La crisi dei call center: 2mila posti a rischio. “Il ruolo dell’IA? Un alibi. Le aziende ormai non rispondono ai clienti che spendono poco”
- Postato il 3 giugno 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Puglia e la Calabria, il settore dei call center è in profonda crisi. Contando le vertenze aperte da Nord a Sud, circa 2.030 persone in tutta Italia rischiano il posto, con i primi licenziamenti che scatteranno dopo il 4 giugno alla Network contacts e gli ultimi annunciati da Almaviva. “Il denominatore comune delle crisi per ora non è l’intelligenza artificiale – spiega a ilfattoquotidiano.it Daniele Carchidi, del Sindacato dei lavoratori della comunicazione (Slc) della Cgil nazionale -, anzi, l’AI è una scusa dietro cui si trincerano le aziende. I tagli sono l’effetto di una scelta industriale delle telecomunicazioni, che non vogliono più fornire assistenza ai clienti che pagano poco”.
Il meccanismo che ha mandato in tilt il comparto, per esempio nella telefonia, è semplice: la maggior parte degli utenti fa una ricarica ogni tanto ma chiama l’assistenza per qualunque problema legato al suo numero di cellulare, dall’assenza di linea ai malfunzionamenti con le app, usufruendo di un servizio che in effetti non paga, ma di cui ha bisogno e a cui ha diritto. Dal punto di vista dell’industria però i numeri non tornano. Lo ha spiegato Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, in un post Linkedin di due anni fa: “Il 25 ottobre – scriveva Labriola nel 2022 – ci sono state tre ore di down di Whatsapp a livello globale. A chi si sono rivolti tutti coloro che hanno reclamato il disservizio? A noi di Tim. In sole tre ore, il call center di Tim ha ricevuto il 310% di chiamate in più rispetto alla media: 65mila clienti si sono rivolti a noi perché pensavano potessimo aiutarli a risolvere il problema e dare loro informazioni puntuali. Purtroppo non possiamo garantire la continuità dei servizi digitali degli operatori che sfruttano le nostre infrastrutture (…) eppure ci è costato 40mila euro“. WhatsApp non dipende da Tim, che non può risolverne i malfunzionamenti. Tuttavia Tim, come tutte le aziende di telefonia, ha fissato i prezzi delle proprie prestazioni sul libero mercato e ora li considera insufficienti. “Il problema – spiega Carchidi – è che le tariffe imposte negli ultimi anni per i singoli utilizzatori non compensano le spese per le ore di lavoro di chi risponde nei call center, e aziende come Tim, Wind, Poste italiane riducono a monte le chiamate, generando centinaia di esuberi in giro per l’Italia”.
I numeri della crisi – Network contacts attuerà entro l’estate tagli su 304 posti tra Molfetta, Crotone, Bologna e Torino, per servizi commissionati da WindTre, Poste italiane, Hera. Almaviva ha avviato a metà maggio una procedura per 492 licenziamenti che saranno effettivi dall’1 agosto; Konecta prevede 600 posizioni in meno in sei città. A questi si aggiungono Callmat con 360 dipendenti in solidarietà a Matera per i tagli imposti da Tim, Call.It con 18 lavoratori in cassa integrazione a zero ore, Mics con 150 impiegati in difficoltà a Catania, oltre ai 40 di Koinè e ai 38 di Nethex rimasti senza commesse. Fino a poche settimane fa erano vicini al licenziamento anche circa mille dipendenti di Abramo, ora per la maggior parte ricollocati su un progetto triennale per la dematerializzazione delle cartelle sanitarie della Regione Calabria gestito da Konecta. Una soluzione provvisoria, perché il progetto – in teoria triennale – è pensato per cessare quando finisce l’attività di digitalizzazione, che in origine era rivolta a 560 impiegati. A questi si sono aggiunti però 150 lavoratori che dovevano essere presi in carico da Fibercop, compagnia che si è tirata indietro spingendo i dipendenti a essere assorbiti da Konecta. I sindacati temono che con 710 persone assunte allo scopo, anziché 560, questo progetto finirà prima creando disagi occupazionali, ma dei mille dipendenti in bilico in Abramo, ora a rischio ce ne sono “solo” 27, tutti a Palermo.
Le ragioni del collasso – A fare esplodere il settore sono stati, secondo i sindacati, gli appalti al massimo ribasso e la ricerca del profitto sulla contrazione del costo dell’assistenza in outsourcing. Seguiti dalla mancanza di un piano da parte del governo. “La strategia è chiara – spiega Carchidi – i committenti hanno deciso di non rispondere ai clienti che spendono poco e in alcuni casi addirittura deviano le chiamate, puntando a soddisfare solo chi, ad esempio, ha abbonamenti aziendali e paga tariffe migliori”. A non effettuare grossi tagli, per ora, sono il comparto bancario e quello energetico, mentre il settore più colpito è la telefonia che, in particolare dopo l’ingresso sul mercato di Iliad, ha rivisto tutti i piani tariffari al ribasso con conseguenti riduzioni alle prestazioni esternalizzate. Le aziende stanno così risparmiando sui singoli utenti privilegiando chi sottoscrive pacchetti per le sim di lavoro o piani su licenza, mettendo avanti chi garantisce introiti migliori e lasciando indietro le persone comuni. “Una politica immorale – dice Carchidi – specie da parte delle committenze a partecipazione statale, se si considerano i loro margini di guadagno“.
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