La pentita Giusy Pesce che scagiona Martorano

  • Postato il 12 giugno 2025
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La pentita Giusy Pesce che scagiona Martorano

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La pentita Giusy Pesce, figlia e nipote dei capi della ‘ndrina di Rosarno, parla nel processo al boss potentino Martorano: «Mai sentito nominare. Non mi risultano collegamenti in Basilicata».


POTENZA – Nella storia criminale lucana c’è scritto che a Potenza, negli anni ‘80 del secolo scorso, si è fatto largo un gruppo di giovani “benedetti” dalle più potenti ‘ndrine calabresi. Inclusi Pesce i Rosarno. Da qualche ora, però, questa certezza è stata rimessa in discussione per voce di una pentita proprio dei Pesce di Rosarno. Si è aperta con un colpo di scena, ieri mattina nel Tribunale di Potenza, l’ultima udienza del processo sui nuovi affari del clan Martorano-Stefanutti. La prima con la presenza in aula del presunto boss, Renato Martorano, e degli altri imputati scarcerati il mese scorso e autorizzati a entrare a Potenza per seguire il processo, nonostante siano ancora sottoposti al divieto di dimora in città.

In collegamento da una località protetta, infatti, è apparsa una collaboratrice di giustizia molto particolare, Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore e nipote del mammasantissima Nino. Lei che nel 2010, a 34anni e dopo l’arresto nell’ambito di un’inchiesta dell’Antimafia di Reggio Calabria, ha deciso di collaborare con la giustizia per dare un futuro migliore a se stessa e ai suoi figli. Consentendo ai pm di mettere a segno una serie di colpi contro alcune delle famiglie più potenti della ‘ndrangheta reggina.

LE DICHIARAZIONI DELLA PENTITA PESCE: “MAI SENTITO NOMINARE MARTORANO”

A chiedere l’esame di Pesce come testimone erano stati i difensori del boss Renato Martorano, gli avvocati Donatello Cimadomo e Paolo Lorusso. E sono stati ripagati dalle parole della pentita che ha dichiarato di non aver «mai» sentito nominare Martorano. Rispondendo a una domanda del pm Marco Marano, Pesce ha ribadito, più in generale, di non avere memoria di collegamenti della sua famiglia con la Basilicata, ma soltanto «in Molise, a Campobasso». Al termine del dibattimento, quindi, spetterà al collegio presieduto da Marcello Rotondi valutare il peso delle dichiarazioni della pentita, che due anni fa ha ispirato anche una celebre serie tv (“The good mothers”). L’accusa principale del processo sui nuovi affari del clan Martorano, d’altra parte, resta quella di associazione mafiosa.

Una mafiosità derivata da una prima condanna emessa per il clan potentino alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, e dai rapporti più recenti «dello stesso con altre realtà criminali certamente connotate da mafiosità». Su questi rapporti, nelle scorse udienze, la procura aveva chiamato sul banco dei testimoni altri collaboratori di giustizia. In particolare Natale Stefanutti, figlio del boss Dorino, che agli investigatori aveva consegnato anche foto e una copia della formula per l’affiliazione dettata da esponenti della ‘ndrangheta Crotonese. A fine maggio, inoltre, sono salite a tre le condanne per mafia confermate dalla Cassazione per altrettanti sodali di Martorano che hanno optato per il rito abbreviato, e il relativo sconto di pena.

L’INCHIESTA “LUCANIA FELIX”: ESTORSIONI E NARCOTRAFFICO

L’inchiesta “Lucania felix” ha preso di mira anche una serie di tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, come quella a un imprenditore del salernitano che avrebbe avuto un debito da 900mila euro col titolare di un bar poco lontano dal Palazzo di giustizia di Potenza. Estorsione condotta da Martorano in persona, appena tornato in libertà dopo quasi 11 anni di carcere duro per estorsione mafiosa, che avrebbe fatto fuoco con una pistola contro la porta d’ingresso dell’abitazione dell’imprenditore, rivendicando il gesto poco dopo, al telefono. Tra i capi d’imputazione, poi, compare anche un’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, «quale modalità operativa del clan, costituita da soggetti intranei al sodalizio mafioso, nel cui interesse e sotto il cui costante controllo il narcotraffico viene gestito». l.a.

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