La Flotilla sfida Israele: no allo sbarco degli aiuti ad Ashkelon. Ecco cosa può succedere ora
- Postato il 24 settembre 2025
- Di Panorama
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La Global Sumud Flotilla è finita sotto attacco mentre si trovava al largo della Grecia. Gli stessi organizzatori della missione hanno diffuso sui social media immagini e video che mostrerebbero il sorvolo di almeno quindici droni a bassa quota sulle imbarcazioni, in particolare sull’Alma, a intervalli di dieci minuti. Poco dopo si sarebbero udite esplosioni. L’attivista tedesca Yasemin Acar ha denunciato che cinque navi sarebbero state colpite. «Esplosioni, droni non identificati e disturbo delle comunicazioni. Stiamo assistendo in prima persona a queste operazioni psicologiche, ma non ci faremo intimidire», hanno scritto i partecipanti in un post su X, accusando Israele e i suoi alleati di «prolungare la fame e il genocidio a Gaza». Gli attivisti hanno ribadito che nessuna intimidazione li fermerà e che continueranno la missione. La flottiglia, composta da cinquantuno imbarcazioni, si trova attualmente al largo di Creta. Israele, da parte sua, ha già chiarito di non permettere che le barche raggiungano Gaza, come avvenuto nei precedenti tentativi di giugno e luglio, e ha invitato gli organizzatori a scaricare i carichi nel porto di Ashkelon, impegnandosi a trasferirli successivamente nella Striscia.
«Ci dispiace apprendere la risposta del rappresentante della flottiglia di Hamas, secondo cui la flottiglia insiste nel perseguire un’azione violenta e rifiuta la nostra proposta di trasferire, in modo coordinato e pacifico, qualsiasi aiuto che potrebbe trovarsi a bordo della flottiglia alla Striscia di Gaza tramite il vicino porto turistico di Ashkelon. Questa risposta mette ancora una volta in luce la mancanza di sincerità dei membri della flottiglia e la loro missione di servire Hamas, piuttosto che la popolazione di Gaza. Se la flottiglia continua a respingere la nostra proposta pacifica Israele adotterà le misure necessarie per impedirne l’ingresso nella zona di combattimento e per porre fine a qualsiasi violazione di un legittimo blocco navale, compiendo al contempo ogni sforzo possibile per garantire la sicurezza dei suoi passeggeri. Ripetiamo: se le vostre intenzioni sono sincere, trasferite qualsiasi aiuto di questo tipo alla Marina di Ashkelon, in modo che possa essere inoltrato tempestivamente alla Striscia di Gaza in modo pacifico e non violento». Con queste parole, Gerusalemme ha ribadito la sua posizione ufficiale: impedire a un convoglio ostile di violare il blocco navale durante una guerra non è un atto arbitrario, ma un diritto legittimo riconosciuto dal diritto internazionale.
Il contesto giuridico è cruciale. Secondo le convenzioni sui conflitti armati in mare, un blocco navale dichiarato e notificato è considerato legittimo se proporzionato e non finalizzato esclusivamente a far morire di fame i civili. Israele lo ha imposto formalmente nel 2007, dopo la presa del potere da parte di Hamas, sostenendo che serva a impedire il traffico di armi. Nel 2011 la Commissione Palmer delle Nazioni Unite, incaricata di indagare sull’assalto alla Mavi Marmara, riconobbe la legittimità del blocco navale israeliano, pur criticando la sproporzione dell’uso della forza in quell’episodio. Questo precedente ha rafforzato l’argomento giuridico di Gerusalemme, che oggi richiama proprio quella cornice per giustificare eventuali interventi contro la Sumud Flotilla.
La vicenda si intreccia con le recenti mobilitazioni in Grecia. Lo scorso 10 agosto il Paese è stato attraversato da una vasta “Giornata della rabbia”, organizzata da March to Gaza Greece e dal BDS, che ha portato in piazza migliaia di persone in un centinaio di località, dalle grandi città come Atene e Salonicco fino alle isole di Mykonos e Santorini. In apparenza una protesta di solidarietà, ma che secondo un rapporto di intelligence svela legami profondi con Hamas, la Jihad Islamica e i Fratelli Musulmani. Figura centrale è il palestinese Saif Abu Keshk, leader della marcia mondiale e portavoce della Flottiglia, arrestato al Cairo insieme al greco Paris Laftsis, coordinatore delle attività in Grecia e volto noto dei circoli marxisti. Al fianco di Abu Keshk agisce lo sceicco algerino Yahia Sarri, religioso vicino ai Fratelli Musulmani, che ha incontrato ripetutamente esponenti di Hamas e promosso convogli diretti a Rafah.
Attorno a loro gravitano altri nomi ricorrenti della galassia filo-Hamas: Khaled Safi, blogger di Gaza e influencer seguito da centinaia di migliaia di persone, che ha trasformato la propaganda digitale in un’arma politica; Marouan Ben Guettaia e Wael Nawar, entrambi fotografati accanto a dirigenti di Hamas e Jihad Islamica; e Zaher Birawi, veterano delle Freedom Flotilla con base a Londra, accusato da Israele di essere un funzionario di Hamas in Europa, accusa da lui respinta ma che non ha intaccato il suo peso nella regia delle spedizioni.
Anche la politica greca è coinvolta. La coalizione di estrema sinistra ΑΝΤΑΡΣΥΑ ha appoggiato apertamente la marcia di agosto e inviato propri attivisti in Egitto, sancendo un’inedita convergenza tra reti marxiste europee e organizzazioni islamiste, con la causa palestinese a fungere da collante ideologico. L’impressione che emerge è quella di un mosaico transnazionale che va dalle piazze greche ai circoli religiosi algerini, dalle ONG malesi agli attivisti europei. Un intreccio che, dietro la retorica dei diritti umani e della solidarietà, mira a legittimare la resistenza armata palestinese e a garantire a Hamas nuovi canali di sostegno. È in questo contesto che Israele rivendica la sua linea: fermare con la forza un convoglio che cerca di rompere un blocco navale dichiarato in tempo di guerra non è solo un’opzione politica, ma un diritto riconosciuto. Dietro le bandiere della solidarietà, sostiene Gerusalemme, si nasconde l’ennesimo braccio operativo di Hamas travestito da missione umanitaria, così come avvenne quindici anni fa con la Mavi Marmara.