La pace in Ucraina passa dalla corsa all’Artico: petrolio, gas e la nuova rotta del Nord al vertice Trump-Putin in Alaska

  • Postato il 14 agosto 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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A sorpresa ha scelto l’Alaska. Una location completamente diversa da Roma, la città eterna che avrebbe potuto fare da cornice al faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin. Il no di Mosca, però, ha fatto evaporare l’ipotesi italiana. A quel punto la Casa Bianca ha optato per la base militare Elmendorf–Richardson di Anchorage, la città più grande dell’Alaska. Una scelta evocativa e sorprendente. Intanto perché l’Alaska era russa fino al 1867: Putin, quindi, sarà ospitato in un territorio che apparteneva all’impero dello Zar. Ma che da 158 anni fa parte degli Stati Uniti: l’inquilino del Cremlino si troverà quindi a giocare fuori casa, in una base militare fondamentale per gli Usa durante la Guerra Fredda, scelta nel 1971 per ospitare l’incontro tra Richard Nixon e l’imperatore giapponese Hirohito. Va detto, però, che non dovrà poi viaggiare molto: nel punto più vicino dello Stretto di Bering, infatti, il confine americano dista appena tre chilometri da quello russo. Come dire: ci sono trasferte peggiori per uno che è ricercato dalla Corte penale internazionale.

Il summit che eslude l’Ue e Kiev

Al netto delle note storiche, però, la scelta di Anchorage ha sorpreso gli osservatori europei per altri motivi. Intanto perché il fuso della capitale dell’Alaska è dieci ore indietro rispetto a quello di Bruxelles, Parigi, Roma e Berlino, mentre sono addirittura undici le ore di differenza con Kiev. Trump e Putin, dunque, discuteranno della possibile fine della guerra in Ucraina mentre in Europa sarà notte fonda. I leader Ue saranno costretti all’insonnia, visto che l’inquilino della Casa Bianca ha promesso d’informarli alla fine del suo faccia a faccia. La stessa cosa farà con Volodymyr Zelensky, escluso dal summit di Ferragosto, nonostante l’incontro serva ufficialmente per discutere dell’invasione del suo Paese. Come dire: per risolvere la crisi ucraina basta un bilaterale tra Trump e Putin, in un luogo lontanissimo dall’Europa, ma praticamente attaccato al confine russo. Un altro indizio che suggerisce come al vertice in Alaska non si discuterà solo di Kiev. “Oltre all’Ucraina si parlerà dell’Artico, punto cruciale delle relazioni bilaterali. C’è un confronto serrato nella regione, potenziale teatro di uno scontro armato. Le attività militari sia della Russia che degli Usa sono in aumento”, ha spiegato l’altro giorno Dmitrij Suslov, consigliere del Cremlino per la politica estera, intervistato da Paolo Valentino sul Corriere della Sera. “L’Artico è ormai da tempo al centro degli interessi geopolitici mondiali, è evidente che sarà tra i punti principali del vertice di Ferragosto”, dice a ilfattoquotidiano.it l’analista Emanuela Somalvico, direttore dell’Osservatorio di intelligence sull’Artico della Socint, la Società italiana d’intelligence. “La scelta dell’Alaska – aggiunge – secondo me indica chiaramente come gli Stati Uniti vogliano comunicare a Putin e al resto del mondo la volontà di tornare a essere presenti nella regione”.

The Alaska Purchase

In questo senso, dunque, la crisi ucraina potrebbe essere solo il movente per giustificare il faccia a faccia tra Usa e Stati Uniti, desiderosi di normalizzare le loro relazioni dopo un triennio di alta tensione. “L’Artico potrebbe essere la chiave per porre fine alla guerra in Ucraina?”, si è chiesto James Tidmarsh sul The Spectator. Nel 1867 fu per pagare i debiti contratti proprio nella guerra di Crimea che lo zar Alessandro II decise di cedere l’Alaska agli Stati Uniti: ottenne 7,2 milioni di dollari, che al cambio di oggi sarebbero almeno 130. All’inizio the Alaska Purchase provocò reazioni negative da entrambe le sponde dello Stretto di Bering: i russi si sentirono depredati, gli americani accusarono il governo di aver gettato denaro. In realtà per gli Usa fu un affare, visto che già alla fine del secolo in Alaska si aprì la caccia all’oro. I giacimenti del prezioso metallo giallo ripagarono ampiamente l’investimento. Quasi centosessant’anni dopo, invece, è nero l’oro che gli Usa estraggono dal sottosuolo dell’Alaska. A Prudhoe Bay, sul mare di Beufort, sorge il più grande giacimento petrolifero del Nord America: da qui arriva il 10% del greggio estratto ogni anno in tutti gli Stati Uniti. Solo una piccola percentuale di quello che si nasconde nel profondo Nord del globo: secondo le stime dell’United States Geological Survey, il servizio geologico americano, i fondali del Mare Artico nascondono i più ricchi giacimenti di greggio e gas naturale non ancora individuati nel mondo. Si tratta di circa 90 miliardi di barili di petrolio: fonti di approvvigionamento finora mai raggiunte a causa delle difficoltà di accesso. Una situazione che sta cambiando rapidamente.

