La “corsa per Trieste” vinta da Tito a Opicina

  • Postato il 3 maggio 2025
  • Di Agi.it
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La “corsa per Trieste” vinta da Tito a Opicina

AGI - Winston Churchill ci provò fino all'ultimo respiro della sua 8ª Armata schierata sul fronte italiano a sbarrare il passo alla penetrazione del IX Korpus jugoslavo e sottrarre Trieste alle scoperte mire del Maresciallo Tito: l'obiettivo strategico del porto era per lui talmente preminente da mettere in secondo piano persino la liberazione della slovena Lubiana. Le unità della 4ª Armata jugoslava vennero lanciate all'attacco il 29 aprile contro i tedeschi e la battaglia divampò a Opicina. Quello scontro viene considerato come l'ultimo della seconda guerra mondiale su territorio italiano, ma il principio vale solo geograficamente, perché in realtà quell'area faceva parte dell'Operationszone Adriatisches Küstenland (Ozak, che comprendeva Trieste, Udine, Gorizia, Fiume, Pola e Lubiana), di fatto annessa dal Terzo Reich e sottratta alla Repubblica sociale di Mussolini assieme all'area prealpina Alpenvorland (Ozav).

I tedeschi combattono per arrendersi a truppe regolari

Reparti della Wehrmacht si erano trincerati poco lontano dal centro abitato di Opicina e per cinque giorni ingaggiarono furiosi combattimenti contro i partigiani comunisti della 20ª e della 43ª divisione. I piani strategici britannici avevano già previsto la mossa titina e così il 28 aprile la punta avanzata costituita dalla 2ª divisione neozelandese, di stanza a Padova, ricevette l'ordine di puntare verso Trieste per sottrarla al controllo jugoslavo e occupare il porto. Era scattata la cosiddetta “corsa per Trieste”. E in effetti i soldati in uniforme kaki del generale Bernard Freyberg già il I maggio erano a Monfalcone, bruciati però sul tempo da due divisioni jugoslave che entravano nella periferia del capoluogo giuliano il 30 aprile e prendevano possesso di Basovizza, di fatto isolando la città dall'entroterra.

A Opicina i tedeschi però resistevano proprio in attesa dei neozelandesi, ai quali avevano deciso di arrendersi per farla finita con la guerra ed essere trattati di conseguenza alle convenzioni internazionali. I combattimenti infuriavano nel contesto urbano, con attacchi e contrattacchi, ma alla sera la situazione sembrava ormai decisa, poiché Opicina era pressoché circondata. Si continuò a combattere il I e il 2 maggio, finché all'alba del 3 si materializzarono le sagome dei blindati neozelandesi e della fanteria, che si erano messi in marcia da Monfalcone.

Il primo contatto tra tedeschi e neozelandesi fu per raggiungere l'intesa su una tregua d'armi, estesa ai partigiani slavi, con l'assicurazione della resa della Wehrmacht alle truppe regolari. Ma questo non poteva e non voleva essere concesso dai titini, determinati a non essere privati della vittoria sul campo e soprattutto della concreta possibilità di far pesare in futuro il fatto compiuto a Trieste.

Il generale Freyberg decide di consegnare i prigionieri agli jugoslavi

Risalendo la catena gerarchica la decisione militare e politica spettò al generale Freyberg, che da un lato non voleva un ormai inutile spargimento di sangue (i neozelandesi avevano avuto un solo morto e un solo ferito, mentre sugli altri schieramenti le perdite superavano il migliaio) e dall'altro non poteva permettersi incidenti con gli jugoslavi che potevano degenerare in scontro aperto. I soldati tedeschi prigionieri dei neozelandesi, nonostante le rassicurazioni, furono pertanto consegnati ai titini, e le truppe alleate si ritirarono. I militari della Wehrmacht vennero radunati e trasferiti nel retroterra di Opicina.

Nel dopoguerra si scoprirà che una cinquantina di essi erano stati fucilati oppure gettati vivi nella foiba di Monrupino. La politica, più della storia, aveva deciso il destino di Trieste. I 42 giorni di occupazione comunista assicurata dalla 4ª armata dell'esercito popolare di liberazione del generale Petar Drapšin, comandante della città dichiarata come annessa alla Jugoslavia, furono devastanti per le vite e per le coscienze. La polizia politica di Tito, la famigerata Ozna che agiva con gli stessi metodi dell'Nkvd sovietica e della Gestapo nazista, spadroneggiò in un interregno di terrore, di violenze indiscriminate e di ogni possibile arbitrio.

Gli italiani venivano prelevati con le retate diurne e notturne e poi letteralmente sparivano, perché gettati negli abissi carsici, vittime delle vendette e del disegno di pulizia etnica e ideologica. Un'occupazione spietata e criminale alla quale gli Alleati porranno rimedio il 12 giugno, dopo aver convinto Tito più con le cattive che con le buone a riprendere la via dell'est. A casa non torneranno gli italiani infoibati, né Trieste tornerà in Italia prima del 1954. Gorizia, divisa in due nel 1947 da un muro che sarà abbattuto solo il 12 febbraio 2004 con l'ingresso della Slovenia nell'UE, quest'anno con Nova Gorica è capitale europea della cultura con le due anime latina e slava.

L'inganno inglese ai cosacchi in Carnia restituiti a Stalin

Quanto alla “leggerezza” dei neozelandesi di consegnare i prigionieri tedeschi alla vendetta dei partigiani comunisti, l'episodio è niente rispetto a quello che i britannici fecero ai cosacchi che combattevano al fianco della Wehrmacht ai quali Hitler aveva promesso una patria lontana dalla terra natale, in Carnia. Si arresero agli inglesi con l'unica condizione di non essere riconsegnati a Stalin, conoscendo il destino che avrebbero subìto uomini e donne in Unione Sovietica dov'erano considerati traditori. Quando si accorsero che i treni nei quali erano stati fatti salire puntavano verso est, invece che verso ovest, nei vagoni diversi cosacchi si suicidarono.

Non si conosce il numero esatto dei fucilati e dei deportati nei gulag siberiani. La cattiva coscienza di Londra nell'aver mancato alla parola è appena accennata nel film di 007 “Goldeneye”, ma solo per spiegare il tradimento di un agente segreto britannico al collega James Bond, memore della fine dei propri familiari nell'Urss staliniana e deciso a vendicarli.

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Autore
Agi.it

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