La marcia per la pace quest’anno si allunga fino a Barbiana: centinaia in cammino dal paese di Don Milani ad Assisi

  • Postato il 10 ottobre 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ottobre 1965, sessanta anni fa, Barbiana. Don Lorenzo Milani, malatissimo (morirà di tumore al sangue nel giugno del 1967) è intento a scrivere la sua lettera ai giudici del processo alla sua lettera ai cappellani militari contro tutte le guerre. “Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”, scrive don Milani, alla sbarra per aver scritto contro la guerra e a difesa dell’obiezione di coscienza. Erano anni tesi, inquieti. Il mondo era sul crinale di una guerra atomica. Giorgio La Pira nel 1961 da sindaco di Firenze proietta il film proibito Non uccidere e il filosofo pacifista Aldo Capitini nello stesso anno dà vita alla prima marcia della pace da Perugia a Assisi. La Pira e Capitini, due figure di punta del pacifismo italiano, erano amici di don Milani. Così non deve sorprendere che 64 anni dopo la prima marcia se ne aggiunga un’altra, di marce per la pace, da Barbiana a Assisi, per poi ricongiungersi a quella storica.

Assisi chiama Barbiana. Francesco, il santo per antonomasia della pace, chiama Lorenzo, il prete morto in odore di eresia, condannato dalla Chiesa e dallo Stato per il suo no alla guerra e per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Due colossi della fede e del pacifismo. Fraintesi, strumentalizzati. Nel suo intervento ad Assisi, la premier Giorgia Meloni ha definito San Francesco “un riformatore, non un rivoluzionario“. Una frase che suona come annessione ideologica: non a caso dal prossimo anno il 4 ottobre, in cui si celebra san Francesco, diventerà festa nazionale. Contro questa strumentalizzazione politica e spirituale si è schierato uno dei vaticanisti più noti e apprezzati nel mondo cattolico, Paolo Rodari. Che sul Manifesto ha scritto: “San Francesco fu tutto fuorché un semplice correttore del sistema. Rinunciò al nome, alla famiglia, ai beni, alle strutture ecclesiastiche del suo tempo. E non solo. Nel pieno delle Crociate, salpò con una flottiglia verso il Medio Oriente per incontrare il Sultano d’Egitto, Malik al-Kamil. Un gesto inaudito per l’epoca, che sfidava tanto l’odio religioso quanto le logiche di guerra. Non un atto di prudenza, ma una scelta profetica, radicale e profondamente rivoluzionaria. Fu talmente rivoluzionario che ancora oggi inquieta”. Don Milani si è mosso sullo stesso solco profetico. Lui e Francesco sono stati due radicali e rivoluzionari della fede.

E’ in questo clima che è nata e si sta svolgendo (ultima tappa sabato, da Corciano a Perugia, 13 chilometri) la marcia partita da Barbiana, nel comune di Vicchio, in Mugello, organizzata da enti, associazioni, comitati, Cgil. La marcia attraversa la Toscana e l’Umbria, 13 tappe, approdo in 18 comuni, in totale 228 chilometri. Dopo Barbiana tappa a Rufina, vicino a Pontassieve. Da qui la marcia è approdata in Casentino, lambendo, guarda caso, la Verna, dove nel 1224 Francesco ricevette le stimmate. Dal Casentino ad Arezzo fino poi al lago Trasimeno. Obiettivo della marcia, spiegano gli organizzatori, è quello “di invitare le comunità, i cittadini e in particolare i giovani – anche attraverso il coinvolgimento degli istituti scolastici – a riflettere sulle tematiche oggetto della Marcia e contribuirvi con singole riflessioni ed azioni, facendosene a loro volta promotori autonomi e moltiplicatori dell’esperienza”. Tra le azioni suggerite dagli organizzatori della marcia milaniana spicca quella che riguarda i Comuni, chiamati a “cambiare tesoreria comunale trasferendola verso banche etiche e non armate”.

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Il Fatto Quotidiano

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