BBC ha detto: «Un calcio nei denti», riferendosi agli anni di battaglie per la rappresentazione dei corpi diversi.

Seraphinne Vallora prova a difendersi: «Abbiamo provato a pubblicare immagini più variegate sul nostro profilo Instagram, ma il pubblico non risponde, non ottengono “like”». E aggiungono che la tecnologia «non è ancora abbastanza avanzata» per creare modelle plus-size realistiche. Tradotto: il software è grassofobico. O forse lo siamo noi.

E intanto, come mostrano diverse ricerche, i corpi creati artificialmente si assomigliano tutti: longilinei, scolpiti, eurocentrici, omologati. E soprattutto: condivisibili. Il problema è che questi ideali digitali filtrano nei cervelli degli adolescenti, trasformandosi in nuovi standard impossibili. Solo che, stavolta, neanche il bisturi basta.

L’impatto sul lavoro umano

L’allarme vero però lo lancia Sara Ziff, fondatrice della Model Alliance, che tutela i diritti nel settore: «Meno innovazione e più un disperato tentativo di tagliare i costi». Perché se si può evitare di assumere truccatori, fotografi, stylist, luciai e persino modelle, il risparmio è ghiotto. Ma a che prezzo?

C’è poi la questione della trasparenza. La nota che identifica la modella AI Guess è praticamente invisibile. Serve forse un’etichetta più chiara? Un bollino “100% sintetico”? O dobbiamo imparare a leggere tra i pixel?

Come ha dichiarato Sinead Bovell, ex modella diventata tech entrepreneur, Vogue è «la corte suprema della moda». Se pubblica una modella AI, allora vuol dire che è legittima. Game over.

Autore
Panorama

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