“La comfort zone è la morte dell’uomo. I giovani? Non accettano più di lavorare gratis o a nero, e hanno ragione”: parla lo chef Francesco Panella
- Postato il 14 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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C’è chi costruisce un impero e si siede sul trono per governarlo, e c’è chi, una volta costruito, preferisce cederne la gestione per ripartire da capo, in cerca di nuove sfide. Appartiene a questa seconda, rara categoria di imprenditori Francesco Panella, chef, ristoratore e volto televisivo amatissimo del programma “Little Big Italy”. In un’intervista al quotidiano La Stampa, Panella, figlio di una delle famiglie di ristoratori più note d’Italia, racconta la sua filosofia, un vero e proprio manifesto contro la stagnazione. “La comfort zone è la morte dell’imprenditore, ma pure dell’uomo. Ricominciare da capo ti ringiovanisce, fa bene a te e pure ai dipendenti”, dichiara.
Questo approccio non è un vezzo, ma una precisa strategia di impresa: “Per me è quasi un appuntamento fisso con il destino. A un certo punto sento che devo cambiare e do in gestione a persone più capaci di me. Io mi limito a controllare, così ho modo di sperimentare altro”. Un metodo che in passato lo ha portato a lasciare le certezze dell’Antica Pesa di Roma per aprire con successo un locale a New York, e che oggi lo porta a una nuova riflessione sul mercato.
Le tappe future, al momento, non sembrano includere l’America. “Il mercato tira dove ci sono meno problemi: quindi l’Italia”, afferma con realismo, analizzando anche la complessa questione dei dazi americani. Secondo Panella, il rischio maggiore è che si diffonda una percezione errata: “Sul mercato il percepito è che sia meglio non mangiare italiano perché è troppo caro. In realtà non è così e non deve diventarlo”. La sua soluzione è netta e va in difesa del consumatore finale: i costi aggiuntivi dei dazi “vanno ridistribuiti all’interno della filiera, per non impattare sul prezzo finale. Non è giusto che sia il cliente a pagare il conto dei dazi”. L’obiettivo, spiega, è proteggere la domanda ed evitare che il “Made in Italy” diventi un “lusso punitivo”.
Ma la dichiarazione più forte, Panella la riserva alla questione generazionale e al mondo del lavoro: “Ci stiamo dimenticando dei giovani, che sono invece il vero valore aggiunto di un’azienda”, afferma, andando controcorrente rispetto a chi li descrive come svogliati. “Sono molto più attenti e intelligenti di quel che pensiamo: sono pronti a prendere in mano il loro futuro, ma semplicemente non accettano più di lavorare gratis o a nero. E hanno ragione”. Il suo non è un rimprovero ai ragazzi, ma al sistema che li vorrebbe ancora “in prova a tempo indeterminato”.
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