La Cina attacca la moda europea
- Postato il 2 novembre 2025
- Di Panorama
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E’ difficile capire come mai dopo aver “regalato” alla Cina l’automotive, immolando sull’altare della transizione ecologica brand storici e d’eccellenza in nome di una corsa accelerata e perdente verso l’elettrico su cui Pechino ha il monopolio, i burocrati di Bruxelles abbiano deciso di consegnare ai colossi dell’e-commerce asiatici anche il mercato del tessile e della moda. Le grandi piattaforme di fast e ultra fast fashion, dopo aver rivoluzionato il settore a colpi di prezzi stracciati e di sofisticate strategie di marketing, ora stanno anche facendo terra bruciata dei valori occidentali quali la qualità, la tradizione artigiana e la durevolezza. Uno stravolgimento, un attacco culturale, oltre che economico, epocale, consumato nell’indifferenza delle istituzioni europee.
Il potere seduttivo di Shein, Temu & Co.
Il potere seduttivo di Shein e Temu, solo per citare alcune delle piattaforme più popolari di ultra fast fashion made in China, è diventato inarrestabile. Anche la “sciura” milanese, tutta Prada e Vuitton, non resiste al dolcevita di Uniqlo (altra catena, ma giapponese, di moda usa e getta). All’inizio erano solo Zara, H&M e Mango che facevano sentire trendy con poche decine di euro, poi è arrivata la valanga asiatica. Gli articoli delle piattaforme cinesi sono offerti a prezzi ridicoli: il costo medio di un pezzo Shein è di 14 euro rispetto ai 28 di H&M e ai 35 di Zara. Temu straccia addirittura Shein con ribassi dal 10 al 40 per cento.
Intelligenza artificiale, micro-lotti e margini killer
Ma non è solo il prezzo il loro punto di forza. Shein usa l’Intelligenza artificiale per anticipare le tendenze ed è in grado di produrre articoli appena tre giorni dopo l’identificazione di una nuova moda. Inoltre, limita i suoi ordini a piccoli lotti di circa 100 articoli per misurare l’interesse dei clienti, mentre i suoi concorrenti, come Zara, ordinano quantità maggiori (circa 500), con un maggior rischio di perdere profitto se poi le vendite sono sotto le stime. Questa strategia ha permesso al gigante dell’e-commerce cinese di raggiungere una valutazione di oltre 100 miliardi di dollari.
Temu, la piattaforma che fa tremare Amazon
Temu è ancora più aggressiva. Spazia dall’abbigliamento ai piccoli elettrodomestici e la sua esplosione di popolarità ha indotto persino l’Economist a chiedersi «quanto dovrebbe essere preoccupata Amazon di Temu?». Per offrire sconti elevati e fast shipping (consegne iper veloci), ha abolito gli intermediari e lavora direttamente con produttori e fornitori. Inoltre, è in grado di accedere a milioni di aziende in Cina, spesso alle prese con problemi di sovrapproduzione e quindi con la necessità di liberarsi del magazzino che vendono a prezzi stracciati. Ha una strategia sofisticata di convincimento subliminale che induce i consumatori ad acquistare articoli di cui non avrebbero bisogno. Poi c’è Zaful, focalizzata sui giovanissimi e in concorrenza con i due colossi. Queste piattaforme si servono dei social con una pubblicità ingannevole che aggancia i teenager ma anche i loro genitori.
La falla normativa che devasta l’industria italiana
La forza d’urto è anche nella capacità di sfruttare la lentezza di reazione delle istituzioni europee, sfruttando a proprio vantaggio i vuoti legislativi. «Non pagano dazi, né dogane e spesso nemmeno l’Iva. Ogni giorno nelle nostre case arriva un milione di pacchi, provenienti dalla Cina», è l’allarme lanciato dal presidente di Confindustria moda, Luca Sburlati. La filiera della moda, che nel 2023 valeva circa 104 miliardi, nel 2024 è scesa a 90 e quest’anno, dice il manager, saremo intorno agli 80 miliardi.
