La premier danese Frederiksen indossa l’elmetto: “Basta rigore nei conti, spendiamo in armi il più possibile”
- Postato il 3 giugno 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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La fine dell’auterity, all’improvviso. Per rilanciare la crescita? Per combattere la crisi climatica? Per ridurre diseguaglianze che esplodono? No, per finanziare il riarmo dei paesi euro. Lo ha detto chiaramente la premier danese Mette Frederiksen, parlando in conferenza stampa a Copenaghen assieme alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Abbiamo avuto in passato un ruolo di primo piano nel gruppo dei quattro frugali (insieme ad Austria, Olanda e Germania, ndr), rivendica Frederiksen, e ora lo avremo in un altro gruppo, perché i tempi sono cambiati e il mondo sta cambiando rapidamente. Per me la cosa più importante è riarmare l’Europa ed è il mio punto di partenza e questa è la mia conclusione in tutte le discussioni, perché se l’Europa non è in grado di proteggersi e difendersi il resto cade”.
La Danimarca si accoda così allo storico leader dei fautori del rigore nei conti pubblici, ovvero la Germania che dalle parole è già passata ai fatti. Berlino ha già messo a bilancio un maxi piano di riarmo da 900 miliardi di euro. Non solo, ha persino fatto pressione su Bruxelles perché venissero adottate regole meno severe sui deficit motivati da spese per il riarmo. Le dichiarazioni della premier danese non sono un fulmine a ciel sereno. Da qualche mese Frederiksen, socialdemocratica, accarezza l’idea di ricorrere ai debiti per comprare più armi. “Stiamo guardando agli aiuti statali con nuovi occhi e nuove lenti, guardando al debito comune con nuovi occhi e nuove lenti e guardando al bilancio della Ue con nuovi occhi e nuove lenti. È un tempo nuovo”, aveva detto lo scorso dicembre.
L’asticella delle spese per armi ed eserciti intanto continua a salire. Prima c’era il vecchio obiettivo del 2% del Pil, poi il 2,5%. Al prossimo vertice NATO, è probabile che si salga al 3,5% del Pil entro il 2032, a cui aggiungere un altro 1,5% per spese come infrastrutture funzionali alla difesa e sicurezza informatica. Ma i soldi non piovono dal cielo: o si fa più debito, o si alzano le tasse o si riducono le altre spese (sanità, istruzione, etc), come sta già facendo la Gran Bretagna. L’Italia in particolare, con un debito pubblico già oltre il 130% del Pil e una pressione fiscale già elevata, non ha molte alternative. Tutto molto più semplice per la Danimarca che può vantare un rapporto debito/pil irrisorio, appena il 31%.
Lo scorso marzo la Commissione europea ha presentato il suo piano Rearm Ue, sulla carta 800 miliardi di euro in forma di deroghe ai vincoli sui conti pubblici (650 miliardi) e di prestiti (150 miliardi). In questi termini è una cifra del tutto ipotetica, visto che sono poi gli Stati a dover decidere di indebitarsi di più e sostenerne il peso finanziario. Non è chiarissimo perché l’Europa debba alzare così tanto la sua spesa per la difesa.
La Russia, come facilmente immaginabile, spende molto in rapporto al suo Pil, tuttavia, in valori assoluti,gli stanziamenti dei paesi europei già oggi sopravanzano di parecchio quelli di Mosca. Il problema è che ogni stato membro dell’Ue ha le sue particolari esigenze e priorità strategiche, quindi non sempre i vari investimenti danno vita ad un quadro coerente di investimenti per la difesa. Più che più soldi, per dar vita ad una difesa europea servirebbe insomma un maggiore coordinamento.
La scorsa primavera l’agenzia Bloomberg ha condotto una simulazione ipotizzando che la spesa per difesa dei paesi del G7 tornasse sui valori della guerra fredda, ovvero intorno al 4% del Pil. In tal caso si tratterebbe di spendere 10mila miliardi di dollari (in euro è più o meno la stesa cifra) nei prossimi dieci anni. La sola Italia dovrebbe trovare 70 miliardi di euro in più ogni anno. Se poi volessimo portarci ai livelli che von der Leyen attribuisce alla Russia dovremmo trovare la bellezza di 160 miliardi aggiuntivi ogni anno, proiettile più, proiettile meno.
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