La moda torna in boutique

  • Postato il 20 settembre 2025
  • Di Panorama
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Correva l’anno 2021, quando gli esperti di marketing in comportamenti d’acquisto e gli analisti spingevano, a gran voce, sulla necessità di rendere più efficienti le strategie di vendita e distribuzione sui mercati globali. Chiedevano alle aziende d’abbigliamento, soprattutto quelle del lusso, di mettere in atto investimenti massicci. Lo scopo era potenziare gli acquisti sia sui propri canali digitali sia su quelli delle piattaforme multi marchio internazionali, per offrire quella che gli specialisti definivano «una digital customer experience efficace». Un’urgenza dettata anche dai dati Eurostat che, in quel periodo post pandemico, registravano una media europea di acquirenti online del 56 per cento di età compresa fra i 16 e i 74 anni.

Ora, a distanza di soli quattro anni, dopo quell’euforia di compere virtuali, le cose sono cambiate notevolmente e, negli ultimi due anni, il settore del commercio elettronico di lusso ha vissuto una trasformazione radicale dovuta a una fase di contrazione degli acquisti. Insomma, la spinta dei cosiddetti “acquisti per vendetta”, seguiti alla bolla del Covid, si è esaurita e nei primi mesi del 2025 si calcola che le vendite via Web siano calate del 28 per cento su base annua. Cominciamo da Yoox Net-a-Porter Group, l’azienda pioniera nel mondo del lusso italiano, la prima start-up che è riuscita ad attrarre i marchi più prestigiosi del lusso, a cominciare dalla Giorgio Armani, per poi espandersi fino alla quotazione in Borsa. Ebbene, ora è in crisi profonda, a tal punto da pianificare una serie di licenziamenti.

In breve, la parabola discendente è questa: Federico Marchetti, ravennate geniale con il fiuto degli affari, nonché ideatore di Yoox, nel 2015 promuove una fusione della sua azienda con Net-a-Porter del gruppo Richemont, creando il gruppo Yoox Net-a-Porter (YNAP) che, nel 2018, diventa di proprietà della multinazionale svizzera. Nel 2023, Richemont è sul punto di cedere una quota di maggioranza a Farfetch, il potente marketplace basato a Londra, fondato nel 2007, che però proprio allora  cala a picco nelle vendite e viene recuperato dalla coreana Coupang.

Così, l’anno scorso, Richemont si rivolge a LuxExperience, la holding quotata alla Borsa di New York, con base a Monaco, che gestisce anche MyTheresa. E qui siamo ai giorni nostri, alla notizia del licenziamento del 20 per cento del personale italiano di YNAP: 211 esuberi su un totale di 1.091 dipendenti. Di questi, circa 160 sono concentrati nella zona di Bologna, mentre 51 riguardano la sede di Milano. Invece, a livello mondiale, il piano di riorganizzazione si estende a 700 posizioni, toccando anche il Regno Unito, gli Usa e altri Stati. «Il brusco taglio alla forza lavoro arriva in un momento di difficoltà economiche e crisi dell’intero settore», si legge nei vari comunicati ufficiali.

E i numeri parlano chiaro: Yoox Net-a-Porter Group ha registrato un calo dei ricavi pari a 191 milioni nell’ultimo anno fiscale e perdite cumulate tanto che, alla chiusura del 2024, i conti registravano un rosso di 1,8 miliardi, con scarse probabilità di ripresa nell’anno in corso. Sempre in una nota ufficiale di LuxExperience si legge che «i licenziamenti fanno parte di una strategia che vuole riportare in crescita l’azienda dopo anni di flessione e che comunque l’Italia rimarrà un hub operativo nel lungo termine, in particolare per il segmento off-price. Il gruppo punta a un valore della merce venduta pari a 4 miliardi di euro entro il 2029».

Valore che appare assai improbabile, considerato il cattivo stato di salute del lusso in generale e dell’e-commerce in particolare in tutto il mondo. Anzi, lo scenario è vagamente apocalittico, come si era già percepito da uno dei primi tracolli del settore, quello appunto di Farfetch.

“Sprofondo rosso” anche per Matches Fashion, il venditore digitale di lusso che ha licenziato oltre 273 dipendenti quando ha deciso di sospendere le sue attività dopo essere stato messo in amministrazione controllata, a fine giugno del 2024, da Frasers Group che l’aveva rilevato solo l’anno prima.

