La Cina aumenta l’import di petrolio russo e finanzia la guerra di Putin. Mentre Trump prende tempo sulle sanzioni

  • Postato il 21 agosto 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La Cina, il più grande importatore di petrolio al mondo, ha ulteriormente aumentato gli ordini di greggio russo dopo che le sanzioni secondarie imposta da Donald Trump hanno ridotto l’import da parte dell’India. Per garantirsi forniture a basso costo, come ricostruito da un’inchiesta del Financial Times, Pechino ha messo a punto meccanismi come l’uso di ipoteche navali come garanzia contrattuale, che consentono di non servirsi di normali intermediari finanziari soggetti a sanzioni se facilitano le transazioni con Mosca. Il Dragone continua dunque imperterrito a finanziare il Cremlino, mentre il presidente Usa esita a imporre misure ritorsive nei suoi confronti nonostante si tratti di uno dei possibili strumenti di pressione per indurre Vladimir Putin a far cessare la guerra in Ucraina.

Più acquisti dopo il calo della domanda indiana

La Cnn ha dato conto del fatto che le raffinerie cinesi hanno acquistato almeno 15 carichi di petrolio russo in consegna tra ottobre e novembre, approfittando del calo della domanda indiana dopo i nuovi dazi statunitensi. Le spedizioni partiranno dai porti russi dell’Artico e del Mar Nero, da cui di solito prendono il mare i carichi destinati all’India. Che lo scorso anno ha importato petrolio e greggio dalla Russia per un valore di 53 miliardi di dollari, secondo i dati aggregati dalle Nazioni Unite. Ma, come ha sintetizzato due giorni fa il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul, è un segreto di Pulcinella il fatto che “la guerra della Russia” che gli Usa e i leader europei spingono per fermare “è resa possibile dal fondamentale sostegno cinese”. Perché “l’80% dei beni a duplice uso utilizzati dalla Russia proviene dalla Cina” e “la Cina è il maggiore acquirente di petrolio e gas russi”.

Così la Cina compra petrolio sotto sanzioni

Un’inchiesta del Financial Times spiega come il greggio “ombra”, ossia proveniente da Paesi soggetti a sanzioni occidentali come Iran, Venezuela e ora Russia, circoli quasi liberamente verso la Cina aggirando i normali canali finanziari. Comprare da quei venditori rende problematico il ricorso ai normali strumenti di pagamento internazionale, come le lettere di credito bancarie: le banche temono ritorsioni dagli Stati Uniti e spesso si rifiutano di avere un ruolo in operazioni del genere. Ma i canali alternativi non mancano. Esistono broker di materie prime – il quotidiano racconta la storia della Ocean Glory Giant, registrata a Panama e rappresentata da un avvocato iraniano – che offrono come garanzia per gli scambi commerciali delle ipoteche navali: pegni garantiti da petroliere.

Di norma quelle ipoteche sono a garanzia di prestiti, ma possono essere usate in modo “creativo” per sostituire gli intermediari finanziari: se l’acquirente cinese non paga il petrolio ricevuto, la società intermediaria può rivalersi sull’ipoteca e prendere possesso della nave. Serve solo l’aiuto di un legale, nel caso di specie avvocati svizzeri inizialmente ignari della vera natura delle operazioni e disponibili a costituire società offshore e firmare i contratti di ipoteca per decine di petroliere, ognuna intestata a una diversa holding. Il che spezza la catena di responsabilità e rende difficile attribuire a Pechino un coinvolgimento diretto.

Financial Times e C4ADS, un gruppo di ricerca no-profit che studia le reti illegali, hanno ricostruito come la Cina con questo meccanismo si garantisca un flusso regolare di greggio a prezzo ribassato, evitando di esporre le proprie grandi compagnie statali (il rischio è suddiviso su una costellazione di intermediari e società minori).

Trump prende tempo e Pechino si avvicina a Delhi

Considerato che la Cina si oppone esplicitamente alle sanzioni e lo scorso anno ha importato circa 2 milioni di barili al giorno dalla Russia, la sfida a Trump è smaccata. Ma in questo caso il presidente Usa, evidentemente, ritiene di non avere in mano carte sufficienti per mettere in campo l’usuale atteggiamento da “bullo“. Prima di Ferragosto ha rinviato di altri tre mesi l’entrata in vigore dei super dazi al 145% che aveva annunciato in aprile ma sono stati rapidamente sospesi. E il 16 ha fatto sapere di non avere fretta a imporre sanzioni per l’acquisto di petrolio russo da parte di Pechino. Che nel frattempo, e così il cerchio si chiude, è sempre più vicina a New Delhi: martedì i ministri degli Esteri dei due Paesi, Wang Yi e Subrahmanyam Jaishankar, si sono visti in India e hanno concordato “di mantenere lo slancio nei rapporti bilaterali” propiziato dai dissapori con Washington. Wang ha sottolineato che “le pratiche di bullismo unilaterale sono dilaganti e il libero scambio e l’ordine internazionale si trovano ad affrontare gravi sfide”, chiaro riferimento agli Usa. Dunque Cina e India, dopo gli aspri scontri militari sul confine conteso himalayano, devono riavvicinarsi perseguendo “una cooperazione vantaggiosa per tutti” e “dimostrare un senso di responsabilità globale, agire come grandi potenze e dare l’esempio ai Paesi in via di sviluppo”.

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Il Fatto Quotidiano

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