La nuova rotta del nord

Il riscaldamento globale, infatti, sta facendo arretrare la calotta glaciale, rendendo più facilmente raggiungibili zone un tempo remote. “Tutto ciò in futuro potrebbe offrire ulteriori opportunità per il trasporto marittimo e le infrastrutture portuali. Un prossimo sviluppo infrastrutturale nell’area polare è quindi destinato ad aprire la possibilità di investimenti significativi da parte di attori locali e internazionali. Le rotte navigabili potrebbero inoltre fornire accesso inatteso alle risorse ittiche, così come l’accesso alle risorse minerarie diventerà più praticabile”, scrive Somalvico nel suo Prospettiva Artico. Nuove sfide per l’Intelligence, pubblicato dalla fondazione Margherita Hack. Lo scioglimento dei ghiacciai, in pratica, sta rendendo più semplice la navigazione nel mar Glaciale Artico: finora si poteva attraversare solo con le famose navi rompighiaccio a propulsione atomica della Russia, titolare della più grande flotta del mondo composta da più di 50 imbarcazioni. Il cambiamento climatico, quindi, ha creato una nuova rotta marittima che avvicina l’Asia all’Europa seguendo un percorso più breve rispetto a quello che passa dal Canale di Suez e dallo stretto di Gibilterra. Si tratta della Northern Sea Route, il percorso davanti alla costa russa che collega l’Europa all’Asia con circa 8mila miglia di navigazione, rispetto alle 13mila della rotta del Canale di Suez. Anche a causa dei continui agguati degli Houthi alle navi che passano nel Mar Rosso, la rotta del Nord inizia a diventare sempre più un’alternativa reale per le flotte commerciali. Soprattutto per quelle cinesi e russe. I dati del Center for High North Logistics, fondazione norvegese che studia soluzioni logistiche nella regione artica, raccontano come nel 2024 dal passaggio marittimo siano transitate 97 spedizioni con 3,1 milioni di tonnellate di merci in totale. Un nuovo record, dopo il minimo storico toccato nel 2022, dovuto lo scoppio della guerra in Ucraina. L’invasione, infatti, ha avuto ovviamente ripercussioni anche sul fronte polare: la rottura dei rapporti tra i Paesi occidentali e la messa al bando del petrolio russo hanno avvicinato ancora di più Mosca a Pechino. E infatti il 60% dei viaggi sulla Northern Sea Route è servito a trasportare greggio dai porti russi a quelli cinesi. Un aumento del traffico che da tempo ha spinto la stampa internazionale a parlare di Polar Silk Road, la via della Seta polare. “Una delle questioni principali del vertice di Trump e Putin sarà la gestione della rotta del Nord. Soprattutto alla luce dell’attivismo della Cina, che proprio in questo momento ha in mare tutti le sue cinque navi rompighiaccio“, spiega Somalvico.

La via della Seta polare

Ma la cooperazione sino-russa non riguarda solo questioni economiche e commerciali. La guerra in Ucraina, infatti, ha messo in stand-by i lavori del Consiglio Artico, il forum di cooperazione che dal 1991 analizza e prova a risolvere i problemi della regione. Ne fanno parte i Paesi che si affacciano sul’oceano glaciale: quindi la Russia, il Canada, la Danimarca, la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia, gli Stati Uniti (proprio attraverso l’Alaska) e la Svezia. “I lavori non si sono mai bloccati completamente, diciamo che si sono rallentati. Certo per forza di cose la Russia ha un’influenza particolare, essendo titolare del 50% del territorio. Va detto, però, che il Consiglio non ha poteri di governance sulla regione, ma si occupa di questioni climatiche e sociali”, spiega il direttore dell’Osservatorio di intelligence. Del Consiglio fanno parte anche i membri osservatori permanenti, cioè i Paesi scelti perché hanno un qualche interesse nell’Artico, anche se non si affacciano direttamente. Tra questi c’è anche l’Italia, che tramite il Consiglio nazionale delle ricerche gestisce la base artica Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard. Dal 2004 una stazione di ricerca scientifica nell’arcipelago appartiene anche la Cina: si chiama Yellow River Station e concede a Pechino di essere un membro osservatore permanente del Consiglio Artico. “E nel 2023 la Russia ha firmato con la Cina un accordo di collaborazione relativo alla sicurezza del territorio“, racconta Somalvico. “La questione dal punto di vista degli Stati Uniti è sempre quella – aggiunge l’analista – riuscire ad arginare il ruolo della Cina nell’Artico riprendendo i rapporti con Mosca”. È per mettere un freno alla silenziosa escalation polare di Pechino che Trump ha deciso di organizzare il vertice di Ferragosto con Putin. E proprio per questo motivo ha scelto l’Alaska. Del resto il presidente degli Stati Uniti ha spesso dimostrato di avere una passione per il prodondo Nord: basti pensare ai messaggi minatori lanciati più volte in direzione della Groenlandia, oggetto del desiderio dell’inquilino della Casa Bianca. Alle minacce di annessione non sono finora seguiti i fatti. Ma d’altra parte la corsa all’Artico è appena cominciata.

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