La fine di Google per come l'abbiamo conosciuta

  • Postato il 24 maggio 2025
  • Di Il Foglio
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La fine di Google per come l'abbiamo conosciuta

Questa settimana si è tenuta l’annuale conferenza che Google dedica agli sviluppatori, Google I/O, un evento all’aperto in cui l’azienda presenta le sue novità. L’edizione di quest’anno è stata particolarmente carica di novità, annunci e promesse, dimostrando che Google sembra aver ritrovato se stessa dopo gli anni di confusione seguiti al clamoroso successo di ChatGPT.

 

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Già, ChatGPT. Il suo spirito, e in generale quello delle intelligenze artificiali generative, ha aleggiato in praticamente ogni momento della conferenza, ormai diventata la Sagra delle AI di Google. Si è andati per gradi: prima l’azienda ha preferito ricordare i notevoli contributi che le intelligenze artificiali (in generale, non solo i modelli linguistici) stanno dando alla ricerca scientifica. Si è parlato quindi di Google Deepmind, la divisione londinese del gigante capitana da Demis Hassabis, già premio Nobel per la chimica proprio grazie a AlphaFold, l’AI googliana per lo studio del ripiegamento delle proteine.

 

Non tutte le aziende della Silicon Valley possono permettersi di iniziare una conferenza del genere in questo modo, mettendo le mani avanti e ricordando le applicazioni medico-scientifiche delle proprie AI. Si è anche parlato d’altro, ovviamente; anzi, soprattutto. Il piatto forte è stato AI Mode, una nuova funzionalità con cui Google sembra voler reimmaginare la ricerca nel web, che poi sarebbe il suo piatto forte dal 1996.

 

“Un ripensamento totale della ricerca”, secondo il CEO dell’azienda Sundar Pichai, che ha tenuto a ricordare come da quando Google offre le AI Overview, quelle risposte generate automaticamente in cima ai risultati, il numero di ricerche è aumentato. Ergo, il pubblico ne vuole di più – e ne avrà.

 

Un altro annuncio molto discusso, Deep Search, permette invece di generare report completi sulle richieste degli utenti. Nel corso dell’evento lo hanno usato per organizzare una vacanza in campeggio sulla base delle esigenze di una famiglia, ottenendo gli itinerari e le strutture ritenuti migliori. La ricerca, a ben vedere, è dappertutto, in questa nuova Google. Solo che a farla è Google stessa, all’utente non deve fare altro che chiedere e ricevere le informazioni.

 

Ne è un esempio Search Live, un progetto di AI multimodale, e quindi in grado di elaborare e integrare informazioni provenienti da più modalità o tipi di dati, che possono includere testo, immagini, audio, video e altre forme di input sensoriale. All’utente basta inquadrare un oggetto e chiedere, anche a voce, che cos’è o come ripararlo, e Search Live capisce. O ci prova, almeno. Quest’ultima novità sembra direttamente ispirato da Project Astro, un progetto presentato da Google un anno fa, in cui un’AI può capire e analizzare quello che vede.

 

La stessa responsabile della ricerca di Google, Liz Reid, ha ammesso al sito The Verge il cambiamento di paradigma in corso: “Penso che la pagina dei risultati di Google fosse un costrutto”, ha spiegato che, fino a poco tempo fa, l’unico modo che un motore di ricerca aveva per rispondere all’utente era attraverso una sfilza di link. Non più ormai. “Il modo in cui abbiamo googlato per due decenni è stato in parte una risposta alla struttura del web stesso. I migliori modelli di AI oggi sono in grado di aggirare quella struttura, e trovare e riassumere informazioni da una serie di fonti”.

 

Al di là degli annunci pirotecnici, rimangono alcuni dubbi, a partire dal modello di business su cui questa nuova Google si baserà. Per decenni, infatti, Google ha organizzato le informazioni nel web e tappezzato i siti di banner d’ogni tipo con le sue inserzioni pubblicitarie (creando di fatto un monopolio, secondo l’Antitrust statunitense). Ma ora che l’utente non deve per forza visitare i siti per ottenere una certa informazione, chi guarderà quei banner? Chi pagherà? Non è ancora chiaro: non lo sa né Google né OpenAI.

 

C’è infine una certa rindondanza tra AI Mode, AI Overview e Google Gemini, prodotti molto simili ma sostanzialmente diversi che forse convergeranno in un unico grande chatbot in grado di rispondere alle domande – ma anche navigare online al posto degli utenti, il grande sogno di tutto il settore. Eccolo il grande piano di Google: cambiare tutto quanto, compresa la sua funzione principale, nella speranza che nessuno si accorga di niente.

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Autore
Il Foglio

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