La Cina lancia la Global Governance Initiative. No ai doppi standard e all’egemonia Usa: ecco in cosa consiste

  • Postato il 2 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Per “costruire un sistema di governance globale più equo e ragionevole”. Per combattere la mentalità da “Guerra Fredda”, “l’egemonismo” e il “protezionismo”. Dal palco della Shanghai Cooperation Organization (SCO) il presidente cinese Xi Jinping si è fatto promotore di una nuova visione per affrontare l’attuale congiuntura internazionale, caratterizzata da “turbolenze e trasformazioni”. Il nome non giunge del tutto nuovo: la Global Governance Initiative rappresenta la quarta iniziativa globale lanciata dalla Cina negli ultimi quattro anni e va ad aggiungersi alla Global Development Initiative (GDI), alla Global Security Initiative (GSI) e alla Global Civilization Initiative (GCI). Si basa sui cinque principi di uguaglianza sovrana, rispetto dello stato di diritto internazionale, multilateralismo, approccio incentrato sulle persone e adozione di azioni concrete. Obiettivo conclamato: definire in maniera più organica i binari per una cooperazione tesa a ridurre le differenze tra Sud e Nord del mondo, laddove le precedenti sigle si concentravano rispettivamente sul raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, sulla tutela della sicurezza di tutti e sul rispetto delle differenze socio-culturali. Anche validando divergenze in termini di valori e diritti umani.

“Ogni Paese, indipendentemente dalle dimensioni, dalla forza o dalla ricchezza, dovrebbe partecipare, decidere e trarre beneficio dalla governance globale in egual misura”, ha affermato Xi aggiungendo che il diritto internazionale deve essere applicato “senza doppi standard” e che “le regole interne di alcuni Paesi” non dovrebbero essere imposte ad altri. Allusione non troppo velata alla postura “paternalistica” mantenuta dall’Occidente (in particolare dagli Stati Uniti) nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, di cui la Cina si considera capofila. Per Pechino occorre quindi creare una versione più “democratica” rispetto al sistema internazionale plasmato dalle vecchie potenze dopo la Seconda Guerra Mondiale. Necessità che oggi trova consenso plebiscitario nel Sud globale. Non a caso Nazioni Unite e Organizzazione mondiale del commercio – le due istituzioni più rappresentative dei Paesi emergenti – hanno ottenuto menzione nella strategia di sviluppo decennale annunciata lunedì al termine del summit di Tianjin.

In quest’ottica, la SCO – sempre più ampia e numerosa – è chiamata a svolgere un ruolo da protagonista come catalizzatore di sviluppo e riforma, mantenendo la sua natura di forza di stabilità, ancorata agli assiomi di non alleanza, non scontro e non attacco a terze parti. Ma non è solo questione di riforma dell’ordine mondiale. Xi ha invitato i membri ad “abbattere, non costruire, muri” affinché la globalizzazione possa prendere una direzione “più inclusiva e proficua“.

Per riuscirci, la Cina si è impegnata a stanziare 2 miliardi di yuan (circa 281 milioni di dollari) in sovvenzioni agli Stati membri entro quest’anno, ai quali nel triennio successivo verranno aggiunti 1,3 miliardi di dollari in prestiti attraverso un consorzio interbancario. Offrendo 10mila posizioni, Pechino provvederà a formare le risorse umane dei Paesi partner accomunati dal cosiddetto “spirito di Shanghai”. E ancora: saranno avviate collaborazioni nei settori energetico, delle infrastrutture, dell’economia digitale, nonché dell’innovazione scientifica e tecnologica, con un’attenzione particolare all’intelligenza artificiale. Una banca di sviluppo della SCO dovrebbe essere istituita “il prima possibile”, ha dichiarato Xi, confermando un progetto vagheggiato da molti anni e che oggi pare rispondere anche all’esigenza di istituire un sistema di pagamento slegato dal dollaro.

Si tratta di una metamorfosi considerevole per la SCO, fondata nel 2001 da Cina, Russia e repubbliche centroasiatiche con funzioni prettamente securitarie. Oggi è diventata molto di più. Ha acquisito alcune caratteristiche comuni ai Brics, ponendosi come contraltare ai consessi occidentali. Soprattutto ha assunto funzioni economiche, come Pechino voleva da tempo e Mosca, invece, non voleva temendo di vedere il proprio ruolo ridimensionato.

Riunendo acerrimi nemici come India e Pakistan, resta ancora però tutt’altro che coesa. E ciascun Paese la utilizza per fare valere gli interessi personali: la Cina per promuovere all’estero il proprio modello di governance e sviluppo basato sull’assunto che il benessere materiale favorisce sicurezza e stabilità, la Russia per mostrare a Washington e Bruxelles di non essere isolata malgrado le sanzioni occidentali, pur dovendo accettare le condizioni cinesi. L’India, colpita duramente dalle tariffe di Trump, ha poi messo da parte le storiche frizioni territoriali con Pechino, ma non rinuncia a coltivare rapporti nel quadro delle consorterie asiatiche a guida statunitense. Per ora, la Global Governance Initiative sembra mettere tutti d’accordo.

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