La nuova Chiesa di Prevost: fine dell’era Bergoglio, la svolta in Vaticano che fa tremare i cardinali

  • Postato il 5 luglio 2025
  • Di Panorama
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«I pontefici passano, la curia resta». Il 24 maggio l’ipse dixit di Leone XIV ha scosso il Vaticano. Segna la rinuncia all’eredità di Jorge Mario Bergoglio da parte di Robert Francis Prevost che è stato ed è prima monaco agostiniano, poi missionario infine il selezionatore dei vescovi. «Vale in ogni Chiesa particolare, per le curie vescovili», ha affermato il Papa, «e vale anche per la curia del vescovo di Roma. La curia è l’istituzione che custodisce e trasmette la memoria storica di una Chiesa, del ministero dei suoi vescovi».

Se Francesco è stato il Papa-Re autocratico, imprevedibile, autoritario nei modi e nella gestione, Leone XIV è l’uomo della collegialità.

Chi ha goduto dei privilegi che Bergoglio ha dispensato al suo cerchio magico oggi si trova spiazzato e cerca di riposizionarsi. È difficile però che Prevost lasci spazio ai solisti che con i migranti hanno costruito le loro carriere, che consenta fughe in avanti agli “ambasciatori” della Chiesa in uscita verso solo il Sud del mondo, che comprima l’apostolato laico come ha fatto Bergoglio dichiarando guerra a Cl, alla Compagnia delle Opere, agli ordini monastici.

Molti dimenticano un particolare: Robert Francis Prevost aveva dieci anni quando si è chiuso il Concilio vaticano secondo. Non gli appartengono le fratture che da 60 anni incrinano l’unità della Chiesa. Ha vissuto il post concilio prima da “missionario” in Perù e poi, per 12 anni, da priore degli agostiniani, e ha sviluppato il senso della comunità e della collegialità come professione di fede.

Leone XIV così fa tremare alcuni pezzi della Chiesa italiana. Ci sono questioni spinose aperte: i processi vaticani. Non tanto o non solo quello che vede implicato – è la prima volta nella storia – il già condannato in primo grado per peculato, il cardinale Giovanni Angelo Becciu (l’appello è fissato per fine settembre; stanno emergendo particolari scomodi che potrebbero indurre il Papa a chiudere tutto con un’indulgenza per evitare che da uno scandalo presunto se ne generi uno vero), quanto un altro che chiama in causa direttamente il presidente della Cei, il cardinale e arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi.

Lui, considerato un papabile, che era l’alter ego di Francesco sulle questioni dei migranti e in politica estera visto che era capomissione, inconcludente, in Ucraina, con altre due berrette rosse bergogliane – i cardinali Kevin Farrell, plenipotenziario sui conti, e Augusto Paolo Lojudice metropolita di Siena – è il giudice di Cassazione del Vaticano ed è alle prese con una vicenda spinosa.

Gli ex direttori dello Ior Paolo Cipriani e Massimo Tulli sono stati condannati per mala gestio:  hanno loro confiscato la pensione su pressione di Bergoglio che ai soldi era assai attento. Non si può fare: anche per la giustizia vaticana al massimo è confiscabile un quinto dell’assegno vitalizio. Ma Zuppi, in totale obbedienza al Papa, ha confermato la sentenza. Ora ci sarà la Corte europea a pronunciarsi: una condanna del Vaticano per violazione dei diritti non sarebbe gradita.

Zuppi si porta dietro moralmente un altro processo: comincerà a Ragusa in ottobre contro Luca Casarini e altri della sua Ong pro migranti accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. Matteo Maria Zuppi è il primo sponsor di Casarini, è stato lui a portarlo da Bergoglio e sarà difficile tenersi discosto da questa figura diventata ingombrante. Da qui le manovre di ricopertura verso Prevost di Andrea Riccardi, il deus ex machina della Comunità di Sant’Egidio, che ha fatto – durante il Conclave – il diavolo a quattro per promuove la sua «creatura», il cardinale romano di nascita e bolognese di cattedra, a successore di Pietro. Gli è andata malissimo e oggi deve trovare il modo di rientrare in gioco. Ma Leone XIV ha fatto capire che si fida della Curia e chi ha patito sotto il tacco di Francesco ora si sta riprendendo i suoi spazi. 

Zuppi ha ancora due anni davanti nella guida della Cei, ma la fronda interna ai vescovi italiani (il prossimo presidente potrebbe essere Gian Carlo Perego, vescovo di Ferrara, una sorta di “clone” di Prevost), stanchi degli eccessi immigrazionisti si sta rinforzando.

La linea l’ha dettata – sia pure indirettamente – il grande saggio del cattolicesimo italiano: l’ultranovantenne cardinale Camillo Ruini. «È tempo di restituire la Chiesa ai cattolici», ha detto, «al centro c’è Cristo, non il Papa». Bergoglio aveva messo da parte il suo essere Vicario di Cristo: la prerogativa non compariva nell’annuario cattolico di cinque anni fa. Invece nel motto di Leone XIV Cristo è il motore. Su queste differenze deve misurarsi il think tank di villa Nazareth (ha formato anche Giuseppe Conte) la “corte” del cardinale Achille Silvestrini “padre” putativo dell’attuale segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Villa Nazareth è stato il laboratorio del cattocomunismo, il luogo dell’elaborazione mondialista della Chiesa, il pensatoio dell’apertura all’islam e Bergoglio l’ha tradotta nel naufragare dei rapporti con gli ortodossi e soprattutto con gli ebrei e l’apertura verso la Cina.

Quando Romano Prodi da presidente dell’Ue ha aperto le porte alla dittatura comunista di Pechino, lo ha fatto confortato da villa Nazareth e Parolin si è incamminato sulla via della trattativa che ha portato nel 2018 al primo accordo sulla nomina dei vescovi cinesi. Sono tutte pratiche che Leone XIV ha ripreso in mano cambiandole, in pochi giorni, radicalmente di segno. Il 19 maggio, una settimana prima dell’intronizzazione ufficiale, Prevost nell’incontro con le altre confessioni al rabbinato d’Italia ha detto: «È tempo di costruire ponti». E poi ha aggiunto: «A motivo delle radici ebraiche del cristianesimo, tutti i cristiani hanno una relazione particolare con l’ebraismo». Citando il Nostra aeate – uno dei documenti cardine del Vaticano II che guidò Giovanni Paolo II al dialogo strettissimo con gli ebrei – Leone XIV ha riconsegnato la Curia al dialogo interreligioso. Del resto, ispirandosi a Sant’Agostino il motto del Pontefice è «In illo uno unum», siamo uno nell’unico Cristo e su questa base ecco lanciato il ponte agli ortodossi Kirill III di Russia compreso.

Perciò ci si attende in segreteria di Stato un qualche radicale, anche se non spettacolare: non è più il tempo di Francesco, basta considerare che il dialogo con JD Vance – il vicepresidente americano – Leone XIV lo ha raccomandato al cardinale Paul Richard Gallagher, che ha sì l’incarico istituzionale di Segretario per i Rapporti con gli Stati, ma che di certo è salito nelle gerarchie.

Segnali di riassetto in Curia, come segnali arrivano nel rapporto di Prevost con l’apostolato laico. Chi deve ritararsi è sicuramente Davide Prosperi che Francesco ha imposto a capo di Comunione e liberazione nel 2021 dopo avere «licenziato» l’erede di don Giussani, Julián Carrón. Bergoglio lo fece fuori sostenendo che non ci possono esser cariche a vita, ma poi nel 2025 ha riconfermato – poco prima di abbandonare la vita terrena – Prosperi. Il tema ora è: le congregazioni dei laici che ruolo avranno? Un interrogativo che riguarda anche l’Opus Dei. Si sa che tra gesuiti e Opus non è mai corso buon sangue e Bergoglio certo non si è smentito.

Ha messo a capo della Compagnia lo spagnolo Fernando Ocáriz Braña imponendo che il prelato che la guida non possa mai diventare vescovo. L’Opus Dei è stata invece un pilastro del pontificato di Karol Wojtyla, con Prevost aspira a un nuovo ruolo. E lo stesso vale per lo Smom (Sovrano Ordine di Malta) su cui Bergoglio ha avuto la mano pesante.

I Cavalieri di Malta sono un altro dei capitoli della riabilitazione della Curia allargata che tutti si attendono da Leone XIV.

Ma come si sa, uno dei massimi terreni d’indagine di Sant’Agostino è stato il tempo. Per misurare la rivoluzione di Prevost serve avere cognizione che esiste il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Una trinità che si risolve nel «In illo uno unum». In Curia sanno cosa significhi.

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Panorama

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