E non è finita qui, la lista si allunga: è di queste settimane la notizia che anche Ssense, il sito di lusso canadese, «faro di coolness e contemporaneità», ha presentato istanza di fallimento. Secondo l’amministratore delegato Rami Atallah «questo declino è in parte dovuto anche alle politiche dell’amministrazione Trump. I dazi del 25 per cento imposti sulle merci provenienti dal Canada hanno avuto un impatto devastante. Inoltre, la decisione da parte del governo statunitense di cancellare l’esenzione de minimis, che protegge dalle tariffe doganali i pacchi di valore inferiore agli 800 dollari, ha dato il colpo di grazia finale».

Ultima caduta in ordine di tempo è quella del venditore online fiorentino Luisaviaroma, che ha annunciato la chiusura del quartier generale di Milano, inaugurato nel 2024, facendo ricorso alla composizione negoziata della crisi al Tribunale di Firenze e chiedendo una sospensione di 120 giorni dalle azioni legali da parte di fornitori e creditori. I vertici della società, controllata al 40 per cento dal fondo Style Capital di Roberta Benaglia, intendono dunque intraprendere delle azioni di risanamento con l’idea di utilizzare questa procedura come strumento per una ristrutturazione completa e una possibile ripartenza.

Non c’è dubbio che piattaforme  Web e venditori online si trovino a dover affrontare sfide complesse: dai margini in contrazione alla logistica sempre più costosa, fino alla concorrenza che arriva anche da mercati alternativi come il “seconda mano” e il fenomeno dei “dupe”, cioè i prodotti ispirati ma non originali. Per non parlare dei costi di spedizione, dei resi e delle scatole personalizzate, delle linee telefoniche prioritarie, delle informazioni sui prodotti extra dettagliate, degli scatti fotografici su un manichino anziché su un avatar.

«Siamo di fronte a un momento complicato per la moda» interviene Beppe Angiolini, imprenditore e fondatore degli store Sugar di Arezzo. «Non credo si possa dire che il declino del digitale coincida con la riscoperta del negozio fisico. Io non vedo più boutique affollate come un tempo. Vero è che la gente sta riscoprendo il gusto di uno shopping “umanizzato”, cioè preferisce scegliere facendosi magari consigliare dal personale. Tanti entrano nel nostro negozio per sedersi al bar, oppure per visitare la galleria. Noi abbiamo anche 11 stanze per l’ospitalità. La nuova forza dei luoghi fisici sta proprio nella diversificazione dell’offerta di esperienze e nella capacità di saper prendere per mano il cliente per coccolarlo e rassicurarlo. Cosa che è difficile avere con l’acquisto digitale. Probabilmente il nuovo concetto di lusso sta proprio in questa cura».

Non si può ignorare il fatto che il commercio al dettaglio fisico ha ripreso vita. Lo dimostra la domanda per spazi di lusso in strade come Bond Street a Londra, Avenue Montaigne a Parigi, o via Monte Napoleone a Milano, dove ha da poco riaperto la mega boutique di Louis Vuitton che come narrano i vertici «è un luogo in cui bellezza e conoscenza assumono diverse forme: abbigliamento, design, arte, architettura e buon cibo». Quello dei fratelli Cerea.

«È vero, nella mia realtà di due piazze, Palermo e Taormina, e di nove punti vendita, posso affermare che c’è stata una crescita qualitativa delle vendite nelle boutique dal 2022 a oggi. Sono aumentati gli ingressi e il valore degli acquisti», racconta il manager Mario Dell’Oglio, che aggiunge: «Ma se le vendite fisiche stanno crescendo questo non compensa la crisi del digitale. In generale sono venuti meno i volumi impressionanti di un tempo, e molte piattaforme hanno cercato di recuperare con una folle politica di sconti, perdendo fatturati e margini. A questo si aggiunga una certa disaffezione ai prodotti di moda: molti marchi importanti sono completamente scomparsi dai radar dei consumatori. Chi viene a comprare in boutique si fa consigliare, non cerca il marchio, ma la qualità e il contenuto. L’acquisto è molto più consapevole».

E su queste tematiche, sulle nuove forme di acquisto e di vendita si concentrerà il convegno del 14 ottobre a Roma, promosso dalla Camera dei buyer, alla presenza del ministro del Made in Italy Adolfo Urso. «A causa di una politica sbagliata dei prezzi abbiamo scoraggiato il consumatore finale» spiega Maura Basili, presidente della Camera dei buyer.  «Alla moda ora si preferiscono i viaggi, la cura della persona o della casa. Serve una riflessione seria per rimettere in piedi un settore fondamentale per l’economia italiana, per questo urge sedersi intorno a un tavolo per cercare nuovi contenuti e strategie alternative».

Autore
Panorama

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