La Costituzione Italiana nasce dai Doveri, non solo dai Diritti
- Postato il 30 luglio 2025
- Di Panorama
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È appena uscito in libreria, per i tipi di Guerini e Associati, La rivoluzione del buon senso. Per un paese normale, di Giuseppe Valditara, in cui viene espressa la visione della scuola e della società del ministro dell’Istruzione. Ne pubblichiamo un estratto.
Dalla scuola deve partire un messaggio forte: la responsabilità individuale è un valore fondamentale.
Nel dibattito in sede di Costituente ritorna più volte il concetto di responsabilità individuale ovvero di responsabilità personale. Giuseppe Saragat, in un intervento in Assemblea del 13 febbraio 1947, la collega inscindibilmente alla libertà umana. L’articolo 27 riafferma un principio di civiltà stabilendo, al comma 1, che «la responsabilità penale è personale». Quest’affermazione contiene in sé anche l’idea che la colpa della violazione di una norma sanzionatoria non è della società, collettiva, di altri, ma va sempre ricondotta a colui che ha agito. Il comma 3 fissa poi il principio che la pena deve tendere alla rieducazione: non vi può essere rieducazione, e quindi riscatto, se non vi è un richiamo alla responsabilità individuale.
D’altro canto «responsabilità» deriva dal latino respondere, che presuppone un legame molto forte fra l’azione posta in essere da un individuo e le sue conseguenze. Se il cristianesimo, che tanto ha inciso sui nostri valori, è poi religione di libertà, ciò comporta necessariamente la responsabilità personale delle scelte: proprio perché l’uomo è libero di scegliere, è sempre responsabile di ciò che fa. Non a caso il peccato, come pure il crimine, possono sempre essere riscattati, ma dopo il pentimento, e la redenzione, nel primo caso; dopo la soggezione a una pena, espressamente definita rieducativa dalla Costituzione, nel secondo. Libertà e responsabilità sono dunque, nelle radici culturali della nostra civiltà, strettamente connesse. […]
Ecco perché è fondamentale ripristinare l’importanza della responsabilità individuale proprio a iniziare dai più giovani, dalle scuole, e senza dar retta a chi confonde una politica volta a responsabilizzare con una volta meramente a punire, come una certa stampa mira ad accreditare.
Chi sbaglia paga, chi rompe paga. Ho avuto modo di ricordarlo e ripeterlo a partire dalla devastazione delle scuole che spesso accompagna o segue le occupazioni, venendo attaccato duramente da una certa sinistra per cui la punizione farebbe rima anche concettuale con repressione. La necessità della sanzione per affermare il senso di responsabilità individuale è resa evidente dalla realtà e dall’osservazione dei fenomeni storici. Una sanzione che non è concepita per mero spirito punitivo, per «cattiveria» o, peggio, per «sadismo», ma proprio per far maturare, per far crescere chi ha violato regole di condotta. Insomma, per garantire una società ordinata che è l’unica che consente la crescita personale e collettiva, il benessere e la prosperità di tutti.
AUTORITÀ
Nella scuola bisogna ripristinare il concetto di autorità, per ripristinarlo nella società. Sono rimasto colpito dalla storia raccontatami da una docente pochi mesi dopo essermi insediato come ministro. Mentre spiegava, una ragazza accende il cellulare e si mette ad ascoltare musica. L’insegnante le chiede ripetutamente di spegnerlo per non disturbare anche i suoi compagni. La giovane dopo essersi rifiutata, alla fine, con arroganza, risponde: «Io non riconosco la tua autorità». Una storia simile si è ripetuta in una scuola lombarda, anche lì erano in gioco l’uso del cellulare in classe e la contestazione del potere del docente di impedirlo: «Ma tu chi sei per dirmi quello che devo fare?», avrebbe risposto lo studente. L’esito in questo caso è stato drammatico: di fronte alla replica del professore, lo studente gli ha tirato un pugno in faccia, spaccandogli il setto nasale. Se la crisi dell’autorità, come si è visto, discende innanzitutto dalla delegittimazione culturale e dalla contestazione politica di questo concetto, negli ultimi trent’anni detta crisi si è ulteriormente accentuata a causa della rottura dell’alleanza tra famiglia e scuola. Come ha lucidamente osservato Luca Ricolfi in un bell’articolo pubblicato sul Messaggero del 5 aprile 2025, «se i genitori non sono più in grado di dialogare con i figli non è per un più o meno repentino deficit di empatia (come tendono a suggerire le letture psicologiche) ma per il fatto molto concreto che, a un certo punto, hanno assunto il ruolo di sindacalisti dei figli, così perdendo il loro migliore alleato, l’insegnante. Quel che oggi si stenta a riconoscere è il fatto che il dialogo con i figli passava innanzitutto attraverso la delega di autorità che le famiglie conferivano alla scuola. È in quanto consideravano fondamentali i risultati scolastici, e degni di rispetto gli insegnanti, che i genitori erano per così dire costretti a dialogare con i figli e a esercitare la funzione genitoriale». Ora, sempre più spesso, sono gli stessi genitori a disconoscere l’autorità dei docenti, minando così in modo grave il loro ruolo. Più in generale i giovani non sono più abituati ad avere, dalla famiglia e dalla società, regole chiare e fatte rispettare. Genitori iperprotettivi e decenni di pedagogia della comprensione e della tolleranza sempre e comunque hanno lasciato la loro traccia. L’autorità non riconosciuta porta alla fine all’anarchia e alla violenza, al prevalere della forza e dell’arbitrio, a una società dove le regole non vengono rispettate, il che equivale a una società senza regole. A farne le spese sono i più deboli, i più miti, le persone più ragionevoli […]
L’EREDITÀ DI MAZZINI
Come si è osservato, la Costituzione accompagna sempre i diritti con i doveri. È significativo già l’articolo 2 in cui si legge che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo […] e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», e ancora più simbolica dell’importanza che questa necessaria endiadi ha per il Costituente è l’intitolazione dell’intera Parte prima, dall’articolo 13 all’articolo 54: «Diritti e doveri dei cittadini». È evidente l’ispirazione mazziniana, che con Doveri dell’uomo ci ha lasciato un autentico «manuale di educazione civile», contro la facile rivendicazione dei soli diritti individuali e contro ogni «sovversivismo» che porta al disordine sociale. Esemplare è l’intervento del relatore Umberto Merlin, democristiano, nella seduta di Assemblea costituente del 21 maggio 1947: «Ma, badate, non è che questa Costituzione debba essere un trattato di pedagogia, ma deve indubbiamente insegnare anche dei doveri, deve essere anche il codice dei diritti e dei doveri dei cittadini. Meglio se sarà, come voleva Mazzini, prima il codice dei doveri e poi il codice dei diritti». Il riferimento al libro dei Doveri dell’uomo del patriota e pensatore ligure è frequente nel dibattito in sede di Assemblea. Vi è un passaggio simbolico della concezione mazziniana: «Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l’armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell’ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il dovere».
È, con altre parole e in altro contesto, la ripresa della tradizione autenticamente romana, così efficacemente espressa da Cicerone nel De officiis. Emblematico, d’altro canto, è il passaggio con cui Meuccio Ruini presentò, sempre in Assemblea costituente, quello che sarebbe stato il futuro articolo 2 della Costituzione, precisando il «segreto» di questa norma: i diritti e i doveri «lati inscindibili, come due aspetti dei quali uno non si può sceverare dall’altro». E un uomo politico impregnato dello spirito della Costituente, Aldo Moro, in un celebre discorso fatto pochi giorni prima di essere sequestrato dalla Brigate Rosse ebbe ad affermare: «Questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere».