La presa di posizione di oltre 300 ricercatori del Cnr: “Indisponibili a collaborazioni al servizio della guerra”

  • Postato il 7 luglio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Centinaia di lavoratrici e lavoratori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) si sono dichiarati indisponibili a prestare la propria collaborazione intellettuale e scientifica al servizio della guerra. All’opposto, si legge nel comunicato, c’è l’impegno “a contrastare con azioni concrete la deriva bellicista e a mettere le nostre competenze al servizio della ricerca e dello sviluppo di approcci alla risoluzione delle controversie internazionali fondati sul diritto e sul dialogo”.

L’appello è una vera e propria obiezione di coscienza da parte di chi lavora per il più grande centro di ricerca italiano. Punto di partenza dell’appello dei lavoratori e delle lavoratrici del Cnr è l’art. 11 della Costituzione italiana, che ripudia la guerra come risoluzione delle controversie internazionali. A partire da questo articolo, i firmatari e le firmatarie – ad oggi più di 300 – si oppongono a ogni forma di collaborazione agli attuali “piani di riarmo o ad essere in qualunque modo contigui a chi ricorra all’esercizio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Ricercatori e tecnologi, ricercatrici e tecnologhe, collaboratori e collaboratrici del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno deciso di unirsi “alle manifestazioni di condanna espresse da tanti settori della società civile nei confronti dell’affermarsi e dell’estendersi delle azioni belliche e delle pratiche di sterminio. Respingiamo la normalizzazione del conflitto armato, che appare in precipitosa crescita nella teoria, nella pratica, nella comunicazione pubblica, nelle concrete direttive politiche del tempo che viviamo – e anche nella nostra sensibilità valoriale, come mostra l’inazione, di fatto la complicità, nei confronti dell’orrore perpetrato a Gaza”.

I lavoratori e le lavoratrici, dunque, hanno espresso la loro indisponibilità a prestare la propria collaborazione intellettuale e scientifica – a qualunque livello – a iniziative che implichino, anche in modo indiretto, destinazioni belliche. “Le elevate competenze intellettuali e scientifiche sono parte essenziale – al punto da diventare bersagli – delle azioni belliche: dal know-how tecnico sulle armi fino alla costruzione ideologica e retorica di una ‘cultura della guerra‘. Ebbene, noi vogliamo che la società italiana, i decisori politici, chi ci rappresenta nei consessi internazionali sappiano con chiarezza che noi scienziati e scienziate, studiosi e studiose, collaboratori e collaboratrici del più ampio Ente di ricerca italiano non siamo disponibili. All’opposto, ci impegniamo a contrastare con azioni concrete la deriva bellicista e a mettere le nostre competenze al servizio della ricerca e dello sviluppo di approcci nonviolenti alla risoluzione delle controversie internazionali fondati sul diritto e sul dialogo”.

Un secondo comunicato, invece, sempre a firma di lavoratori e lavoratrici del centro di ricerca, si concentra principalmente sulla situazione umanitaria in Palestina e chiede al Consiglio di Amministrazione l’immediata sospensione cautelare delle collaborazioni scientifiche e tecnologiche con le istituzioni accademiche e di ricerca israeliane. Alla base della richiesta vi sono i pronunciamenti delle più importanti istituzioni giuridiche internazionali, dell’Onu e dei chiarimenti esposti proprio nella sede del Cnr da parte della Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese.

I due appelli partono da presupposti diversi – obiezione di coscienza il primo, autotutela il secondo – ma entrambi rendono evidente l’opposizione sempre più forte del mondo accademico e della ricerca alla corsa al riamo e ai conflitti in cui anche l’Italia è coinvolta.

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Il Fatto Quotidiano

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