Il “cavallo di Troia”, per penetrare nel mercato italiano e distruggerlo dal di dentro, sono appunto i piccoli pacchi di valore inferiore a 150 euro per i quali la Ue non prevede dazi. Assurdo ma vero.
Un settore che vale il 5% del Pil sotto assedio
Non ci vuole molto per capire che il tessile e la moda italiani, un ecosistema sul quale si regge il 5 per cento del Pil del Paese, è sotto attacco. Come ha riferito l’associazione confindustriale, nel primo semestre 2025 l’export nostrano è calato circa del 4 per cento, mentre l’import è salito del 6, con la Cina che ha registrato +18 per cento.
Un report della Commissione europea sull’e-commerce aggiunge qualche chicca: nel 2024 sono stati importati 4,6 miliardi di articoli di valore inferiore a 150 euro (nel 2023 erano 2,3 miliardi e 1,4 miliardi nel 2022). Significa 12 milioni di pacchi al giorno e in questa cifra la parte del leone la fanno proprio Temu e Shein. Nel 2023 Bruxelles ha sequestrato circa 150 milioni di articoli contraffatti nel settore abbigliamento e calzature, per un valore di 3,5 miliardi di euro.
Per questo Sburlati reclama un intervento tempestivo della politica per mettere in sicurezza un sistema che dà lavoro, in modo diretto e indiretto, a oltre un milione di persone.
Bruxelles sa, ma non agisce
Il tema è sul tavolo europeo, ma finora, tranne qualche sanzione, nulla di strutturale è stato fatto. C’è un lavoro in corso per un intervento sulla tassazione, ma procede a rilento. Ursula von der Leyen ha indicato le criticità e l’obiettivo di introdurre un contributo di 2 euro per ogni spedizione verso la Ue, oltre al rafforzamento delle norme sulla sicurezza dei prodotti. Ma la macchina di Bruxelles procede lenta, regalando altro vantaggio competitivo a Pechino.
Anche gli ambientalisti avvertono: è un disastro ecologico
Eppure anche le organizzazioni ambientaliste, alle quali la Commissione è sempre sensibile, hanno lanciato l’allarme sui danni della moda usa e getta di scarsa qualità che alimenta le discariche a cielo aperto dei rifiuti difficili da riciclare.
Le reazioni nazionali: Italia, Francia, Germania, Svezia
In attesa di una decisione delle istituzioni europee, i Paesi si muovono in ordine sparso.
— In Italia, il ministero del Made in Italy ha messo a punto un emendamento che impone obblighi ambientali a queste aziende.
— In Francia, è stata introdotta una tassa su ogni pacco di ultra fast fashion e vietata la pubblicità ingannevole sui social.
— In Germania, l’Antitrust indaga Temu.
— In Italia, l’Autorità garante ha multato Shein.
— In Francia, multa da 40 milioni.
— In Svezia, Shein condannata per violazione copyright.
Multinazionali intoccabili, sanzioni ridicole
Le sanzioni hanno lo stesso effetto di una puntura di spillo per il fatturato di queste multinazionali e sono davvero ridicole se confrontate al danno economico reale che creano sulla filiera del fashion e ai pericoli per il consumatore a contatto con prodotti non certificati.
Il prezzo lo pagano le piccole imprese italiane
L’impatto del fast fashion made in China si sente soprattutto sulle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto connettivo della filiera della moda, dove c’è la culla dell’artigianato e dove maggiori sono le professionalità. Secondo il sindacato Filctem, solo nella provincia di Firenze, dove si trova il 48 per cento della produzione nazionale, sono andati persi 3 mila posti di lavoro.
L’errore è pensare che l’innovazione tecnologica possa sopperire all’intelligenza artigianale. Ma un pezzo di tradizione italiana ed europea si sta perdendo.
La responsabilità? Non della Cina, ma di chi non sa difendere l’industria del Vecchio continente.