La missione: riportare il dialogo fra centro e periferie del mondo
- Postato il 9 maggio 2025
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Il Quotidiano del Sud
La missione: riportare il dialogo fra centro e periferie del mondo
Tra le priorità di Papa Leone XIV le questioni che richiedono un rapporto tra il principio decisivo e la solidarietà, l’accoglienza e l’uguaglianza
Papa Francesco aveva la mentalità dell’emigrante, lui proveniente dal Piemonte come moltissimi argentini. Mi dicono che un’espressione piemontese – anduma a Muncalé, ‘andiamo a Moncalieri’, per dire ‘andiamo a vedere qualcosa di bello’ – è entrata tra i modi di dire degli argentini, per comunicare la nostalgia della bellezza, visto che là, sul profilo della collina tra Torino e l’astigiano, si vede la luna strepitosa di una canzone dialettale, la lün-a ‘d Muncalé. Ancor più bella agli occhi dell’emigrante, lontano, alla fine del mondo, in un posto periferico rispetto al centro dei propri ricordi, dei propri affetti, dei propri pensieri.
Sappiamo quanto quest’esperienza sia stata valorizzata dalla pastorale di Francesco: visto dalla periferia, diceva, il centro appare diverso. Il fatto di trovarsi in periferia modifica il nostro sguardo. Gli conferisce una dimensione obliqua, non più diretta: un poco alla maniera dello sguardo che gettiamo al di sopra degli occhiali. Siamo finiti in un posto così lontano, ed è passato così tanto tempo, che il nostro sguardo sul nostro centro non è più diretto ma obliquo. Dobbiamo anzi ricorrere a un mezzo per mettere a fuoco la provenienza, magari a una vecchia canzone dialettale, che agisca come un paio di lenti che stanno in mezzo tra l’occhio e il mondo, come in un cannocchiale, per riportare vicino a noi quel che si è allontanato in un abisso di spazio e di tempo, e rischia di scomparire.
Che l’Europa abbia rischiato di scomparire, nel pontificato di Jorge Bergoglio, è stato più volte notato. In questa dialettica dell’emigrante, alla ricerca di un riscatto dall’aver perduto il proprio centro, a un certo punto è parso che solo lo sguardo dalla periferia potesse dire la verità del centro. Non si trattava più, allora, di nostalgia, ma piuttosto di una critica delle idealizzazioni con le quali avevamo pensato al nostro centro. Visto dalla periferia non più nostalgica, il centro si rivelava nei suoi limiti e nei suoi inganni, nella sua volontà di comandare sui nostri ricordi. Un modo liberante di abitare la periferia diventava allora il cercare l’emancipazione dal centro, dalle sue categorie e dai suoi modi di mettere in ordine la realtà. Visto dalla periferia, il centro è apparso nei suoi limiti piuttosto che nella sua potenzialità di ramificazione e di fruttificazione.
L’agenda del nuovo Papa presenta una serie di variazioni su questo tema del rapporto tra il centro e la periferia. Si tratta di un certo numero di problemi che gravitano, tutti, intorno all’importanza della marginalità e dello stare al di fuori del recinto che conta – i poveri, gli esclusi, tutti coloro che non dispongono di una pienezza di forze, i lontani… Ma si tratta anche di problemi che evocano la questione della complessità del mondo, perché il centro è il punto nel quale tutte le linee convergono, si intrecciano e si complicano. Il centro è il punto verso il quale occorre saper guardare per individuare le cause, per derivare un potere di previsione, per attribuire un principio di decisione che sappia sciogliere i nodi. La periferia, nel suo svantaggio e nella sua marginalità, gode comunque del vantaggio di linee più semplici, che sono lontane dai nodi decisivi, e che talvolta conducono addirittura a semplificazioni e ovvietà.
Li enumero qui, i punti dell’agenda di un Pontifex chiamato a ristrutturare il ponte tra cielo e terra, la scala di un Giacobbe zoppicante nella sua lotta con l’angelo. Un Giacobbe che ha bisogno di un’operazione all’anca, di una protesi cyborg per tornare a correre per ogni dove, cattolicamente, cioè secondo una prospettiva universale, nell’ecumene, nell’intero mondo abitato.
- La ri-cristianizzazione dell’Europa, che rimane la culla dell’annuncio cristiano, nell’intreccio delle voci di Atene e di Gerusalemme a Roma, e che fatica a superare il disorientamento nichilistico, essendosi ridotta a una cultura di morte depressa e angosciata. Davvero l’Europa è persa? Compromessa nella depredazione capitalistica ai danni del mondo, e nella somma zero del guadagno di pochi per la povertà di molti? Oppure l’Europa rimane la testimone, anche nella teoria dell’impresa economica, della possibile nascita di qualcosa di nuovo?
