La posta dell’estate: Insegnante precaria e attempata pronta al salto nel profondo Nord
- Postato il 17 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
La posta dell’estate: Insegnante precaria e attempata pronta al salto nel profondo Nord
La rubrica del Quotidiano… la Posta dell’estate: le vostre domande, le nostre risposte… il tema di oggi: Insegnante precaria e attempata pronta al salto nel profondo Nord
LE VOSTRE DOMANDE ALLA POSTA DELL’ESTATE: Insegnante precaria e attempata pronta al salto nel profondo Nord
Caro Quotidiano, sono un’insegnante precaria. Precaria e attempata, essendo arrivata alla decisione di insegnare molto tardi e avendo molto faticato, tutto il percorso standard, cfu, cfa, tfa, gps, supplenze e supplizi.
Ho un lavoro part-time in uno studio legale, una tuttofare ma abilitata con titolo di avvocato. Esigenze familiari, marito in cassaintegrazione, figli che crescono, mutuo da pagare, forse per sempre, mi hanno convinto ad un lavoro con più certezze di certo stipendio a fine mese e che mi lasciasse, volendo, il tempo per fare anche altro. Cioè insegnare. Dopo lungo peregrinare è arrivata la prima vera assegnazione, un civilizzato anfratto nel cuore del varesotto. Lombardia. Un paese a ben vedere decisamente più piccolo di quello che mi appresto a lasciare qui in Calabria. Lascio anche i miei due figli, mio marito, i miei genitori anziani, amiche e tutte cose. Per uno stipendio che spenderà per vivere e viaggiare. «Ma fa punteggio, se rifiuti poi ti mandano a fondo graduatoria e addio».
Quindi tra pochi giorni prendo il treno del sole della speranza di noi precari e vado a cercare casa. Questo è quello che mi spaventa di più. Non ho mai davvero traslocato, ho fatto l’università a Cosenza, nella casa dello studente, e poi da sposata mi sono trasferita nella casa che ancora abito. Lo so che sembra assurdo, ma più di tutto mi terrorizza proprio questo, cambiare casa. Come lo affronto il trasloco?
LA NOSTRA RISPOSTA
Paul Auster in 65 anni di vita ha contato 21 traslochi (lo scrive, egregiamente, in Diario d’inverno) io con meno anni, 18. Lui si muoveva tra Parigi, New York e dintorni. Io più modestamente tra Roma, Cosenza e Bisanzio (l’attuale Corigliano-Rossano). E Perugia, come dimenticare i gloriosi anni dell’Onaosi. Traslochi tra uno scatolone e un altro. Una lacrima e una crisi di nervi. Alla perenne ricerca di “ma quella sciarpa, dove sarà finita?” o qualunque altro oggetto, svariati a dire il vero, ne ho persi a iosa per ogni trasloco fatto.
La mia stanza, nella casa-madre bizantina, era un substrato di scatole svuotate a metà, una stratificazione di ricordi per ordine di luoghi in cui ho vissuto. In ognuno ho lasciato qualcosa di me, foss’anche polvere. Alcune case in cui ho vissuto le ho amate, poche le ho detestate, altre sono state solo letti in cui dormire. Ovviamente ancora non ho finito. Magari. Mi divido, tra la Capitale e l’ex bizantina, ora Co.Ro. Ho cambiato, città, paesi. Ho vissuto ovunque. Centri storici e periferie. In case di proprietà, più spesso in affitto, in stanze, appartamenti. Villette e sottoscala. Palazzi al limite dello sgarrupamento e dependance di nobili magioni. Ho convissuto e condiviso camere e case. Amori, passioni e odi.
Dopo anni di brutale stanzialità, la zingara che è in me è tornata prepotente protagonista. Con lei, il nomadismo. Come te parto da una terra, da dove viaggiare, è un atto di fede e un terno al lotto. Contemporaneamente. Mulattiere con la pretesa di strade statali (sorvolo sulle super), A3 e basta la parola, ferrovie in disuso, aeroporti non da tutti di facile raggiungimento. Insomma, molti noi ancora si viaggia in pullman.
Eppure io viaggio. Per tanto tempo ho vissuto in una città che non ho amato, per un lavoro che invece ho molto amato. Ho pensato che stare ferma in uno stesso posto fosse segno di maturità. L’aver messo la testa a posto. Aver adeguato lo stile di vita ai dettami dell’anagrafe. Avevo confuso la stanzialità con la stabilità. Poi le circostanze sono cambiate. E sono tornata nomade. Una con la valigia. Pronta.xxxxxxx
Goditi il viaggio mia cara attempata. Non è la casa che spaventa, ma l’ignoto. Eppure l’ignoto a volte è meraviglia e scoperta. Tempo per te, per esempio. Siamo calabresi, l’abbiamo nel dna l’idea della migrazione, dell’andare – per poi tornare, nella maggior parte dei casi – è scritto nelle nostre connessioni neurali.
Quindi niente paura, testa alta, respiri profondi, scatole e valige. E buste che a noi ci piacciono. Credo sia un vezzo italico quello delle buste, cioè, chiudi valige o scatoloni, e ti accorgi che qualcosa è rimasto fuori, e lo metti in una busta. E quelle si accumulano. Sai che non sei la sola, ho diversi amici e conoscenti in situazioni simili, alcuni hanno odiato tutto della nuova vita, i più hanno amato ogni giorno, o quasi. Non banalizzo eh. Lo so quanto è dura lasciare gli affetti e casa. Ma marito e figli li troverai lì dove lì hai lasciati, magari ti raggiungono, magari il Varesotto diventerà la vostra Terra del Sole. Non precaria.
LA POSTA DELL’ESTATE
Sull’isola di Awashima, nel Mare Interno di Seto, in Giappone esiste un ufficio postale che accoglie la corrispondenza destinata a chi un indirizzo non lo possiede. Si chiama hyoryu yubinkyoku, l’Ufficio postale alla deriva. È un’installazione artistica che accoglie lettere indirizzate a destinatari sconosciuti o impossibili da raggiungere, come persone defunte o amori impossibili.
Originariamente creato come parte della Triennale d’Arte di Setouchi nel 2013, è diventato un luogo speciale dove le persone possono esprimere emozioni e sentimenti attraverso la scrittura, senza aspettarsi una risposta. È stato creato dall’artista Saya Kubota come parte della Triennale d’Arte di Setouchi del 2013, ma ha continuato a vivere grazie alla passione di Nakata Katsuhisa, che lo gestisce. È un luogo pieno di speranza, dove le persone possono trovare conforto nel condividere le proprie emozioni attraverso la scrittura.
Ecco noi vorremmo diventare, nel battito di ciglia tra l’estate e la sua fine, il vostro ufficio postale, con un indirizzo estate@quotidianodelsud.it. Chiedeteci, scriveteci, pensateci, stupiteci. Vi risponderemo. O almeno ci proveremo.
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