La sala d’aspetto

  • Postato il 29 ottobre 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico ottobre 2025

“L’uomo è divenuto gradatamente un fantastico animale che deve assolvere a una condizione di esistenza in più rispetto a ogni altro animale: di quando in quando l’uomo deve ritenere di sapere perché esiste, la sua specie non può prosperare senza una periodica fiducia nella vita! Senza credere alla ragione nella vita! E sempre di nuovo, di tanto in tanto, la razza umana decreterà: “C’è qualcosa su cui non è assolutamente più lecito ridere”” scrive F. W. Nietzsche nel primo libro de La Gaia scienza. L’affermazione mette il “dito di Tommaso” nel costato di una questione spesso marginalizzata da una sorta di pudore intellettuale: ha un senso il nostro esistere? Credo sia opportuno aggiungere, forse solo in qualità di interrogativo retorico, ha senso chiederselo? Lo so, per troppi anni la stramasticata espressione superficialmente ironica “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo” è stata utilizzata per nascondere, sotto il tappeto dell’omologazione verso il basso, una questione che, in ogni caso, rimane imprescindibile per ognuno. La filosofia dello struzzo garantisce la “sopravvivenza” anche a chi si addormenta sereno sdraiato sul sopra citato tappeto, ma vivere e sopravvivere non sono esattamente indicatori di un medesimo livello qualitativo di esistenza. Forse pleonastica la precisazione, comunque, per sopravvivere intendo l’atteggiamento di “un essere pensante che rinuncia al pensiero” e, nello specifico, a quello teso alla ricerca di risposte esistenziali; tale abdicazione non risulta essere esiziale per l’animale ma, mi sembra evidente, nullifica la fondamentale differenza tra lo stesso e l’essere umano. Credo però, e questo è l’oggetto della nostra riflessione, che i nuovi termini di esistenza prodotti dall’invasione capillare dei social, della rete in generale, richiedano un ripensamento dei contorni complessivi della questione; la nuova quotidianità nella quale crescono le ultime generazioni è intimamente intrisa e determinata dagli strumenti tecnologici che, sempre più, vengono impiegati anche in tenerissima età, tra i tanti effetti conseguenti mi sembra utile segnalare quello che battezzo come “ansia escatologica”.

Lo so, molti degli affetti da tale patologia nemmeno ne hanno consapevolezza, ma è quanto accade con numerose malattie che, pur non rivelandosi con sintomi evidenti, lavorano in profondità e, quando si manifestano, il danno è spesso irrimediabile; credo sia opportuna una strategia di diagnosi precoce. Come accennavo in apertura, l’atteggiamento pseudo ironico e, al contrario, estremamente dannoso, che suggerisce di non porsi la domanda così da evitare la fatica della ricerca di una possibile risposta, è una cura ancor più grave della malattia. L’ignorare non è curativo, in verità molti studiosi si stanno occupando di quell’avvertimento inquietante, quel disagio interiore, quel malessere che si manifesta in azioni violente, in improvvisi accessi aggressivi, in ricerca di ierofanie valoriali spesso fragilissime ed effimere, che ho definito ansia escatologica. Non è un caso se l’aforisma di apertura sia dell’amico F. W. Nietzsche, il pensatore troppo spesso superficialmente definito il padre del nichilismo. È vero l’esatto opposto, affermare che l’uomo non è un progetto metafisico ma l’animale in viaggio verso l’oltre uomo, è la celebrazione della possibilità di costruzione di un senso proprio negando l’esistenza dello stesso come già dato da un ente alieno all’umanità. Le nuove generazioni sono il miglior esempio di quel nichilismo, implicito nella civiltà del benessere, che, nelle sue diverse forme, ha falsificato il soggetto intendendolo come fruitore di beni e non come creatore di gioia. Molti dei nostri giovani impiegano gran parte della propria giornata immersi in un contesto, tanto rassicurante quanto mistificante, che è la “zona confortevole” circoscritta all’ambito peripersonale delle proprie braccia e del cellulare osservato per ore nel suo rituale sacro, la “messa” in onda continua dei video che ininterrottamente vi scorrono. In quel contesto la realtà è il virtuale, non ha bisogno di domande e nemmeno offre risposte, la peculiarità dell’essere umano, il pensiero, non è più protagonista.

Paradossalmente i “nativi digitali”, quasi naturalmente dotati di competenze nell’impiego delle moderne tecnologie, non sviluppano strumenti adeguati alla vita relazionale che risulta essere, di conseguenza, forse come in età arcaica, territorio inesplorato e spaventoso. È esattamente nel momento in cui, cosa inevitabile, il soggetto si vede costretto a muoversi all’esterno del suo territorio abituale, che sopravviene l’ansia escatologica; il mondo esterno appare incomprensibile, difficile, inquietante, più facile è rifugiarsi nelle proprie “palafitte tecnologiche”, ma il pericolo della malattia del secolo, la depressione, è in agguato e la fuga non è la cura. I grandi temi, quelli del perché e non solo del come si vive e, credo, quello della morte, sono lontanissimi dagli interessi usa e getta del mondo del virtuale, non tentare nemmeno la ricerca di un senso condanna, di fatto, all’assenza dello stesso dall’orizzonte esistenziale. Raccolgo la sintesi estrema delle parole dell’amico Gershom Freeman: “Accade che si viva perennemente nel vuoto dell’assenza di senso senza avere il coraggio di rigettare il mostro che ci divora, la virtualizzazione del reale, si finisce piuttosto per gettarsi fra le sue  fauci, quasi nella speranza che tutto abbia termine velocemente. Questa vita, che è divenuta la sala d’aspetto del nulla, è un’ingannevole eutanasia, non possiamo abbandonare intere generazioni al nichilismo virtuale”. Forse l’unica risposta possibile è una risata liberatoria, ridere in faccia al nulla e riscoprire la nostra creatività, no, non quella dei creator, insopportabile manfrina alla ricerca di consenso, ma il viaggio titanico e solitario di chi sa di poter riempire il nulla della propria volontà, positiva e innamorata della vita e di chi la condivide con noi.

Di solito lo si comprende nei secoli successivi, comunque, mi sembra evidente, ogni epoca ha il proprio Signore, più o meno occulto, che sia Dio, lo Stato, il Mercato, in fondo poco cambia, ma quello dell’apertura del terzo millennio, con estrema modestia provo a individuarlo in anticipo, credo non possa essere che il Virtuale il quale, mentre spersonalizza ogni suo frequentatore, sembra regalare una narcisistica affermazione dell’io che non avverte il proprio annichilirsi. L’ossessione della costruzione e celebrazione di sé attraverso la virtualità di un consenso che non si fonda sulla qualità e presenza dell’altro ma solo sul numero, che è somma di apparenze virtuali, non consente più l’incontro mentre, io credo, la vera natura dell’essere umano, la più profonda opportunità di creazione e costruzione del sé consiste nell’auto progettazione, siamo sistemi di possibilità relazionali. La fragilità dei rapporti umani, quanta cronaca degli ultimi anni lo comprova, dal Covid ai conflitti attuali, frequentemente si traduce nell’esorcismo dell’esasperazione spesso violenta. La violenza, in questo modo, è espressione del vuoto che si cerca di colmare alzando la voce, meno è profondo il mondo esistenziale dell’urlatore, maggiore sembra essere il suo flebile belare travestito da ruggito, specie se l’ottusità del gregge si pensa riscattata dalla risonanza mediatica. Oggi assistiamo alle azioni di branchi di violenti che, privi di cultura e consapevolezza, cercano una ragione di esistenza, una negazione del proprio vuoto, attraverso il dolore prodotto, forse per meglio sopportare il proprio. La terapia anestetizzante della confusione violenta non credo possa essere che un analgesico temporaneo. In chiusura cito a memoria, probabilmente in maniera piuttosto libera, un’antica riflessione credo di Fevì Acsim: “A che serve fuggire dalla paura del nulla? Più utile esercitare il coraggio di riempirlo di noi e così incontrarci senza timore di ri-conoscerci”, in altre parole, usciamo dalla sala d’aspetto e creiamo la nostra vita.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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