- La composizione dei conflitti interni alla Chiesa, tra conservatori e progressisti, o meglio tra chi considera essenziale l’articolazione dell’annuncio di salvezza in un quadro dottrinale centrale – teologico, filosofico, giuridico e storico –, e chi invece privilegia l’azione di solidarietà nei confronti delle ultime periferie.
- La questione del rapporto tra la verticalità della Curia e l’orizzontalità assembleare del Sinodo, che riproduce nelle due dimensioni di un quadro interpretativo il rapporto tra il centro decisivo e le linee periferiche laterali.
- Il rapporto con le altre fedi monoteistiche: in primo luogo con l’ebraismo, che è centrale per la provenienza del cristianesimo, nel suo modo di limitare il carisma messianico con la tradizione liturgico-razionale di istituzioni di studio, di argomentazione e di pratiche rituali. E poi il rapporto con l’Islam, che è meno incline alla mediazione istituzionale e alle sue schermature di lentezza, meno sicuro della propria centralità e più desideroso di conquistarla.
- Il rapporto con la Cina e con l’Oriente, con la questione del rapporto tra il potere spirituale – che cerca di dare un’anima al meccanismo tecnico-burocratico delle esistenze all’interno degli Stati – e un potere temporale che non vuole ingerenze da parte di una potenza spirituale straniera. La Cina esercita una sovranità civile che, nel suo comunismo, rivendica comunque il confucianesimo come autoctona sorgente spirituale per dare sostanza alle strutture sociali, a partire dalla centralità della famiglia.
Come si vede, sono tutte variazioni sul tema del rapporto tra il centro, nel suo ruolo di principio decisivo, e la periferia, che ai princìpi preferisce la solidarietà, l’accoglienza e l’uguaglianza. È ancora il rapporto tra il recinto centrale che raccoglie il gregge e la pecorella smarrita che sta fuori dal recinto. Come sappiamo, la parabola (Luca 15, 3-7) descrive un Pastore che, pur di salvare la pecorella fuori dal recinto, lascia incustodite le novantanove del gregge, e va a cercarla, suscitando anche qualche malumore. La parabola del Figliol Prodigo compare qualche versetto dopo, e anche lì il figlio maggiore mostra il suo disappunto per tutta quella festa riservata dal Padre misericordioso al figlio che si era perduto nei godimenti, ed è stato ritrovato – mentre lui era rimasto in casa a faticare, senza grilli per la testa. Ecco, la predilezione per chi è finito fuori dal recinto della legge segna allora il prevalere della linea orizzontale delle periferie vaganti su tutte le istanze verticali del centro della dottrina, della forma cattolica e delle istituzioni percepite come pure esteriorità di potere?
Un commento straordinario di Kierkegaard alla parabola del Buon Pastore, nelle pagine finali de La ripetizione, suggerisce che non si tratta di liberarsi del recinto centrale della legge, ma di riconoscere che quanto solleva un’eccezione rispetto alla normalità del gregge, cioè la pecorella fuori dal recinto, è essenziale per la definizione della centralità del recinto. Dio stesso, che è la legge, non sarebbe tale, cioè universale, se non fosse portatore di grazia, cioè mosso da una passione sconfinata per l’eccezione, per la pecorella fuori dal recinto. “Da una parte sta l’eccezione, dall’altra l’universale, e la lotta stessa è un conflitto strano tra il fastidio rabbioso dell’universale, per tutto il baccano sollevato dall’eccezione, e la sua infatuata predilezione per essa (perché alla fin fine l’universale gioisce di un’eccezione quanto il Cielo gioisce di un peccatore convertito, preferendolo a novantanove giusti)”.
Non si tratta allora di aprirsi semplicemente all’uscita dal centro, rischiando di perdere, insieme alla provenienza storica della legge, la percezione della centralità della grazia. Anzi, in quel modo si rischia di trasformare la grazia in una pratica emancipativa in cui Dio non è Signore, ma Presidente onorario di una associazione contro le imperfezioni del mondo, e il Figlio vi è eletto Amministratore delegato. Si tratta invece di comprendere che il centrale gregge europeo non è da rimuovere a vantaggio delle pecorelle periferiche fuori dal recinto: la legge del centro è già piena di grazia, e la grazia, che apre una breccia nel recinto, ci fa capire l’essenza del recinto della legge più profondamente di quanto non faccia la abituale ripetizione, sulla linea della normalità, della correzione delle mancanze. La luna di Moncalieri rimane centrale per una devota provenienza, ed eccezionale come la grazia e la bellezza.
Il Quotidiano del Sud.
La missione: riportare il dialogo fra centro e periferie del mondo